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Cosworth DFV: nasce la Formula 1 moderna

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Cosworth DFV: nasce la Formula 1 moderna

 

20 febbraio 2013 – Oggi il motore in Formula 1 è stato derubricato a necessario accessorio e gli obiettivi di progetto, anche a causa di un regolamento che ne ha di fatto bloccato lo sviluppo, fanno riferimento essenzialmente all’ottenimento di vantaggi aerodinamici.

 

Ma c’è stato un tempo nel quale era l’inventiva del motorista a fare la differenza. La storia del motore Cosworth, il più longevo della Formula 1, in pista ininterrottamente dal 1967 ai primi anni 80, lo dimostra.

 

Il comando della distribuzione ha la forma di una “Y”. Proprio al centro della “Y”, dove si divaricano le bancate dell’otto cilindri a V, c’è un ingranaggio che cede con sconcertante ripetitività. Si cambia il materiale di costruzione, il disegno, la dentatura, senza esiti apprezzabili.

 

Jim-Clark-Lotus-49-436x291.jpg

 

L’avventura di Mike Costin e Keith Dukworth rischia di concludersi proprio all’indomani dell’incredibile successo ottenuto dal loro motore tre litri che, montato sulla Lotus 49, è riuscito nell’incredibile impresa di affermarsi nella gara del debutto: il Gran Premio di Olanda del 1967. Solo Mercedes, con la W 196, era riuscita a fare altrettanto, ma ora c’è quel maledetto ingranaggio a rovinare la festa. Eppure nulla, durante la fase di sviluppo, era andato storto. La motivazione di Colin Chapman, alla ricerca di un propulsore in grado di contrastare la Ferrari nel campo dei tre litri, aveva convinto una riluttante Ford, impegnata soprattutto nelle gare di durata, a gettarsi nell’impresa e a fidarsi di due ex ingegneri della Lotus che avevano dato buona prova in Formula 3 e Formula 2. Successi a ripetizione, partendo da meccaniche di serie della Ford dotate di nuove testate. Poi era arrivata la Honda. I suoi 1000 bialbero con manovellismo montato su cuscinetti a rulli installati sulla Brabham, non avevano avuto rivali e il Cosworth SCA, dotato di una testa con un solo albero a camme in testa e camera di scoppio a tetto, aveva dovuto alzare bandiera bianca.

 

Ford-Cosworth-1967.jpg

 

Convincere il costruttore americano, a quel punto, non fu un’operazione facile e, una volta ottenuto il consenso, bisognava fare i conti con finanziamenti (che oggi farebbero sorridere). Circa 300.000 dollari, sia pure rapportati al 1966, non rappresentano certo una gran cifra. Per di più nel budget concesso da Ford era compresa anche la progettazione di un motore per la nuova Formula 2, anch’essa soggetta ad un cambiamento regolamentare che prevedeva un aumento della cilindrata da 1 a 1.6 litri, da costruire in cinque esemplari. È curioso che siano state considerazioni di carattere economico a definire i parametri di progettazione del motore destinato a traghettare la Formula 1 in una nuova epoca. La ristrettezza dei finanziamenti concessi, infatti, era stata aggirata ricorrendo a una integrazione progettuale per la quale il motore di Formula 2, un quattro cilindri in linea di 1.6 litri, sarebbe diventato una delle due bancate dell’otto cilindri tre litri destinato alla Formula 1. E non tutto il male viene per nuocere.

 

La ristrettezza dei finanziamenti fu utile per arginare fughe in avanti che avrebbero potuto rivelarsi davvero pericolose. In particolare la predilezione di Costin per la testa Apfelbeck che prevede una camera di scoppio emisferica nella quale si affacciano quattro valvole secondo una disposizione radiale. Attraente sulla carta ma ricca di controindicazioni pratiche mai davvero risolte. Ci voleva comunque coraggio e anche un po’ di incoscienza per lanciarsi in una impresa così rischiosa.

 

Alla Cosworth avevano dato prova di grandi capacità, ma si trattava pur sempre di modificare motori di grande serie. Ora occorreva progettare un motore di Formula 1 partendo da un foglio bianco per far fronte a rivali che si chiamano Ferrari, Westlake, Repco, BRM e Honda. Se è vero che la fortuna premia gli audaci, nel caso della Cosworth c’è il fondato sospetto di una conpartecipazione agli utili delle parti.

 

L’unione di due motori di Formula 1, FVA, aveva dato luogo al DFV con risultati a dir poco clamorosi. Oltre 400 cavalli di potenza massima ottenuti a un regime di rotazione, relativamente contenuto, di 9000 g/1’ e con una coppia massima di circa 35 Kgm a soli 6500 g/1’; un campo di utilizzazione fuori dalla portata dei più potenti dodici cilindri della concorrenza. Ma non sono i numeri, o almeno non soltanto i numeri, a definire il nuovo propulsore.

 

Forse per la prima volta i motoristi hanno inserito tra gli obiettivi del progetto oltre al valore della potenza massima che, fino ad allora, aveva dominato incontrastato, altri parametri: peso e ingombri in primo luogo, ma anche caratteristiche strutturali in grado di trasformare il motore in un elemento portante al quale collegare l’intera sospensione posteriore.

 

Con il Cosworth DFV nasce la Formula 1 moderna, nella quale la prestazione non deriva dall’eccellenza di una componente rispetto alle altre ma, piuttosto, dalla loro perfetta integrazione. Scelte che fino ad allora erano asservite a obiettivi puramente funzionali vengono a patti con i problemi di installazione in vettura. L’angolo delle valvole ad esempio, che nel motore di Formula 2 era di 40°, è ridotto a 32°, non per migliorare il riempimento del motore ma per limitarne la larghezza, che non doveva eccedere l’ingombro del posteriore della prima guida della Lotus, Jim Clark, contenuto in soli 32 centimetri!

 

Ford-Cosworth-DFV-19671.bmp

 

Per il resto, salvo modifiche marginali, il DFV rispecchiava in pieno lo FVA di Formula 2. A cominciare dalle misure di alesaggio per corsa che lo iscrivono di diritto nel club dei “superquadri” con valori di 85.72 x 64.8, una corsa limitata necessaria per contenere la velocità media del pistone all’interno dei 22 m/s. Anche se per Dukworth l’unica grandezza davvero rappresentativa dello sforo al quale è sottoposto il motore è quella relativa all’accelerazione del pistone. Non per nulla il progettista inglese ricorre a una biella di inusitata lunghezza per limitarne il valore. Ma se per la testa l’esperienza non mancava e la soluzione delle quattro valvole per cilindro con camera di scoppio a tetto e candela di accensione al centro, era ormai consolidata, per il basamento e il corpo cilindri il discorso era diverso. In Formula 3 e in Formula 2 si è lavorato essenzialmente sulla testa del motore conservando la “parte bassa” di serie. Ora occorreva progettare l’intero complesso tendendo conto del desiderio di Colin Chapman, patron della Lotus e partner dell’operazione, di disporre di un motore portante.

 

La soluzione individuata è quella di un basamento nel quale i cinque semicuscinetti di banco sono integrati in una struttura comune che assicura i necessari valori di rigidità. La compattezza è ottenuta trasferendo all’esterno del blocco tutti gli accessori: dalle pompe dell’olio a quelle dell’acqua. L’integrazione degli accessori è alla base anche del contenimento del peso: 160 kg sono davvero pochi se confrontati con i 177 del 12 cilindri Westlake, i 215 dell’analogo motore Honda e i 236 del 16 cilindri ad H della BRM.

 

Certo il Repco della Brabham, derivato da un propulsore di serie Buick, rimane ancora lontano e straordinariamente attuale, con i suo 136 kg ma occorre considerare che la sua potenza specifica di circa 90 cv per litro è molto lontana dai 136 cv per litro del Cosworth. E poi c’è il problema del comando della distribuzione. Quattro alberi a camme in testa che devono prendere il moto dall’albero motore, come abbiamo ricordato all’inizio, una cascata di ingranaggi secondo uno schema ad “Y”, una soluzione tutt’altro che rivoluzionaria, al contrario addirittura convenzionale, e adottata dalla maggioranza dei concorrenti. Ma sul DFW non funziona, l’ingranaggio centrale salta e il motore si ferma. Non si tratta di un effetto della malasorte ma, piuttosto, di una scelta progettuale che, come spesso avviene in campo motoristico, non riguarda direttamente il particolare interessato.

 

Il frazionamento della cilindrata e la disposizione dei cilindri erano stati parametri ineludibili a causa degli obiettivi di compatibilità con la monoposto, la Lotus “49” che era destinata ad accoglierlo. Rimane però un ultimo grado di libertà per il progettista, rischioso, come vedremo in seguito, che riguarda la definizione dell’albero motore.

 

Un otto cilindri a V di 90° richiede, per ottenere scoppi regolarmente distribuiti, angoli di manovella sfalsati di 90°. In questo modo si minimizzano le vibrazioni che si originano durante il funzionamento. Ma per un corretto flusso dei gas di scarico che, per ottenere rendimenti volumetrici elevati, deve avere carattere di continuità, occorre prevedere una connessione tra le tubazioni delle due bancate. Il motore 8 cilindri con manovelle a 90° realizzato dalla Coventry Climax per la Formula 1 1500 è un esempio di questa soluzione denunciata con l’intrico degli scarichi. Una complicazione a livello di installazione che Colin Chapman non è disponibile a sopportare.

 

L’altra strada, quella scelta da Costin e Dukworth, è quella di ricorre da un albero “piatto” con manovelle allineate che “scompone”, almeno dal punto di vista delle caratteristiche fluidodinamiche, l’otto cilindri in due quattro cilindri “indipendenti”. In questo modo gli scarichi delle due bancate possono essere trattati in maniera indipendente ma la semplificazione dal punto di vista dell’installazione si paga in termini di vibrazioni e di irregolarità di funzionamento che si traduce in fluttuazioni della coppia motrice. E sono queste fluttuazioni che, concentrandosi sull’ingranaggio al centro della “Y” del comando di distribuzione ne provocavano la rottura. Analisi al banco avevano rivelato che il particolare in oggetto era interessato da coppie che superavano del doppio quella fornita dal motore!

 

Una volta individuato il rapporto tra causa ed effetto, il rimedio fu facilmente trovato calettando l’ingranaggio su un alberino costituito da una barra di torsione in grado di ammortizzare le forze in campo. A questo punto nulla può più fermare il dominio di un motore destinato a diventare il dominatore incontrastato della Formula 1 moderna.

F1P | Mauro Coppini

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In realtà il DFV rimase sino al 1985 (Minardi) anche se gli si era affiancato il DFY, sua evoluzione a testa stretta usato solo dalla Tyrrell

 

Poi ci fu il DFZ (cilindrata elevata a 3,5) del 1987 e il DFR a basamento ribassato, in uso sino al 1990.

 

Poi ci sono i fratellini: il 2,7 aspirato DFW da Tasman cup di fini anni '60 (in realta erano i DFV con diversi alberi a gomiti e bielle per accorciare la corsa), il 2,65 turbo DFX da Indy ed il 3,3 e 3,9 DFL corsa lunga da endurance...

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:up:

 

Ho letto anche del GBA (sovralimentato), qua articolo in inglese con qualche foto

 

1987 Cosworth F1 GBA 1200+bhp 1.5L V-6 Engine

 

Cosworth DFV Variants

Modificato da The King of Spa

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Ho letto anche del GBA (sovralimentato), qua articolo in inglese con qualche foto

 

1987 Cosworth F1 GBA 1200+bhp 1.5L V-6 Engine

 

Cosworth DFV Variants

era tutto un altro motore.

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era quello pensato originalmente per la Tyrrell ma che finì alla FORCE nel 1986 e alla Benetton nel 1987. Era di fatto un altro motore. Anche il DFR era piuttosto diverso, aveva la V stretta come andava di moda al tempo. Fu usato dalla Benetton nel 1988 e poi dai clienti nel 1989.

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No. Il DFR era solo ribassato ed esord? nel 1988 con la benetton. La "V" stretta arriv? con il motore HB sulla benetton nel 1989 (fu il motore campione del mondo Endurance con Fabi nel 1991, rimarchiato "Jaguar") .

 

Tra l'altro il DFX da Indy stava al DFV come il DFS del 1989 al DFR e l'XB del 1992 all'HB

 

 

 

http://en.wikipedia.org/wiki/Cosworth

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