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luke36

The Killer Years

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Ho sempre pensato che parlare di incidenti in F1, soprattutto di quelli mortali, fosse venir meno al rispetto per le vittime. Ma la BBC, come sempre, riesce ad argomentare con documentari di pregevole fattura, anche quelli drammatici come le morti in F1.

 

Qui il DVD online del bellissimo documentario. La messe di immagini, filmati e interviste, rende finalmente giustizia e rispetto per tutti quei piloti e spettatori che hanno perso la vita per vivere una giornata di sport.

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=-N9-QrRl1Uk&feature=feedf

 

 

Spero che da ci? possa nascere un bel topic sul significato della morte in F1.

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Sul significato della morte nelle corse automobilistiche (perdonate se uso la dizione "F1" solo quando necessario), mi sembra illuminante quel che dissero Stirling Moss e Mike Hawthorn prima dell'ultima decisiva gara del Mondiale '58, ai primi di ottobre, quando i due contendenti rilasciano un'intervista in tandem a Peter Garnier, direttore della rivista inglese "Autocar", trasmessa alla radio.

Ad agosto al Nurburgring su una Ferrari era morto Peter Collins, compagno di squadra di Hawthorn ma soprattutto amico fraterno.

 

Moss: "Ci? che rende sublime questo sport ? l'eterno e sempre presente pericolo della morte. Se non esistesse questa minaccia, continuamente sospesa sulla nostra testa come una spada di Damocle, molto probabilmente non correremmo pi?. Il bello della competizione ? che al Nurburgring ci sono ben 172 curve da superare a ogni giro".

 

Hawthorn: "Giustissimo. A Silverstone, se il pilota compie un errore, vi ? sempre una scappatoia, una via d'uscita e di salvezza, e questo toglie qualsiasi piacere alla competizione. Per noi piloti ? cos?, anche se so che quanto affermo rischia di apparire sadico".

 

Moss: "E' per questo che i veri equilibristi non usano mai la rete durante le loro ardite e pericolose esibizioni".

 

Hawthorn: "Se un pilota non ha il coraggio, l'ardire, il sangue freddo di cimentarsi su un circuito come il Nurburgring, ? meglio che dica addio a questo sport. Peter Collins, che tutti noi ricordiamo con particolare affetto e rimpianto, sapeva tutto ci?, conosceva le difficolt? del circuito tedesco e non si sarebbe cimentato su di esso se non si fosse sentito in grado. Correre ? avere fiducia in se stessi. Ricorderete l'Hawthorn del '56: stampa e sportivi affermavano che ero finito, e anche in me si era radicata questa idea. Lo scorso anno per?, a prezzo di notevoli sforzi, cominciai a riprendere fiducia in me stesso e nelle mie possibilit?. Io mi rendo conto di quanto la mia forma va a farsi benedire, e se non mi sento di schiacciare a fondo il chiodo, faccio a meno di farlo".

 

Sempre Hawthorn concluse: "Che diventi Campione Mondiale oppure no, scomparir? dalla scena sportiva, e definitivamente, entro due anni. Devo confessare che subito dopo la morte di Collins avevo pensato di ritirarmi. Ma le pressioni esercitate su di me dalla vedova di Peter, Louise, mi hanno convinto a progredire. D'altra parte, riflettendoci oggi, non vedo per quale motivo avrei dovuto abbandonare lo sport automobilistico".

 

Pochi giorni dopo, al GP del Marocco, vinse Moss, ma Hawthorn col secondo posto divenne Campione del Mondo per un solo punto di vantaggio.

 

Dopo il trionfo Hawthorn si ritir? immediatamente dalla scena sportiva, ma dopo tre mesi moriva in un incidente stradale.

 

 

"Gli indisciplinati":

 

driversd.jpg

 

 

Modificato da sundance76

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Wow! Adesso me lo guardo tutto...

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Documentario molto bello e altrettanto crudele, visto che non risparmia niente (ma non ci sono sequenze gratuite o morbose, tutt'altro). Ci si rende conto delle condizione davvero assurde in cui si ? corso fino agli anni Settanta, e di quali incredibili passi avanti si siano fatti da allora (e di quanto sia stato importante per la sicurezza in F1 Jackie Stewart). Gareggiare, a quel tempo, aveva tutto un altro significato, e credo che noi, tifosi della F1 odierna, non riusciremo mai a comprendere del tutto come fosse l'automobilismo del tempo.

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chi l'inglese non lo mastica proprio, si deve attaccare al tram? :doh:

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Non vi sembra che i piloti odierni si dovrebbero vergognare quando fanno certi dichiarazioni....nei confronti di queste persone che hanno rischiato davvero al massimo?

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Sul significato della morte nelle corse automobilistiche (perdonate se uso la dizione "F1" solo quando necessario), mi sembra illuminante quel che dissero Stirling Moss e Mike Hawthorn prima dell'ultima decisiva gara del Mondiale '58, ai primi di ottobre, quando i due contendenti rilasciano un'intervista in tandem a Peter Garnier, direttore della rivista inglese "Autocar", trasmessa alla radio.

Ad agosto al Nurburgring su una Ferrari era morto Peter Collins, compagno di squadra di Hawthorn ma soprattutto amico fraterno.

 

Moss: "Ci? che rende sublime questo sport ? l'eterno e sempre presente pericolo della morte. Se non esistesse questa minaccia, continuamente sospesa sulla nostra testa come una spada di Damocle, molto probabilmente non correremmo pi?. Il bello della competizione ? che al Nurburgring ci sono ben 172 curve da superare a ogni giro".

 

Hawthorn: "Giustissimo. A Silverstone, se il pilota compie un errore, vi ? sempre una scappatoia, una via d'uscita e di salvezza, e questo toglie qualsiasi piacere alla competizione. Per noi piloti ? cos?, anche se so che quanto affermo rischia di apparire sadico".

 

Moss: "E' per questo che i veri equilibristi non usano mai la rete durante le loro ardite e pericolose esibizioni".

[...]

E' interessante come la morte di Jim Clark abbia rappresentato in un certo senso lo spartiacque tra due generazioni di piloti. Fino a quel momento tutti pensavano che la possibilit? di sopravvivenza fosse sostanzialmente legata alla capacit? di guida. Da qui nasceva il paragone con l'equilibrista, il quale, rete o non rete, conta solo sulla sua abilit?.

 

Dopo Hockenheim, invece, compresero appieno che la loro vita non era pi? nelle loro mani, ma nei capricci meccanici delle loro fragili auto...

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