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MagicSenna

Cinema e film

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Più che esoterico è senza senso...

Visto due volte e scartato entrambe le volte...

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11 ore fa, erosbart ha scritto:

Qualche film esoterico sullo stile di Mulholland Drive?

 

Film bellissimo ma non per tutti, personalmente di Lynch preferisco cose ancora più astruse come INLAND EMPIRE. :asd:

 

Un autore che mi ricorda vagamente Lynch è Jonathan Glazer (Under the Skin), ma secondo me anche con il Nolan di Tenet ci si muove in territori che hanno qualcosa a che vedere con Lynch (Nolan e Lynch sono registi diversissimi, ma, esattamente come con Lynch, per apprezzare Tenet si deve secondo me lasciarsi avvolgere dal flusso delle immagini, senza voler cercare a tutti i costi di venire a capo della trama).

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37 minuti fa, rimatt ha scritto:

INLAND EMPIRE.

ho dovuto interrompere dopo mezz'ora per conservare la mia sanità mentale

  • Trottolino 1

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ieri sera ho visto l'ultimo film di Scorsese, min**ia che due palle :asd: 

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Ho letto qua e là che delle 3 ore e mezzo di durata quasi la metà potevano essere evitate :asd:

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sì non è un brutto film (e c'è grande di Caprio come al solito) però figa 3h e mezza per le cose raccontate sono veramente troppe, poi soprattutto la seconda parte si trascina con una lentezza esasperante

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Un po' di tempo fa ho visto "The Irishman" non si capisce un granchè come trama con continui rimandi e fa apparire i mafiosi come se avessero dei rimorsi, un film veramente deludente e si che di film sulla mafia ne ho visti parecchi. Poi non capisco quest'involuzione di Scorsese autore di capolavori sul genere

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Francamente il cinema di oggi non mi interessa.

Io sono rimasto a "Donnie Darko" del 2002.

Gli anni 2000 sono sinonimo di fine per molte cose (tennis cinema,musica)...

Steve Mcqueen,George Michael,Jean Paul Belmondo,Pete Sampras,Nigel Mansell...anni lontani per me.

Oggi solo c...te

 

 

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Il 28/10/2023 Alle 09:10, Ruberekus ha scritto:

ieri sera ho visto l'ultimo film di Scorsese, min**ia che due palle :asd: 

 

CA-PO-LA-VO-RO! :sebhonestly:

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Incredibilmente non avevo mai visto Good Will Hunting... Filmone con la F maiuscola, e Robin Williams, buonanima, superlativo.

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Il 11/12/2023 Alle 14:40, erosbart ha scritto:

Incredibilmente non avevo mai visto Good Will Hunting... Filmone con la F maiuscola, e Robin Williams, buonanima, superlativo.

Un fenomeno.

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Ho visto Ferrari, che so aver raccolto pareri contrastanti.

 

Premetto che io sono un super fan del regista, Michael Mann (per me nel ristrettissimo gotha dei migliori registi al mondo), per cui sono andato al cinema per gustarmi il nuovo film di Mann, più che per vedere un film sull'automobilismo o la biografia attendibile di Enzo Ferrari. Il film mi è piaciuto molto e l'ho trovato prettamente manniano: come quasi tutti gli altri titoli del regista, racconta la storia e le difficoltà di un uomo che è prima di tutto un professionista, e la cui professionalità trattiene e in un certo senso nasconde la sua umanità (Ferrari ha imparato a gestire il dolore per la scomparsa dei suoi piloti dopo la morte di Campari e Borzacchini, bel riferimento storico); solo nel conforto di un contesto privato e sicuro i protagonisti manniani si lasciano andare di più alle emozioni. Quindi, un grande protagonista le cui gioie non sono mai piene e sono sempre terribili (emblematico quel che accade nella Mille Miglia del 1957, attorno alla quale ruota il film), raccontato in un contesto storico accurato ma prendendosi varie (e dovute) libertà per quanto riguarda il contesto privato (sono comunque belle le due figure femminili che si muovono attorno a Enzo). Tecnicamente molto belle le riprese delle corse.

 

Adam Driver è indubbiamente bravo, ma mi fa strano veder interpretare Enzo Ferrari da un attore più giovane e dalla fisicità piuttosto diversa rispetto a quella della persona che interpreta (Driver è alto e dinoccolato, Ferrari era alto ma corpulento). In ogni caso, alla fine l'interpretazione è convincente.

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The Holdovers e Povere Creature: due gran bei film.

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Ferrari di Michael Mann (2023)

4/5
 

Non capito e poco compreso, come del resto gran parte del cinema di Michael Mann; questo “Ferrari” (2023), ad un occhio superficiale, può sembrare una sbandata del regista in territori lontani dai thriller metropolitani, per cui si è fatto un nome.
Ciò comporterebbe un errore madornale di giudizio, in quanto l’aspetto ambientale è solo il palcoscenico, di un cinema “sentimentale” come non se ne producono più ad Hollywood, estremizzando i legami romantici, in una cupa atmosfera mortifera, che accompagna ogni singolo frame della pellicola.
Mann assieme allo sceneggiatore Troy Kennedy-Martin, segue le tendenze odierne dei biopic odierni, illustrando uno spaccato di vita di Enzo Ferrari (Adam Driver), molto ridotto temporalmente. Il grande sogno di un pilota promettente, s’interruppe improvvisamente al GP di Lione del 1924, rifiutandosi di prenderne parte, per cause mai chiarite da lui stesso ed oggetto di speculazioni irrisolte, che vanno dalla paura di non reggere il passo con i numerosi campioni presenti, fino alla pioggia battente che rendeva la pista difficile da affrontate, segnandone di fatto la fine della sua carriera.
Da quel gran rifiuto, Ferrari costruì tra molti sacrifici un’azienda nel modenese, il cui nome tutt’oggi sa di mito intramontabile.
Tutto questo nel 1957, era ad un passo dalla fine, causa ingenti debiti della società, dedita ad una produzione dai metodi artigianali, ma poco remunerativa finanziariamente in quanto focalizzata a guadagnare per correre e non viceversa.
Mann non cerca alcun legame empatico con Enzo Ferrari.
La sua figura misteriosa, celata spesso dagli occhiali da sole neri, risulta sempre ammantata da un alone di impenetrabilità, sia da parte degli altri personaggi, che dello spettatore in sala. Testardamente ancorato alle sue arcaiche convinzioni - quando si era capito che il motore posteriore avrebbe pensionato quello anteriore lui rispondeva “sono i buoi che trainano il carro” -, marito infedele, ossessionato dal marchio che porta il proprio nome e quindi dalla propria immagine al di sopra dei piloti stessi, visti sia come meri esecutori della propria gloria quanto cavalieri del rischio, pronti a morire ogni volta che sfrecciano su una delle sue macchine.
Sfuggendo da ogni facile agiografia, così come da sottese glorificazioni di un uomo i cui difetti verrebbero scusati in virtù del suo genio imprenditoriale; Mann attraverso l’alienazione dell’uomo Ferrari da tutto ciò, che esuli dal proprio nome sulle auto rosse vincenti, disvela il motivo effettivo della leggenda.
A riprova di come il regista non abbia perso per nulla la mano, risulta sufficiente la lunga sequenza muta iniziale, di Ferrari in procinto di lasciare la casa dell’amante, per mettersi in macchina e ritornale alla propria dimora “ufficiale” in cui l’attende la moglie Laura (Penelope Cruz). Sin da subito Mann, unisce il binomio sentimento-morte, la cui sinergia pervade il corso della narrazione, trovando la polarizzazione privata in Ferrari-Laura, una coppia il cui amore è terminato quanto ucciso dalla morte del loro figlio Dino, mentre nel pubblico nell’imprimibile nome di quelle auto, il cui colore rosso, psicanalizza la passione della velocità estrema, dalle conclusioni spesso mortali.


Come Ferrari nel privato ha “sacrificato” il figlio legittimo irrimediabilmente condannato dalla malattia auto degenerativa, a favore del tanto agognato erede, ma illegittimo, Pietro, avuto con l’amante Lina Lardi (Shailene Woodley). Per tale ambizione della vittoria a tutti i costi, è divenuto secondo la stampa un “Saturno che divora i propri figli”, trasfigurando le sue macchine da corsa, in bare di metallo con ruote, pronte a fagocitare piloti su piloti.
Nel dolore intimo di un uomo incapace di esternare qualsiasi emozione quanto impossibilitato a costruire una normale famiglia stabile - concetto precluso ai personaggi di Mann -, il mausoleo fisico in cui ogni giorno si reca da un anno per onorare il figlio/erede prematuramente scomparso, diviene la sorda cupola in cui isolarsi da una morte onnipresente. Dino (fratello e figlio), Varzi, Castellotti e De Portago. Privato e lavoro s’intrecciano nel percorso di vita intrapreso, i cui fantasmi del passato, si uniscono ai morti viventi del presente come Peter Collins (morto al GP di Germania l’anno dopo), oppure Von Trips (morto al GP di Monza 1961 a causa di un incidente con Jim Clark, mentre era ad un passo dal diventare campione del mondo), in una passione a folle velocità, in cui la stessa corsa per la vita, diventa in realtà un correre all’impazzata contro la sconfitta stessa, come la stessa inquadratura finale suggerisce in una camminata verso l’ineluttabile morte.
Ricco di invenzioni in tal senso, più che nella sequenza del teatro, che rimembra dolori passati o della caduta del bozzettismo superficiale dato dal colpo di pistola sparato dalla moglie contro il marito fedifrago, il genio registico si eleva nella staticità insostenibile del lunghissimo primo piano di Penelope Cruz, al cimitero innanzi alla lapide del figlio. La macchina da presa ne coglie la vasta gamma espressiva, mentre in precedenza il cineasta aveva optato per inquadrate il volto di Adam Driver, in un’alternanza di riprese frontali e laterali, come se lo stesso straniamento dell’uomo, fosse da impedimento nel provare un sentito dolore.
Pure nel dinamismo della seconda parte, data dalla sequenza d’antologia della Mille Miglia, si conferma l’estrema abilità tecnica del regista nel rappresentare l’azione pura, grazie all’esaltante montaggio visivo di Pietro Scalia, unito al rombo sonoro dei motori bestiali di quelle macchine, che non perdonano nulla.
Michael Mann ricostruisce perfettamente l’atmosfera di una corsa dell’epoca, dove i piloti erano veri e propri cavalieri del rischio. La guida era molto “fisica” ed il controllo delle auto estremamente complesso quanto sfiancante.
Le corse si svolgevano con poche protezioni personali, su asfalti sconnessi e con misure di sicurezza inesistenti, girando tra massi, case ed alberi ai lati delle strade. Un’organizzazione molto casereccia e ben poco professionale, che provocava tragedie a ripetizione ad ogni stagione, dagli esiti devastanti.
In proposito il figlio Pietro Ferrari disse “Ogni volta che succedeva un incidente mortale, mio padre si chiedeva se era lecito continuare, ma poi l'ha sempre fatto per il bene della sua azienda".

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ieri sera ho visto Rapito, il fim di Bellocchio sul caso di rapimento di un bambino ebreo a metà 800. ben fatto, interessante la storia e come è resa, belle interpretazioni pure.

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Inviato (modificato)

Bellocchio è il miglior regista vivente che abbiamo. Capolavoro assoluto i Pugni in Tasca, ma stupendi anche Nel Nome del Padre, Salto nel Vuoto, Sbatti il Mostro in Prima Pagina, L'Ora di Religione (capolavoro), Buongiorno Notte, Vincere (capolavoro), Il Traditore etc...

Modificato da Carmine Marzano

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Non guardo film italiani prodotti in anni recenti. Amo, invece, il cinema italiano anni '60-'70. In quegli anni eravamo superiori anche ad Hollywood tra spaghetti western (Leone) thriller all'italiana (Argento, Fulci, Martino), horror e zombie movies (Fulci maestro indiscusso), poliziottesco, noir. Per non parlare delle sublimi colonne sonore del maestro Morricone. Ora il cinema italiano è solo commedie e film di disagio. Menzione d'onore va anche ai lungometraggi di genere 'azione', girati con due spicci, ad Hong Kong tra la seconda metà degli anni '80 e la fine dei '90. 

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Stasera ho guardato il dottor stranamore di Kubrick

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Inviato (modificato)

Netflix ha temporaneamente buttato aggratis sul Tubo "Nimona", approfittatene

bellino, sarebbe stato un buon film Disney, se la Disney avesse le palle...

Modificato da Hunaudieres

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Visto ieri sera altrimenti ci arrabbiamo, Ciao @L.Costigan

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