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Visualizzazione di contenuti con la più alta reputazione 20/03/2024 in tutte le aree

  1. 3 punti
    stavo riflettendo sulla carriera in F1 di leclerc guardata ora, dopo la partenza della sua settima stagione in F1 , non mi sembra per nulla dissimile da quella di verstappen (fino ad arrivare all'anno del titolo mondiale) verstappen 1- 2015 su toro rosso, vettura da metà classifica 2- 2016 redbull, top 2 team nuovo ciclo di macchine PU extrapowa 3- 2017 redbull, top 3 team 4- 2018 redbull, top 3 team 5- 2019 redbull, top 2 team 6- 2020 redbull, top 2 team 7- 2021 redbull, top 1/2 team WC nuovo ciclo macchine pu effetto suolo leclerc 1- 2018 sauber, vettura da metà classifica 2- 2019 ferrari, top 3 team 3- 2020 ferrari, vettura da metà classifica 4- 2021 ferrari, top 3 team nuovo ciclo macchine pu effetto suolo 5- 2022 ferrari, top 2 team 6- 2023 ferrari, top 3 team 7- 2024 ferrari, top 2 team 2025? nuovo ciclo 2026 entrambi hanno esordito in macchine da metà classifica successivamente, entrambi hanno iniziato un ciclo di vetture senza vincere, riuscendo però a mettersi in mostra con vittorie e pole. A fine di quel ciclo verstappen ha potuto finalmente lottare alla pari , vincendo il campionato 2021. Quell'occasione potrebbe corrispondere all'annata 2025 per leclerc (se siete arrivati a leggere fino a qui aggrappatevi forte alle OO ) vista la buona progressione da metà 2013 in avanti. giusto un anno di differenza nelle "tabelle di marcia", dovuto allo slittamento delle auto ad effetto suolo, causa covid. a livello di carriera / esperienza, guardare oggi leclerc è come guardare il verstappen del 2020, eppure si continua a fare l'errore di confrontarlo con il verstappen di oggi, forse portati in errore dalla stessa età dei due piloti (e mi aggiungo anche io alla lista di chi fa questo errore) niente male, cbclv caro charles
  2. 2 punti
    mi hai anticipato più che tipo alfa mi pare si guardi solo i c***i suoi e se ne frega di rispettare gli altri, questo non fa di lui un tipo alfa, ma un'altra cosa. Opinione personale eh
  3. 2 punti
    Bravo bravo, noi condividiamo. Ma ora siamo davanti alla Corte d'Assise e lei è imputato di sedici omicidi
  4. 1 punto
    La maggior parte dei team hanno sede in Gran Bretagna perchè hanno partnership inglesi, hanno società inglesi o sono inglesi loro stessi. Non perchè pensano che gli inglesi siano un popolo migliore di un altro
  5. 1 punto
    A me sta simpatico come un palo nel c...o. Amato e rispettato dagli ubriaconi olandesi.
  6. 1 punto
    Guarda, io l'ho dovuto fare per forza nell'ottobre 2015; la mia prima trasferta di lavoro, il mio primo vero viaggio all'estero (tolgo San Marino e Vaticano). Non avevo mai preso un volo in vita mia, una paura tremenda. Mi mandarono in... Corea del Sud. Ma sì, dietro l'angolo. Un voletto di 11 ore, che vuoi che sia. Passai i miei primi 12 mesi nel mondo del lavoro con 8 di questi in Corea. Quindi per forza di cose viaggio di continuo, durante l'anno; alcune volte per lavori su territorio italiano, molte altre all'estero. Di conseguenza, mi sono innamorato di volare, di visitare posti con tradizioni e culture diverse dalle mie e in questo viaggio (questo in tempi più recenti), ho trovato una persona che come me ama(va i Beatles e i Rolling Stones... ah no!) fare lo stesso. Quando c'è l'occasione, quindi, ci regaliamo viaggi a vicenda. Pianifichiamo di vedere tutta l'Europa a colpi di week-end prenotati molto prima, così che si possano avere prezzi un pelo più accessibili (ad oggi un volo aereo costa una cifra)
  7. 1 punto
    “Se ni’ mondo esistesse un po’ di bene e ognun si honsiderasse suo fratello ci sarebbe meno pensieri e meno pene e il mondo ne sarebbe assai più bello”
  8. 1 punto
    Thanks. Il correttore automatico del mio phone a volte va a bottane :-/
  9. 1 punto
    Ho uno schiavo da Lampedusa che lo fa per me
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    vabe ma lo sai che il buon freccia è un trollone
  12. 1 punto
    Forza @Corracar! Si fa il tifo per te Beh, almeno la penalità a te è solo il decimo posto... A me han fatta partire ultima invece che terza XD per più info su questa entusiasmante storia, vedete il topic su Amilcare Ciao XDXD
  13. 1 punto
  14. 1 punto
    Ferrari di Michael Mann (2023) 4/5 Non capito e poco compreso, come del resto gran parte del cinema di Michael Mann; questo “Ferrari” (2023), ad un occhio superficiale, può sembrare una sbandata del regista in territori lontani dai thriller metropolitani, per cui si è fatto un nome. Ciò comporterebbe un errore madornale di giudizio, in quanto l’aspetto ambientale è solo il palcoscenico, di un cinema “sentimentale” come non se ne producono più ad Hollywood, estremizzando i legami romantici, in una cupa atmosfera mortifera, che accompagna ogni singolo frame della pellicola. Mann assieme allo sceneggiatore Troy Kennedy-Martin, segue le tendenze odierne dei biopic odierni, illustrando uno spaccato di vita di Enzo Ferrari (Adam Driver), molto ridotto temporalmente. Il grande sogno di un pilota promettente, s’interruppe improvvisamente al GP di Lione del 1924, rifiutandosi di prenderne parte, per cause mai chiarite da lui stesso ed oggetto di speculazioni irrisolte, che vanno dalla paura di non reggere il passo con i numerosi campioni presenti, fino alla pioggia battente che rendeva la pista difficile da affrontate, segnandone di fatto la fine della sua carriera. Da quel gran rifiuto, Ferrari costruì tra molti sacrifici un’azienda nel modenese, il cui nome tutt’oggi sa di mito intramontabile. Tutto questo nel 1957, era ad un passo dalla fine, causa ingenti debiti della società, dedita ad una produzione dai metodi artigianali, ma poco remunerativa finanziariamente in quanto focalizzata a guadagnare per correre e non viceversa. Mann non cerca alcun legame empatico con Enzo Ferrari. La sua figura misteriosa, celata spesso dagli occhiali da sole neri, risulta sempre ammantata da un alone di impenetrabilità, sia da parte degli altri personaggi, che dello spettatore in sala. Testardamente ancorato alle sue arcaiche convinzioni - quando si era capito che il motore posteriore avrebbe pensionato quello anteriore lui rispondeva “sono i buoi che trainano il carro” -, marito infedele, ossessionato dal marchio che porta il proprio nome e quindi dalla propria immagine al di sopra dei piloti stessi, visti sia come meri esecutori della propria gloria quanto cavalieri del rischio, pronti a morire ogni volta che sfrecciano su una delle sue macchine. Sfuggendo da ogni facile agiografia, così come da sottese glorificazioni di un uomo i cui difetti verrebbero scusati in virtù del suo genio imprenditoriale; Mann attraverso l’alienazione dell’uomo Ferrari da tutto ciò, che esuli dal proprio nome sulle auto rosse vincenti, disvela il motivo effettivo della leggenda. A riprova di come il regista non abbia perso per nulla la mano, risulta sufficiente la lunga sequenza muta iniziale, di Ferrari in procinto di lasciare la casa dell’amante, per mettersi in macchina e ritornale alla propria dimora “ufficiale” in cui l’attende la moglie Laura (Penelope Cruz). Sin da subito Mann, unisce il binomio sentimento-morte, la cui sinergia pervade il corso della narrazione, trovando la polarizzazione privata in Ferrari-Laura, una coppia il cui amore è terminato quanto ucciso dalla morte del loro figlio Dino, mentre nel pubblico nell’imprimibile nome di quelle auto, il cui colore rosso, psicanalizza la passione della velocità estrema, dalle conclusioni spesso mortali. Come Ferrari nel privato ha “sacrificato” il figlio legittimo irrimediabilmente condannato dalla malattia auto degenerativa, a favore del tanto agognato erede, ma illegittimo, Pietro, avuto con l’amante Lina Lardi (Shailene Woodley). Per tale ambizione della vittoria a tutti i costi, è divenuto secondo la stampa un “Saturno che divora i propri figli”, trasfigurando le sue macchine da corsa, in bare di metallo con ruote, pronte a fagocitare piloti su piloti. Nel dolore intimo di un uomo incapace di esternare qualsiasi emozione quanto impossibilitato a costruire una normale famiglia stabile - concetto precluso ai personaggi di Mann -, il mausoleo fisico in cui ogni giorno si reca da un anno per onorare il figlio/erede prematuramente scomparso, diviene la sorda cupola in cui isolarsi da una morte onnipresente. Dino (fratello e figlio), Varzi, Castellotti e De Portago. Privato e lavoro s’intrecciano nel percorso di vita intrapreso, i cui fantasmi del passato, si uniscono ai morti viventi del presente come Peter Collins (morto al GP di Germania l’anno dopo), oppure Von Trips (morto al GP di Monza 1961 a causa di un incidente con Jim Clark, mentre era ad un passo dal diventare campione del mondo), in una passione a folle velocità, in cui la stessa corsa per la vita, diventa in realtà un correre all’impazzata contro la sconfitta stessa, come la stessa inquadratura finale suggerisce in una camminata verso l’ineluttabile morte. Ricco di invenzioni in tal senso, più che nella sequenza del teatro, che rimembra dolori passati o della caduta del bozzettismo superficiale dato dal colpo di pistola sparato dalla moglie contro il marito fedifrago, il genio registico si eleva nella staticità insostenibile del lunghissimo primo piano di Penelope Cruz, al cimitero innanzi alla lapide del figlio. La macchina da presa ne coglie la vasta gamma espressiva, mentre in precedenza il cineasta aveva optato per inquadrate il volto di Adam Driver, in un’alternanza di riprese frontali e laterali, come se lo stesso straniamento dell’uomo, fosse da impedimento nel provare un sentito dolore. Pure nel dinamismo della seconda parte, data dalla sequenza d’antologia della Mille Miglia, si conferma l’estrema abilità tecnica del regista nel rappresentare l’azione pura, grazie all’esaltante montaggio visivo di Pietro Scalia, unito al rombo sonoro dei motori bestiali di quelle macchine, che non perdonano nulla. Michael Mann ricostruisce perfettamente l’atmosfera di una corsa dell’epoca, dove i piloti erano veri e propri cavalieri del rischio. La guida era molto “fisica” ed il controllo delle auto estremamente complesso quanto sfiancante. Le corse si svolgevano con poche protezioni personali, su asfalti sconnessi e con misure di sicurezza inesistenti, girando tra massi, case ed alberi ai lati delle strade. Un’organizzazione molto casereccia e ben poco professionale, che provocava tragedie a ripetizione ad ogni stagione, dagli esiti devastanti. In proposito il figlio Pietro Ferrari disse “Ogni volta che succedeva un incidente mortale, mio padre si chiedeva se era lecito continuare, ma poi l'ha sempre fatto per il bene della sua azienda".
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