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Lodovico (Ludovico) Scarfiotti

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Preciso che questo ? un articolo del 2003, quindi l'8 Giugno 2008 saranno in realt? 40 anni dalla sua morte (come per Jim Clark). L'articolo ? di Donatella Biffignardi, apparso su "La Manovella" nel numero di Settembre 2003.

 

TRENTACINQUE ANNI FA MORIVA LODOVICO SCARFIOTTI

 

Trentacinque anni fa, l?8 giugno 1968, moriva Lodovico Scarfiotti al volante di una Porsche 910, mentre stava provando il percorso del ?Premio delle Alpi?, seconda prova del Campionato d?Europa della Montagna che doveva svolgersi il giorno successivo.

 

Come definire questo grande pilota italiano? Se la domanda fosse stata rivolta direttamente a lui, egli non avrebbe definito se stesso il pi? grande stradista e fondista del suo tempo, il massimo pilota di corse in salita, l?ultimo grande gentleman ? driver dello sport automobilistico, che sono le definizioni pi? frequentemente usate per Scarfiotti. Egli avrebbe voluto parlare di s? come pilota eclettico, in grado di dare il meglio su una corsa in salita come su una di Formula 1, la categoria alla quale aspirava con tutte le sue forze. Per tutta la vita (peraltro breve: quando mor?, aveva appena trentacinque anni), egli si port? dietro, quasi fosse un marchio negativo, il riconoscimento di una eccezionale bravura per le corse su strada e di resistenza, che per? adombrava non altrettanta capacit? per quelle su un circuito di F1. Quanto gli bruciarono le parole pronunciate al termine della stagione 1967 da Franco Lini, direttore sportivo della Ferrari, la squadra con cui aveva corso fin dal 1962! ?L?inserimento di questo pilota nella squadra di F1 non ha avuto un esito positivo ? dichiar? Lini in una intervista ad ?Auto Italiana? del 30 novembre 1967. ?Anche la stampa espresse a suo tempo un giudizio del genere. D?altronde c?? da considerare che Ludovico era da troppo tempo lontano dalle monoposto, perch? potesse rendere in pieno. Per lui si trattava di riprendere praticamente da zero, in et? non pi? giovanissima. N? ? valsa la sua pur notevole esperienza con i prototipi, che sono e restano vetture profondamente diverse, con una guida diversa?. Scarfiotti temeva che in questo giudizio rientrasse ci? contro cui aveva lottato tutta la vita: l?etichetta del pilota ricco, del ragazzo privilegiato che si butta nelle corse per il piacere di farlo, con il sostegno economico di una facoltosa famiglia alle spalle.

 

Questo non era lontano dal vero. Lodovico, nato a Torino il 18 ottobre 1933, non aveva fatto che riprendere una tradizione familiare. Il nonno avvocato, Lodovico come lui, era stato tra i fondatori e primo Presidente della Fiat (vedi box). Il padre, ing. Luigi, deputato al Parlamento italiano, era stato in giovent? un buon pilota: aveva partecipato a cinque Mille Miglia, dal 1928 al 1933, al volante di vetture prima Lancia poi Alfa Romeo, classificandosi sempre bene e segnando addirittura un terzo posto assoluto nel 1932, dietro Borzacchini/Bignami e Trossi/Brivio. La famiglia era proprietaria dal 1908 di uno stabilimento per la produzione del cemento a Porto Recanati, nelle Marche, che nel secondo dopoguerra dava lavoro a 150 persone. L?infanzia e l?adolescenza del piccolo Lodovico erano state sicuramente dorate. Anzich? trastullarsi con una macchinina a pedali, che gi? rappresentava un sogno per tanti ragazzini dell?epoca, a otto anni si divertiva a guidare una vetturetta in miniatura, dotata di un motore Benelli 175, con tanto di cambio a tre marce, colore argento e forme che riecheggiavano quelle delle mitiche Mercedes e Auto Union dei primi anni quaranta, che gli aveva costruito l?uomo di fiducia di suo padre, Giacomo Foresi. Con un inizio cos?, il resto era facilmente prevedibile. A diciott?anni, la patente. A diciannove, la prima corsa, nelle Marche, su una Fiat 500 C con cui si classifica primo di categoria. Dopo qualche gara a carattere regionale, il debutto sulla scena agonistica nazionale alla Mille Miglia del 1956, su una Fiat 1100 TV elaborata da De Sanctis. Il risultato non ? male per un esordiente: primo di categoria 1300 cc, media di 108 km/h, 14 ore e trentanove ore di guida filate, senza un attimo di sosta. Fu la gara-spartiacque, che segn? l?ingresso in una dimensione professionale. L?anno dopo acquista una Fiat 8V 2000 carrozzata Zagato con cui vince sei corse e conquista due titoli di Campione Italiano Gran Turismo: velocit? e montagna. Nel 1958, altro acquisto: una Osca 1100 sport. Partecipa a quattordici gare e ne vince dodici, tanto da risultare nuovamente Campione Italiano e vincitore del Trofeo della Montagna anche per la classe 1100 sport. Con la Osca continua a correre per altri tre anni, dal 1959 al 1961, migliorando ulteriormente le sue eccezionali doti di pilota di vetture sport, sia in montagna sia in circuito. Nel 1962 cambia scuderia: gareggia per la Ferrari e per la Scuderia Sant?Ambroeus. Su una Ferrari Dino 2000 vince il Campionato Europeo della Montagna, su una Abarth 1000 il circuito del Garda. E arriva il 1963, l?anno della consacrazione a pilota internazionale di grande valore. Due vittorie clamorose, alla 12 ore di Sebring in coppia con Surtees, alla 24 ore di Le Mans, in coppia con Bandini, un secondo posto alla Targa Florio e soprattutto il debutto nella F1, con un sesto posto al Gran Premio d?Olanda a Zandvoort, sempre su Ferrari. Ma succede l?imprevisto: nelle prove del Gran Premio di Reims Lodovico slitta sul fondo bagnato del tracciato, esce di strada e si ferisce gravemente. E? ?la sua pi? grande paura?, come disse qualche anno pi? tardi. ?Filavo a 220-230 all?ora. E sono uscito di strada. Mi sono fermato dopo un duecento metri, dopo aver sradicato due pali telegrafici. Mi sembrava di essere chiuso dentro un bidone di benzina?. Sul letto d?ospedale Scarfiotti parla di abbandono definitivo delle corse. Nessuno se lo aspetta; ?Autosprint? scrive: ?Lul? Scarfiotti ha corso una sola estate, un?estate calda e breve. E quando ormai sembrava che le folle sportive avessero trovato in lui un nome da accoppiare ai grandi dell?automobilismo italiano di ieri, quando c?erano tutte le premesse per una folgorante e brillantissima carriera, quando davvero sembrava che l?automobilismo di casa avesse generato un campione, ecco la sua rinuncia, la sua astensione, il suo rifiuto?. Allora aveva ragione chi aveva scritto che ?il vincitore dell?ultima 24 Ore di Le Mans ha l?aspetto di uno di quei rampolli di buona famiglia ben provvisti di mezzi, che sono i clienti pi? affezionati dei night-clubs della Versilia, cui la Ferrari serve solo a far colpo sulle bellezze nordiche che calano in Italia in cerca di sole e di amore?. E? una frase che ha su Scarfiotti un effetto rivitalizzante. Non pu? lasciare che di lui si dica una cosa del genere. Si ritrova per l?ennesima volta a scontare una condizione privilegiata, peraltro innegabile, dato un impegno finanziario, per un giovane pilota, di almeno venti milioni di lire a stagione. Non sopporta di vedersi contrapposto a Bandini, altro pilota italiano emergente, partito da condizioni sicuramente pi? disagiate. Bandini ? la favola del giovane povero ma bello, che arriva a primeggiare con la sola forza del suo talento; Scarfiotti passa la vita a dimostrare di non essere il figlio di pap?, di non essere soltanto un dilettante di razza. E? consapevole che il mondo sportivo vuole fargli pagare il fatto di ?vivere per le corse, e non con le corse?, ma certe volte ? lui il peggiore nemico di se stesso. Ha ragione Canestrini quando scrive (?L?Automobile?, 1966), all?indomani della sua vittoria a Monza: ?Si diceva che non era fatto per le corse di formula uno. Ma ? pi? probabile che fosse lui a non credere di essere in grado di misurarsi con i celebrati campioni inglesi nel campo delle grand prix. A queste vetture e a queste competizioni Ludovico Scarfiotti arriv? per ragionamento. Non ? stato uno di quei corridori che si suole dire siano ?nati? per le corse. E? stato invece uno dei corridori che ha dovuto maturare?Per questo la sua vittoria, il suo successo sono importanti?. Di questa insicurezza, di questo ?complesso di superiorit??, Scarfiotti non riesce a liberarsi, e lo rivela in un?intervista rilasciata dopo l?incidente di Reims (nello stesso anno perci? della sua sfolgorante vittoria a Le Mans): ?Non pensavo alla F1, o meglio ci pensavo come ad un sogno proibito, io che ho quasi sempre corso come dilettante. ? Le aziende di mio padre non mi consentono pi? di fare il figlio di pap? come ho fatto fino ad ora?.

 

Dice queste cose prima che le dicano altri, ma non ? vero nulla, e alla F1 ci pensa, eccome. Alla ripresa della stagione 1964 ? di nuovo sui campi di gara. Con la Ferrari vince, in coppia con Vaccarella, la 1000 km del Nurburgring, e la 12 ore di Reims, in coppia con Parkes. Si classifica primo anche nella gara in salita di Ollon Villars, con la Ferrari 250 Le Mans. Il 1965 e il 1966 sono stagioni magiche. Con la Ferrari Dino 206 vince di nuovo il Campionato Europeo della Montagna; con il prototipo 4000 la 1000 km del Nurburgring (e due). Giunge secondo, sempre con la 4000 e sempre con Parkes, alla 1000 km di Monza. Alla fine della stagione ? insignito del premio ?Ascari-Castellotti-Musso? quale miglior pilota italiano dell?anno. Altrettanto ricca di successi, e forse pi?, ? la stagione 1966. Conquista, in coppia con Surtees, la 1000 km di Spa, e soprattutto vince, con la Ferrari 312 F1-66 a 12 cilindri, il Gran Premio d?Italia a Monza. E? la prima volta che vince un italiano dopo Ascari, nel 1952: quattordici anni di attesa. E? la sua vittoria pi? grande, quella che ne consacra definitivamente il valore come pilota della massima categoria, quella che ne sancisce il ruolo all?interno della squadra Ferrari.

 

O cos? pensa lui. Le cose, nella realt?, andarono diversamente, proprio nel momento della pi? grande aspettativa. Lodovico infatti, dopo quella vittoria, da? per scontato che il suo posto in squadra sia riconosciuto e definitivo. Apre la stagione con due secondi posti alla 24 di Daytona e alla 1000 km di Monza, in coppia con Parkes. Non sono queste per? le gare che lo interessano di pi?. Gli pare molto pi? significativo, ai fini del proseguimento della sua carriera, il quinto posto al Gran Premio di F1 a Brands Hatch. Ed ora c?? Montecarlo, il gran premio pi? ambito, pi? blas?, pi? mondano (e difficile) della stagione di F1. Ma siccome con Enzo Ferrari non c?? nulla di scontato, ha l?amara, amarissima sorpresa di essere invitato al Gran Premio di Monaco insieme a Lorenzo Bandini, e di vedere affidare una macchina solamente a quest?ultimo. Da prima guida ? di nuovo catapultato nel limbo dei dilettanti, dei semi-professionisti, e proprio a vantaggio e per causa di quel Bandini che nutre verso di lui un ?complesso d' inferiorit?? speculare al suo ?di superiorit??. ?Dieci giorni prima del gran premio ? ? Ferrari che parla, nel suo ?Piloti che gente? ? Bandini mi aveva esternato la sua apprensione. Sentiva una rivalit? con l?altro italiano della squadra, Scarfiotti. La sentiva dal settembre di Monza 1966, dal giorno della trionfale affermazione del compagno nel Gran Premio d?Italia. La sua (di Bandini) vittoria con la P4 nella 1000 km monzese, alla vigilia del Gran Premio di Monaco, aveva rinverdito questa sfida. A Montecarlo voleva sentirsi tranquillo, non voleva Scarfiotti e mi mostr? un giornale che soffiava sul fuoco di questa rivalit?. Non lo disse, ma lo capii, che vedeva in Scarfiotti tutto quello che lui, Lorenzo, non era mai riuscito ad essere. Ludovico era il ragazzo ricco, felice, che aveva trovato nella sua vita le tappe gi? tracciate, anche se per questo aveva voluto guadagnarsi con il rischio qualcosa di suo. Lorenzo sentiva epidermicamente questa differenza. Lo ingelosiva quell?amico che aveva affrontato la carriera agonistica con la tranquillit? di trovare una strada e superare la normale routine?? Ferrari lo accontenta: Scarfiotti non correr? a Montecarlo.

 

E? un gran premio segnato da un evento atroce, il Monaco 1967: Bandini va fuori strada, la sua Ferrari si incendia, morir? dopo qualche giorno di terribile agonia. L?impressione ? grandissima, non solo negli ambienti sportivi. Al Gran Premio di Siracusa Scarfiotti e Parkes arrivano appaiati, e dedicano il premio al compagno appena scomparso. La stagione sembra essersi improvvisamente spenta: a Lodovico ? data una macchina soltanto al Gran Premio d?Olanda (sesto) e al Gran Premio del Belgio (ritirato).

 

Il 26 ottobre 1967 ?Auto Italiana? pubblica tre righe che hanno l?effetto di un vero fulmine a ciel sereno: ?Lodovico Scarfiotti ha firmato il contratto con la Porsche, con la quale disputer? l?anno prossimo il Campionato Europeo della Montagna. Inoltre il pilota italiano sar? impegnato, sempre per la marca tedesca, nella Targa Florio, nella 1000 km di Monza e in quella di Nurburgring oltre che alla 24 Ore di Le Mans?. Nessuno se lo aspettava. Scarfiotti diventa ?un caso?, che alla Ferrari definiscono ?nebuloso?. ?Dopo la gara conclusiva del campionato marche a Brands Hatch ci lasciammo in buoni rapporti ? dice in una intervista il direttore sportivo Lini ? stabilendo di rivederci in seguito per discutere i programmi futuri. Poi siamo venuti a sapere dei suoi contatti con altre case. Noi pensiamo di non avere alcuna responsabilit? in tutta la vicenda??. La risposta di Scarfiotti non si fa attendere, ed ? veemente, risentita, amara. Tutta la delusione, la frustrazione, l?amarezza degli ultimi mesi se non anni viene a galla in una analisi che non lascia scampo, n? vie di ritorno: ?Malgrado fossi arrivato alla F1 tardi?ero riuscito a non sfigurare in quelle poche gare a cui presi parte vincendo anche il Gran Premio d?Italia a Monza. Pensavo di poter difendere questa vittoria nel ?67 e dare agli italiani e alla Ferrari le soddisfazioni che io stesso cercavo. Invece non mi ? stata praticamente mai data la possibilit? di fare nella corrente stagione un buon allenamento. A Montecarlo poi, malgrado vi fosse una vettura iscritta a mio nome, non sono partito, e questo vale per il restante scorcio di stagione ? E? mio convincimento di non aver potuto dare alla Ferrari il meglio delle mie possibilit? perch? non sono stato guidato come avrei dovuto. In conclusione ? il direttore sportivo che dovrebbe insistere affinch? i suoi piloti facciano allenamenti adeguati?.? lui che deve seguire e capire i suoi piloti e riferire molto obiettivamente e con la competenza che gli dovrebbe essere congeniale l?opinione sui medesimi in alto loco presso la casa per cui lavora. Sono rimasto profondamente deluso dall?essere stato praticamente costretto a lasciare la Ferrari??. Il giudizio di Enzo Ferrari ?, naturalmente, diverso. Egli dir? di lui, anni dopo: ?Salito sulla F1 non voleva scenderne, anche se il suo stile non si conciliava con il necessario affinamento?. Attribuir? anche ad una lettera di Gianni Agnelli, che gli esprimeva la preoccupazione che il cugino Lodovico potesse incorrere in una tragedia come quella monegasca, la decisione di non affidargli alcuna vettura in occasione del Gran Premio d?Italia 1967. Sta di fatto che per Lodovico quella decisione segn? un punto di non ritorno nei suoi rapporti con la Ferrari. Si presenta a Monza alla guida di una Eagle (ritirato), ed insieme al contratto con la Porsche firma anche un impegno con la Cooper per una prima guida in F1.

 

A Capodanno, al Gran Premio del Sudafrica, ha un banale quanto fastidioso incidente che lo costringe all?immobilit? per un paio di mesi. Riprende l?attivit? in primavera, e ancora una volta annuncia di voler presto abbandonare le cronoscalate per dedicarsi unicamente alla massima categoria.

 

Nei primi giorni di giugno si reca a Rossfeld, nella Germania meridionale al confine con l?Austria, per le prove del Premio delle Alpi. Il giorno prima della gara ? tranquillo, sicuro, in forma. Sale sulla sua Porsche 910, a otto cilindri e 270 cavalli, e percorre una prima volta il tracciato, lungo complessivamente sei chilometri, con un dislivello di 505 metri e pendenze fino al 13%. Lo imbocca una seconda volta, ma all?altezza di una stretta curva a destra, la quarta dalla partenza, al chilometro 2,4 del percorso, in un punto tra i meno pericolosi perch? al termine di un quasi ? rettilineo, esce di strada, rotola in una scarpata, e riporta ferite mortali. Nessuno ha assistito all?incidente, che ? ricostruito solo sulla base delle tracce lasciate dalla vettura sull?asfalto. Da queste tracce si capisce che Lodovico, che viaggiava ad una velocit? tra i 130 e i 140 km/h, ha frenato a fondo circa 60 metri prima della curva e non ha pi? alzato il piede dal pedale. Una striscia nera lasciata dalle gomme, senza accenno di sbandata, si interrompe sul ciglio della strada, nel punto in cui la Porsche ? uscita come un bolide volando contro alcuni alberi che crescono una decina di metri sotto il livello stradale. Scarfiotti ? proiettato fuori dalla vettura e finisce contro altre piante. Nonostante il casco, riporta ferite gravissime al capo e muore durante il trasporto in ambulanza a Berchtesgaden.

 

L?incidente sembra incomprensibile. Perch? ha frenato cos? a lungo, senza sterzare? Il fondo non era ancora bagnato, non vi sono segni di collisione con nulla. Gli organizzatori parlano subito di velocit? eccessiva: Scarfiotti cio? non soddisfatto del tempo fatto registrare durante la prima prova, avrebbe forzato eccessivamente il ritmo non riuscendo poi a mantenere il controllo della macchina. Ma qualche giorno dopo la tragedia ?Autosprint? pubblica il resoconto di una conversazione avuta da Lodovico il 4 giugno con un giornalista del quotidiano sportivo bolognese ?Stadio?. Egli parla dell?ultima gara del Campionato Europeo della Montagna, in Spagna, vinta dal suo pi? agguerrito avversario, il tedesco Mitter. ?Lo sai che in Spagna, a Montseny in prova, sia io sia Mitter ci siamo trovati con gli sterzi rotti? Pazzesco. Si sono letteralmente incrinati i tiranti. Che ti devo dire? Questa storia degli alleggerimenti a tutti i costi sta diventando una pazzia. Alleggerisci qui, alleggerisci l?, ? una corsa forsennata. Non lo scrivere, ma pare che abbiamo addirittura delle parti di questi organi in duralluminio. Certo che sono ?piume?, ma certo che non resistono, anche se le gare in salita sono brevissime o quasi?? Quanto pubblicato diventa una testimonianza agghiacciante, un atto di accusa preciso. Ma il 10 giugno la Procura di Stato di Traunstein gi? conclude l?inchiesta tecnica sulle cause dell?incidente. I rottami della Porsche sono riconsegnati al costruttore, senza che siano emersi difetti tecnici della vettura. Il direttore del reparto corse della casa tedesca, Huschke von Hanstein, interviene duramente: ?Le affermazioni riportate da Stadio non corrispondono a verit?. I tecnici non hanno accertato alcun guasto alla vettura di Scarfiotti, che non ? mai rimasta in panne?. Allora, come si spiega quello che ? successo? La risposta di von Hanstein ? secca e perentoria: ?Lodovico ha sbagliato. Si sentiva forse troppo in forma, troppo sicuro, ed ? andato troppo forte?. E l?incidente ? chiuso.

 

 

 

Box su Lodovico Scarfiotti (senior)

 

Fu il primo presidente della Fiat, dall?11 luglio 1899, data di fondazione della societ?, all?11 agosto 1908.

 

Nato a Torino il 21 gennaio 1862, entr? in rapporti d?affari con i fratelli Ceirano, pionieri del motorismo italiano, dalla cui piccola azienda sarebbe derivata, indirettamente, la grande industria torinese.

 

Laureato in legge, fu esponente di spicco di quella borghesia subalpina che intu? le possibilit? di sviluppo dell?automobile in Italia e, con il Cav. Giovanni Agnelli, orient? la propria visione verso l?esigenza di una produzione industriale fin dall?inizio, appassionandosi ai progressi del veicolo a motore e prendendo parte alle prime gare automobilistiche.

 

Ebbe anche interessi ed incarichi in altre attivit?: dal 1902 al 1911 presidente della Societ? Italiana del ghiaccio artificiale; dal 1906 al 1908 presidente della Krios Societ? Applicazioni Frigoriferi; consigliere della Casa editrice Stroglio e della Societ? Porcheddu per l?ingegneria civile; consigliere della Lega Industriale. Tra le societ? da lui presiedute, contemporaneamente alla Fiat: la Fiat Ansaldi, la Fiat Muggiano, la Fiat Brevetti, la Carrozzeria Industriale.

 

Il 28 giugno 1908 i locali della Fiat furono perquisiti dall?autorit? giudiziaria che sequestr? i libri sociali dell?azienda, come conseguenza della denuncia di alcuni azionisti nei confronti dei tre principali azionisti della societ?: Agnelli, Scarfiotti e Damevino, dopo la costituzione della nuova Societ? Anonima Fabbrica Italiana di Automobili (Fiat) avvenuta l'8 marzo 1906.

 

L?accusa era di ?illecita coalizione, aggiotaggio borsistico e alterazione dei bilanci sociali?. La gravit? delle accuse e il rilievo dei personaggi coinvolti indusse l?intero Consiglio di Amministrazione a presentare le dimissioni all?Assemblea straordinaria convocata l?11 agosto 1908.

 

Le lunghe vicende processuali che seguirono si conclusero con l?assoluzione degli interessati.

 

Scarfiotti mor? a Torino il 19 maggio 1924

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Ludovico fu l'ultimo italiano a vincere a Monza, per di pi? su una Ferrari. E sono gi? passati 42 anni... Chiss? quando si ripeter? un evento del genere..

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Ho saputo che Scarfiotti ogni tanto faceva delle gare con i motorini per le strade di Porto Recanati. Ad una di queste ha partecipato anche mio nonno, ma lo fece segretamente, visto che suo padre (mio bisnonno) non voleva. Peccato che tutti questi personaggi siano morti molto prima della mia nascita (mio nonno e Scarfiotti erano tanto amici) e quindi ho sempre sentito racconti da altre persone... ._.

 

Comunque come gi? detto nel thread su Jim Clark... una cosa che nessuno sa. Scarfiotti prov? la #14 Playmouth Belvedere del Friedkin Enterprises nelle prove libere dell'American 500, ultimo appuntamento del campionato NASCAR Grand National (oggi Sprint Cup), al North Carolina Motor Speedway. In gara la vettura fu portata da Jim Paschal che conquist? l'ottavo posto. Il tutto nel 1966, ovvero un anno prima della gara disputata da Jim Clark.

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penso che per un pilota italiano sulla ferrari, forse potrei addiritturare arrivare a tifarlo...

comunque sono davvero tanti anni che non abbiamo un pilota italiano degno di vincere un mondiale, l'ultimo per me ? stato alboreto.

 

dopo leggo l'articolo su scarfiotti

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Ho saputo che Scarfiotti ogni tanto faceva delle gare con i motorini per le strade di Porto Recanati. Ad una di queste ha partecipato anche mio nonno, ma lo fece segretamente, visto che suo padre (mio bisnonno) non voleva. Peccato che tutti questi personaggi siano morti molto prima della mia nascita (mio nonno e Scarfiotti erano tanto amici) e quindi ho sempre sentito racconti da altre persone... ._.

 

Sarebbe comunque interessante sapere qualche aneddoto su Scarfiotti.

Se pensiamo che ci avviamo verso un altro anno in cui un italiano non vincer? il GP d'Italia (spero di sbagliarmi!) risulta ancora pi? storica quella vittoria del 66 (che tra l'altro doveva andare a Bandini).

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Alla Porsche Ludovico arriva con i gradi del Grande pilota. Per la casa tedesca ? chiaro che si ? trattato di un vero colpaccio, le doti del pilota italiano serviranno infatti anche a mettere a punto la nuova 908.

 

Al Nurburgring tutto lo schieramento Porsche per dei test sul circuito sud.

 

68_SiffertStommelen.jpg

 

Qui Siffert e Stommelen

 

a_68_Scarfiotti.jpg

ecco Scarfiotti

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Vorrei riaprire questo topic per ricordare che ormai sono 40 anni dalla scomparsa di Scarfiotii e vorrei allargare la discussione ai piloti italiani degli anni 60. Dopo la scorpacciata di talenti degli anni 50, scomparsi per incidenti tragici o per ragioni anagrafiche, gli anni 60 presenteranno forse ilminor numero di piloti italiani, per arrivare al 1969 dove nessun italiano sar? presente al via. Tre sono i piloti che mostreranno le capacit?migliori: Bandini, che disputer? 7 stagioni tutte a buon livello, Scarfiotti, che disputer? pochissimi GP ma che sar? capace di vincere al suo quarto GP (Italia 66, ad oggi l'ultima vittoria italiana a Monza) e Baghetti, capace di vincere al suo esordio nel mondiale (era stato capace di vincere anche al suo esordio assoluto in F1). Di questo talento mai compiuto sarebbe bello magari parlarne a parte. Aggiungerei anche de Adamich,che nel 68 ebbe un grave incidente che ne pregiudic? una carriera in f1 che avrebbe potuto sicuramente riservare qualche soddisfazione in pi?.

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