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The King of Spa

Ferrari Indianapolis - Il sogno proibito del Drake

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5 maggio 2013 – Non si sono ancora spenti gli entusiasmi degli appassionati per l’arrivo in volata di quattro Dallara motorizzate Chevy nell’ultima edizione della “500 Miglia di Indianapolis”.

Uno sprint che ricorda per certi versi l’epilogo del Gran Premio d’Italia a Monza del 1971, quando cinque piloti tagliarono il traguardo racchiusi in un solo secondo. Allora la vittoria andò all’inglese Peter Gethin al volante della BRM, mentre a Indy s’è imposto il brasiliano Tony Kanaan. Un trionfo, si dice propiziato anche dalla presenza di Alex Zanardi, che per volontà di Jimmy Vasser, team owner del vincitore, ha toccato ripetutamente la monoposto pochi attimi prima del via. Tutto questo dopo che la medaglia d’oro vinta da Alex ai giochi olimpici di Londra, era rimasta appesa al roll-bar della vettura di Kanaan parcheggiata nel garage durante tutto il week-end. Un aneddoto, che contribuisce ad aumentare la magia di un’impresa andata in scena su un palcoscenico leggendario di suo.

Con tutto rispetto dei Grand Prix di F.1, la “500 Miglia di Indianapolis”, ha da sempre esercitato un fascino unico ed inarrivabile nel motorsport. Forse solo la “24 Ore di Le Mans” è in grado di contendere alla corsa americana, lo scettro del mito. Ne sa qualcosa anche il grande Enzo Ferrari, che ne fu contagiato sin da ragazzo. E’ lo stesso Ferrari a raccontare che nel 1912, viene colpito da una fotografia pubblicata su un numero de “La Stampa Illustrata”, che ritrae il pilota italo-americano Ralph De Palma(foto sotto) alla guida di una vettura da corsa alla “500 Miglia di Indianapolis”; gara in cui De Palma trionferà tre anni dopo.

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Ebbene, a detta del “Drake”, è proprio quello il momento in cui scocca la fatidica scintilla: “Questo è un italiano. Perché un giorno non potrei anch’io essere un pilota d’automobili?” – si chiede Ferrari, che poi aggiunge - “Tutti gli atti venuti in seguito, sono stati una conseguenza di questo sogno dell’adolescenza.”

Un obbiettivo che si realizza nel corso degli anni e che vede il “Drake” andare oltre la carriera di pilota, diventando un costruttore di fama mondiale. I suoi modelli non solo vincono in pista, ma sono molto ambiti nella produzione di serie. Le “rosse” contrassegnate dal Cavallino Rampante su uno scudetto giallo invadono i mercati esteri, compreso quello d’oltreoceano. Ad importare in America le fuoriserie prodotte a Maranello, è Luigi Chinetti, il quale ritiene importante, dal punto di vista commerciale, la presenza della Ferrari ad Indianapolis. Per la verità il nome della Scuderia Ferrari, ha già vissuto dei momenti di gloria in terra americana. Nel 1936 Tazio Nuvolari s’aggiudica la prestigiosa Coppa Venderbilt a New York, al volante di un Alfa Romeo 12c schierata proprio dalla squadra corse diretta da Ferrari.

Ma nel 1952, il discorso è diverso. Da due anni è nato il Campionato del Mondo di F.1, dove il livello tecnologico a detta di molti è più elevato rispetto a quello del motorsport d’oltreoceano. La “500 Miglia”, pur facendo parte del calendario F.1, è disputata solo da piloti e scuderie americane, in quanto le compagini europee trovano particolarmente onerosa la trasferta. Anche il “Drake” è allineato su questa posizione, all’opposto di Chinetti e di Alberto Ascari. Pure il fuoriclasse milanese, pilota ufficiale del Cavallino, spinge per correre a Indy. E dopo un lungo tira e molla, il Commendatore” cede. Ovviamente sottolineando che si tratta solo di una partecipazione a carattere sperimentale; vuoi per accontentare Ascari, vuoi per l’aiuto economico ricevuto dalla Champion Italia, diretta dall’ingegner Aldo Daccò. Ferrari si limita così a spedire soltanto la monoposto, dal momento che i ricambi e tutto l’occorrente sarebbe stato fornito in loco dal concessionario Chinetti.

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Oltre al pilota prendono parte alla spedizione l’ingegner Aurelio Lampredi, il direttore sportivo Nello Ugolini, il capo meccanico Stefano Mazza e altri due meccanici. La monoposto è la 375 Indy, ribattezzata “Ferrari Special”, la cui scritta spicca in bella evidenza sul cofano. Si tratta di un modello utilizzato nella stagione F.1 del 1951, spinto da un motore V12 con potenza massima di 384 cv e 7.500 giri. La vettura è preparata a Maranello, insieme ad altri 3 modelli destinati a piloti americani (Johnnie Parsons, Bobby Ball e Johnny Mauro) puntando sull’affidabilità, ai minori consumi e ai rifornimenti veloci. Premesse che fanno ben sperare, anche a detta della stampa Usa, che accredita alla scuderia italiana, buone probabilità di successo. Anche “Ciccio” Ascari, è fiducioso. Ritiene infatti che la media di 185 Km/h ottenuta a Monza con le curve e le varie insidie del tracciato brianzolo, sia quasi alla pari con i 200 orari del catino di Indy.

Partiti circa un mese prima della gara per prepararsi al meglio, i ferraristi si rendono però subito conto che non si tratta di una passeggiata. Abituati in Europa, dove sono osannati dai tifosi, in America vengono accolti con una certa indifferenza, che di li a poco avrà delle conseguenze negative sulla raccolta di nuovi sponsor. Sulla livrea rossa della 375, compariranno soltanto i marchi della Mobil e della Grant. Mai problemi più grossi emergono non appena la vettura scende in pista. Infatti, manca sia di velocità sui lunghi rettilinei, che di trazione all’uscita delle quattro curve. Questi tornanti tutti uguali, sollecitano parecchio le sospensioni ed il cambio a più rapporti costringendo “Ciccio” a fare i numeri ad ogni entrata in curva. Si trova a dover scalare velocemente in terza marcia, al fine di trovare l’aderenza necessaria per mantenere la monoposto in traiettoria.

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Guai seri, che vengono evidenziati anche da Walt Faulkner, un pilota che dopo aver provato la 375 di Parsons, consiglia di rimettere l’auto sulla nave, perché: “a Indy non andrà da nessuna parte”. Malgrado tutto, Ascari supera il rookie test, la prova di sei giri riservata ai debuttanti, anche se la 375 necessita ancora di sostanziali interventi per essere competitiva.

Da Maranello vengono inviati quattro carburatori Weber quadricorpo al fine di aumentare la potenza, ma arriveranno a destinazione solo pochi giorni prima della corsa, complice un disguido che li fa finire dapprima allo scalo di St. Louis. Sabato 24 maggio, è il giorno in cui Ascari affronta la qualifica. A differenza della F.1 dove conta il tempo sul giro, a Indianapolis vale la velocità media su quattro tornate consecutive del catino. Grazie alla sua classe, Ascari impressiona per la regolarità sui quattro passaggi, facendo registrare un tempo di 4’e 28” alla media di 216,147 km/h.

Risultato che lo classifica al 19°posto su 33 partenti (di cui 32 statunitensi). Da un lato è una prestazione deludente per le aspettative iniziali della scuderia, ma a fronte dei guai sorti a posteriori, qualcuno parla di miracolo. Soprattutto se si pensa che i tre piloti USA al volante delle altre “rosse”, sono rimasti esclusi; e non parliamo di novellini. Così quando il 30 maggio scatta la “500 Miglia”, Ascari parte dalla settima fila, deciso a non deludere il folto pubblico assiepato sulle tribune del Motor Speedway. Forte della sua esperienza “Ciccio” comincia a rimontare posizioni su posizioni, fino a raggiungere l’ottava piazza. Purtroppo però al 41° passaggio, il destino si accanisce nuovamente sulla travagliata trasferta ferrarista. Il mozzo della ruota posteriore destra si spezza, mandando la 375 in testa coda mentre percorre in pieno la curva 4, ossia la nord-ovest.

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Ascari riesce comunque a governare la monoposto impazzita e fortunatamente viene evitato dai concorrenti che sopraggiungono dalle retrovie.Dopo 37 minuti circa e 170km di corsa, ad Ascari non resta che scendere dalla macchina e spingerla in una posizione più sicura all’interno del circuito, aiutato da alcuni pompieri. Un disamina più approfondita del guasto parlerà di cedimento della flangia di fissaggio dei raggi della ruota in lega leggera. Un particolare importante visto che 28 vetture su 33, montavano ruote a raggi al fine di sopportare meglio il forte effetto della forza centrifuga verso destra, generato dai quattro curvoni tutti a sinistra. Altro fatto significativo riportato da Cesare De Agostini nel libro “Ascari, un mito italiano”, parla di una confidenza fatta da Ugolini al giornalista Gianni Cancellieri, secondo cui nel corso delle prove si era affrontato il rischio di un’eventuale rottura della flangia, ma non si poteva fare nulla in quanto le ruote erano fornite dalla Rudge Whitworth, una società che aveva finanziato la trasferta insieme alla Champion. Sempre a detta di Ugolini, il mozzo della ruota si era fuso coi raggi, al punto da dover richiedere l’uso prolungato della fiamma ossidrica per liberare la ruota stessa.

Inutile parlare del disappunto di Ferrari per l’esito fallimentare di una spedizione, che aveva avversato fino all’ultimo. Si pensi che il Cavallino nero, comparve nel logo, posizionato vicino agli specchietti, solo pochi istanti prima dell’inizio delle prove. Sarà questa l’unica apparizione di una monoposto di Maranello alla “500 Miglia”.

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Quattro anni dopo, sull’ovale dell’Indiana, sarà presente un motore “made in Maranello”, ma non avrà maggiore fortuna. Si tratta del 6 cilindri di 4,4 litri montato sulla Kurtis Kraft pilotata dal primo campione del mondo F.1 Nino Farina.

Un sogno cullato dal 52enne pilota torinese ormai a fine carriera. Dopo un assemblaggio iniziato prima a Maranello e poi completato nelle officine della Osca dei fratelli Maserati, Farina effettua dei collaudi sull’anello sopraelevato di Monza, ottenendo dei riscontri confortanti. Nella speranza di avere miglior sorte di Ascari, la spedizione parte alla volta degli Stati Uniti, grazie al contributo fornito dalla Bardhal, un’azienda di lubrificanti. Per tutto il mese che precede la gara, Farina cerca di capire al meglio la pista americana, girando instancabilmente ogni giorno. Passa il test d’ammissione e si presenta fiducioso alle qualificazioni. Sarà invece vittima di un cinico scherzo del destino. Un forte diluvio si abbatte sulla pista proprio nel momento in cui Farina e altri dodici piloti, devono scendere in pista per le tornate di qualifica. Risultato: fine dell’avventura. All’asso italiano non resta che rinviare il suo debutto all’anno successivo, sperando in una sorte migliore.

Trascorrono esattamente trent’anni ed ecco che a Maranello si torna a parlare di Indianapolis. E’ il periodo in cui la F.1 sta vivendo una tormentata fase politica. Da una parte c’è Bernie Ecclestone sempre più padrone del Circus, dall’altra c’è la Federazione Internazionale presieduta da Jean Marie Balestre, che non intende cedere lo scettro del potere. E poi c’è Enzo Ferrari, che resta una figura carismatica dall’indiscutibile peso politico ed economico. Tre entità che nel respingersi, si controbilanciavano al tempo stesso, garantendo uno strano equilibrio. Ed è così che nel corso dell’ennesima battaglia, Ferrari alza la voce minacciando di abbandonare il Circus, sapendo benissimo che valore avrebbe avuto un mondiale orfano del Cavallino. Non pago di ciò, temendo che Ecclestone e Balestre possano credere al classico bluff, il Drake ordina ai suoi ingegneri di progettare una vettura per la Formula Indy. L’incarico viene subito assunto da Gustav Brunner per quanto concerne il disegno e da Harvey Postlethwaite, per quanto riguarda la costruzione.

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Capeggiato dall’esperto Antonio Bellentani, un piccolo gruppo di meccanici lavora a spron battuto in una parte del reparto di corse di Maranello e nel giro di poco tempo la monoposto è pronta. Domenica 20 luglio 1986, come racconta Franco Gozzi, grande braccio destro di Ferrari nel suo volume “Alla destra del Drake”, la vettura viene immortalata in alcuni scatti fotografici in un cortile dell’azienda. Il modello porta la sigla 637 Indy, spinto da un motore ad 8 cilindri a V di 90° con compressore e dalla cilindrata di 2.648,81 cc. Sviluppato, così come il cambio dall’ingegner Marchetti, il propulsore è in grado di sviluppare una potenza pari a 690 cavalli a 12 mila giri. Una monoposto realizzata grazie anche alla consulenza fornita dal team Truesport, nelle figure del campione Bobby Rahal e del responsabile Steve Horne. Rahal sta infatti dominando la Champ Car al volante di una March 85C motorizzata Cosworth V8 turbo. Proprio il modello a cui la Ferrari decide di ispirarsi.

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La 637 non solo compie alcuni giri di prova a Fiorano, ma secondo voci provenienti da oltreoceano, pare che il team Truesport l’ abbia iscritta alla gara di F. Cart in calendario il 12 ottobre del 1986 a Laguna Seca. Ovviamente le notizie corrono, alimentate anche ad arte dallo stesso Ferrari, che fa filtrare alla stampa, una foto della macchina. Da quel momento in poi però il progetto si blocca improvvisamente. Che è successo? Evidentemente Ferrari deve aver ottenuto da Ecclestone e Balestre quello che voleva. Ecco quindi che il reparto viene smantellato e la 637 finisce in magazzino. Anzi, per la verità viene ceduta all’Alfa Romeo, che pare orientata verso una partecipazione alle corse d’oltreoceano. Programma che anch’esso finirà in un nulla di fatto. Così per l’unico esemplare della 637, si apriranno le porte della Galleria Ferrari a Maranello.

Sebbene la Ferrari non parteciperà mai ad una “500 Miglia”, non perderà l’occasione di essere protagonista al Motor Speedway di Indianpolis, quando la F.1 tornerà a correre a partire dal 24 settembre del 2000.

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Proprio in quella data, Michael Schumacher conquista la prima delle sue cinque vittorie a Indy al volante della rossa, che s’imporrà anche nel 2002 con il brasiliano Rubens Barrichello. Una possibile partecipazione alla serie USA e alla “500 Miglia”, tornerà a fare capolino nelle stanze dei bottoni di Maranello intorno al maggio del 2009. In piena guerra contro la Fia di Max Mosley, il CdA del Cavallino minaccerà di non iscrivere la scuderia al mondiale 2010. E Luca di Montezemolo comincerà a strizzare l’occhiolino all’America, oltre che alle gare endurance, come la “24 Ore di Le Mans”. Alla fine tutto si esaurirà in una bolla di sapone e le rosse continueranno a disputare il Mondiale di Formula 1.

F1Passion

 

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Il motore 8 cilindri era sostanzilmente il motore V8 della GTO già sviluppato nel 1982. Dunque almeno a livello di motore, un ideuzza ce l'avavno già. Poi il motore venne dirottato sulal lancia LC2 nel 1982-83, anche se Ferrari pose il veto a denominarlo "ferrari".

 

Tale motore vene poi ripescato nel 1989 e marchiato "Alfa Romeo"... una pagina non gloriosa.

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infatti ho sempre pensato che se la Ferrari fosse davvero andata a Indy, avrebbe fatto una figuraccia con tale ciofeca di motore.

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in definitiva, vista l'accortezza nello spendere del Drake, quanto era "reale" quella monoposto?

Secondo me un vero e proprio bluff a costo quasi zero, secondo voi? Se FIA avesse vinto la guerra dei premi, la Ferrari avrebbe ceduto o sarebbe andata veramente in America?

 

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la macchina era una macchina vera e propria. L'unica cosa è che è nata in troppo poco tempo per essere competitiva. Verosimilmente, sarebbe stata una macchina da test come la 639, ma non credo fosse decente per andare in pista alle gare.

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