Vai al contenuto
sundance76

Niente sotto la notizia

Post raccomandati

L'immagine della guerra non ? la guerra

 

 

Dal cavallo di T roia al cormorano del Golfo: breve storia delle false notizie durante i conflitti.

 

 

di Renata Tinini

 

 

"Far sapere ? spesso pi? importante di far ignorare". Cos? teorizzava nell'antica Cina Sun Tzu, esperto di arte militare. E questa pare essere la tecnica adottata dagli odierni strateghi, ai quali ? ormai chiaro che i mass-media possono essere utilizzati come formidabili strumenti di propaganda, come cassa di risonanza delle decisioni prese al vertice. Alla censura si sostituisce cos? il "news management", la gestione delle notizie, la "militarizzazione dell'informazione" - come denunci? anni fa il senatore statunitense William Fulbright -, la "manipolazione per inondazione", come ha sagacemente stigmatizzato il fenomeno il giornalista italiano Claudio Fracassi, direttore del settimanale "Avvenimenti" e autore di due saggi illuminanti sulle dinamiche del rapporto tra potere e informazione, "Sotto la notizia niente" del 1994 e "Le notizie hanno le gambe corte" del 1996.

 

Gi? Napoleone Bonaparte aveva istituito un "Bureau de l'Opinion Publique", un organismo di stampa e propaganda la cui denominazione ossimorica ben evidenzia il corto circuito tra il momento istituzionale-burocratico e la pretesa spontaneit? dei movimenti d'opinione. L'ingegneria del consenso, sviluppatasi in modo sistematico dagli anni Cinquanta in poi e applicata sia alla vendita di un dentifricio che alla demonizzazione di una potenza straniera, pare essere il volto pi? recente del sopruso e della sottomissione. Agenzie di pubbliche relazioni - come la Ruder Finn che ha curato l'immagine dei governi di Croazia e Bosnia durante la recente guerra o la Hill & Knowlton, distintasi durante la Guerra del Golfo - "impacchettano" notizie, creano ad arte pseudo-eventi cos? da rendere sempre pi? autonoma la notizia rispetto al fatto, fino a ribaltarne il rapporto: la notizia ? il fatto.

 

Ma come ? possibile che i giornalisti si prestino a fare da eco di notizie prefabbricate? Non stiamo forse esagerando con la sindrome del Grande Fratello? Non sono forse stati dei giornalisti gli artefici della caduta del presidente Nixon dopo lo scandalo Watergate, non ha forse detto il generale Westmoreland che la guerra del Vietnam fu persa non sui campi di battaglia, ma per colpa della TV e dei giornali? ?La svolta - disse il generale - ci fu con la battaglia del Tet. Militarmente la vincemmo noi, ma due giorni dopo il suo inizio Walter Cronkite annunci? in tv che avevamo perso, e quella divent? la verit??.

 

Questa lettura della sconfitta ? forse troppo semplicistica. Vero ? che dopo il Vietnam i rapporti con i mezzi di informazione furono impostati non pi? sulla censura ma curati attraverso un'ipertrofica dose di informazioni filtrate, costruite, selezionate. L'imperativo era - nelle parole di Fracassi - "saziare la belva".

 

Di false informazioni utilizzate per vincere una guerra ? piena la storia: dal cavallo di t***a alla notizia non vera della partenza della flotta greca utilizzata dall'ateniese Temistocle per vincere contro Serse, alla finta ritirata di Napoleone ad Austerlitz, diffusa mediante falsi messaggi in codice tra gli ufficiali francesi. Ma fin qui la finzione ha come vittima il nemico. Diversa ? la portata di quello che il russo Serghei Ciacotin ha chiamato in un suo libro "Lo stupro delle folle". Stupro che divenne possibile con la diffusione su larga scala dei mezzi di comunicazione.

 

Il primo telegrafo meccanico fu messo in funzione in Francia nel 1793, al servizio della guerra, e il telegrafo elettrico, messo a punto nel 1837, ebbe un ruolo fondamentale nell'informazione giornalistica durante la guerra di Crimea e nella guerra di Secessione americana. Quella guerra fu anche il banco di prova per una politica di manipolazione delle notizie: il segretario alla Guerra, Edwin M. Stanton, interveniva direttamente sui dispacci, truccava i numeri delle perdite, alterava i resoconti delle battaglie. Nel 1866 un cavo sottomarino colleg? la rete telegrafica europea a quella americana, e l'avvenimento fu inaugurato non con un dispaccio militare - com'era consuetudine - ma con un messaggio giornalistico: il testo del discorso dell'imperatore Guglielmo dopo la vittoria di Sadowa. L'intreccio tra guerra e informazione trovava qui il suo atto di nascita ufficiale.

 

Durante la Prima guerra mondiale quasi tutti i paesi coinvolti crearono dei ministeri delle informazioni, con compiti distinti rispetto alla semplice propaganda. E' interessante notare, per esempio, che il ministero delle informazioni inglese aveva a capo l'editore del "Daily Express", e come dipendenti Rudyard Kipling e H.G.Wells. Negli Stati Uniti venne creato il "Committee on Public Information", composto dai segretari alla Marina e alla Guerra, dal titolare del Dipartimento di Stato e da un giornalista, George Creel, il cui obiettivo esplicito era ?Vendere la guerra al pubblico americano?.

 

La Germania del Kaiser continuava a sottovalutare i nuovi fattori che affiancavano ormai la strategia militare: il morale delle truppe nemiche, l'opinione pubblica interna e quella nemica. Solo a guerra persa, i comandi militari tedeschi analizzarono la portata della propaganda alleata: ?Il nemico ci ha vinto non con un corpo a corpo sul campo di battaglia, baionetta contro baionetta. No! Pessimi testi su poveri fogli malamente stampati hanno fatto venir meno il nostro braccio?.

 

Il Terzo Reich sopperir? a questa mancanza con il potentissimo "Ministero della propaganda e dell'illustrazione del popolo", creato da Joseph Goebbels con l'intento di "modellare gli spiriti".

Dagli anni Venti, attraverso la radio, la comunicazione si fece pi? capillare e quotidiana, l'informazione entrava direttamente nelle case. Si stima che alla vigilia del secondo conflitto mondiale negli Stati Uniti vi fossero duecento apparecchi ogni mille abitanti, in Inghilterra e Germania circa centoventi e in Unione Sovietica una trentina. In Italia il primo giornale radio and? in onda nel 1929, e la radio fu subito utilizzata come strumento per creare consenso attorno al regime.

 

Il Ministero della cultura popolare (il famoso Minculpop) mandava quotidianamente "Ordini" ai direttori dei giornali, con indicazioni tassative sulle notizie da dare o da non dare. Alcuni esempi: "Non pubblicare corrispondenze sui nostri bombardamenti in Africa Orientale" (7 dicembre 1935); "Ignorare completamente tutto quanto si riferisce all'inchiesta per l'uccisione dei fratelli Rosselli" (15 gennaio 1938); "Notare come il Duce non fosse stanco dopo quattro ore di trebbiatura" (4 luglio 1938). E' chiaro come l'intento fosse quello di manipolare l'opinione pubblica tacendo alcuni fatti sia di politica interna che estera, e lavorando sulla costruzione dell'immagine del duce.

 

Ma la radio fu anche usata in funzione antiautoritaria, come mostra il ruolo giocato da Radio Londra durante la seconda guerra mondiale, fondamentale sia per i messaggi in codice rivolti ai movimenti della Resistenza, sia per il potere di orientare la popolazione civile nei paesi occupati dai tedeschi.

La seconda guerra mondiale, comunque, e ancora la guerra di Corea, furono caratterizzate da una forte censura dei governi sulla stampa, censura che spesso veniva introiettata come autocensura, come adesione totale del giornalista al modello politico e ideologico del suo Paese.

 

Abbiamo gi? citato come la guerra del Vietnam abbia visto delle smagliature nel tessuto della censura, pur essendo iniziata con la diffusione acritica di una falsa notizia: l'attacco a un cacciatorpediniere statunitense da parte di unit? siluranti nord-vietnamite nel Golfo del Tonchino, il 5 agosto 1964. Ma dopo la svolta del Tet la stampa cominci? a investigare anche sulla genesi del conflitto, finch? nel 1971 il "New York Times", nonostante i furibondi tentativi di Nixon per impedirlo, rese note le carte segrete del Pentagono, che rivelavano l'inganno perpetrato ai danni dell'opinione pubblica americana. La "sindrome del Vietnam" divenne quindi l'ossessione di una superpotenza che mal digeriva una sconfitta militare, e la convinzione da parte del governo Usa di non aver saputo controllare e piegare ai suoi fini l'apparato dell'informazione. Cos? che, alla vigilia della Guerra del Golfo, le parole del presidente Bush furono "Non sar? un altro Vietnam".

 

Infatti la Guerra del Golfo, come hanno acutamente evidenziato Jean Baudrillard nel libro " La guerre du Golfe n'a pas eu lieu" e Claudio Fracassi ne "L'inganno del Golfo", si bas? su una sapiente regia che costru? un'illusione collettiva, la quale fece vittime sia tra i capi di governo (il re saudita Fahd fu convinto a ospitare l'operazione "Scudo nel deserto" con false fotografie satellitari) che tra l'opinione pubblica mondiale.

 

Gli specialisti della gi? citata Hill & Knowlton girarono a Hollywood falsi filmini amatoriali sul Kuwait liberato, fecero raccontare alla figlia adolescente dell'ambasciatore kuwaitiano presso le Nazioni Unite (assente da anni dal suo paese) di come i soldati iracheni toglievano la corrente alle incubatrici, impedirono che venissero visti i 200 mila iracheni uccisi, fecero recitare pi? volte ai marines la scena della riconquista dell'ambasciata americana a Kuwait City, facendo calare i soldati sui tetti dell'edificio quando la capitale era libera da due giorni. D'altra parte molti giornalisti, salvo poi fare atto di pubblica contrizione, si prestarono senza troppo recalcitrare alla manipolazione, quando poi non ne furono gli artefici. Reporter della Cnn prelevarono da uno zoo e poi impeciarono il cormorano intriso di petrolio che commosse tutto il mondo, si fecero riprendere in studio bardati con maschere antigas senza che ci fosse alcun pericolo di contaminazione, mentre fotografi dell'agenzia Reuter misero in vendita fotografie scattate durante la guerra Iran-Iraq del 1983.

 

Durante la recente guerra nell'ex-Jugoslavia l'informazione si ? messa spesso al servizio di odi etnici e nazionalisti, creando clich? semplicistici e manipolatori: i serbi oppressori, i croati fascisti, i musulmani indifesi o fondamentalisti. E' forse presto per valutare la portata della disinformazione in quelle regioni, soprattutto ora che la guerra vi si ? riaccesa. L'apparente facilit? di accesso a molte fonti pu? ingenerare l'illusione di avere un canale diretto con la realt?, ignorando che dietro ogni notizia che arriva a noi c'? un "gatekeeper", un Caronte che decide cosa far traghettare. La risoluzione n. 59 dell'Onu afferma che "L'informazione ? un diritto fondamentale dell'uomo e la pietra di paragone di tutte le libert?".

 

Nell'era dell'"infotainment" (information+entertainment), dei video promozionali spacciati per notizie, c'? chi, come Baudrillard, grida allo "sterminio della realt? da parte dell'informazione". Ma c'? anche chi non vuole credere che l'unica difesa sia quella della "pantofola", lanciata contro un televisore indifferente.

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

A stare alla definizione di Pulitzer, la notizia ? un fatto particolarmente rilevante, meritevole di essere registrato. E? il "naufrago" da segnalare, ? il "pericolo in arrivo".

 

Secondo questa interpretazione, compito del reporter sarebbe quello di osservare la realt?, separare il grano dal loglio, e infine individuare nella spazzatura della routine, nelle pieghe dei fatti, i brillanti nascosti, di cui impadronirsi perch? la loro luce possa splendere all?esterno. La notizia, insomma, andrebbe "riconosciuta", "individuata", "scoperta" per essere raccontata (e questo sarebbe il lavoro primario del giornalista). Essa, in quest?ottica, ? una specie rintracciabile in natura: ci sono gli scoiattoli, i datteri, i pesci rossi; e le notizie. Ancora pi? esattamente, essa sarebbe una sottospecie, o una specie di particolare valore, della categoria degli accadimenti.

 

Altri, tuttavia, non la pensano cos?: ritengono invece che le notizie non siano fatti di tipo speciale, ma "una produzione umana, un prodotto culturalmente determinato" Una cosa, insomma, che in natura non c??, e che sarebbe vano andare a cercare nel mare magnum dei fatti, dato che essa non va scoperta, ma faticosamente costruita.

 

La distinzione non ? di poco conto. Per certi aspetti,? il cuore del problema dell?informazione. Se infatti l?universo delle notizie ? diverso e separato da quello dei fatti, pur essendo ad esso logicamente collegato, andr? conosciuto, giudicato, valutato in base a criteri autonomi,che non siano quelli immediatamente evidenti della realt?, e della verosimiglianza.

 

L?universo dell?informazione andr? studiato, capito e percepito come un sistema le cui regole non sono quelle del mondo delle cose, del mondo dei fatti in cui siamo immersi.

 

Nel processo di costruzione della notizia, l?elemento decisivo ? la selezione. Non c?? informazione senza brutale, ripetuta, non motivabile (nei confronti del lettore) ma indispensabile selezione degli eventi della realt?. La selezione non ? una particolare o malevola forma di censura. E? la sostanza stessa del processo informativo. Ogni giorno, ogni ora, ogni minuto accadono in ogni paese eventi degni di essere riferiti. La costruzione di ci? che, al termine del processo, sar? definita "informazione" ? il risultato, innanzitutto, della cancellazione di una serie innumerevole di eventi dalla possibilit? stessa della loro conoscibilit?.

 

Walter Lippmann, uno dei grandi columnist americani di questo secolo , l?ha spiegata cos?:" L?informazione giornaliera, quando raggiunge il lettore, ? il risultato di un?intera serie di selezioni che riguardano le notizie da pubblicare, le posizioni nelle quali devono essere pubblicate, lo spazio che devono occupare, l?enfasi che ognuna di esse deve avere. Non vi sono crieri oggettivi qui. Si tratta di convenzioni."

 

Il protagonista di questa fase, quella decisiva nella caotica nascita, nel big bang, dell?universo informativo, non ? il giornalista "di buona penna", non ? il coraggioso reporter n? il polemico commentatore, non ? nemmeno la "vedetta sul ponte" descritta da Pulitzer. No, l?eroe assoluto di questo forsennato e creatio processo di distruzione della realt? ? un guardiano, il "gatekeeper", il "guardiano del cancello".

 

L?idea ? che il flusso degli eventi diventi processo di comunicazione attraverso l?apertura o la chiusura di una serie di cancelli (gates), controllati da guardiani (gatekeepers) con funzione di filtro;il fatto diventa notizia quando riesce a passare, di canale in canale, attraverso gli sbarramenti successivi. Come ha spiegato David Manning White, il primo studioso di comunicazione ad usare, nel 1949, l?immagine dei cancelli:" Una storia ? trasmessa da un gatekeeper all?altro lungo la catena delle comunicazioni. Dal reporter al rewriter, fino ai vari uffici delle agenzie di stampa, ? in atto un ininterrotto processo di scelta e di scarto."

 

White segu? il lavoro di un caporedattore di un giornale di provincia, che ribattezz? Mr Gates, e constat? due fatti: che circa i nove decimi delle notizie d?agenzia venivano scartate; che le motivazioni di questo rifiuto si rifacevano a giudizi di valore estremamente soggettivi, definiti per? "oggettivi" da Mr Gates. In realt?, in un normale giornale degli anni ?90, la proporzione delle notizie pubblicate rispetto a quelle fornite dalle agenzie ? ancora pi? bassa. Il rapporto sale a uno a cinquanta, uno a cento per i notiziari televisivi, la cui scelta ? ulteriormente condizionata dalla disponibilit? o meno di immagini.

 

Sarebbe sciocco, tuttavia, infierire su Mr. Gates, che fa esattamente il suo mestiere. Volete giornali di mille pagine, o telegiornali di tre ore?

 

Del resto, la vera, massiccia selezione avviene ad opera dei Mr Gates che sorvegliano i cancelli pi? a monte, e li aprono con severissima parsimonia; c?? un guardiano (e un relativo cancello da manovrare) per la scelta del notiziario di ogni agenzia nazionale. Pi? su, c?? un guardiano nei grandi circuiti dell?informazione internazionale, quelle delle notizie e quello delle immagini televisive (l?ottanta per cento delle quali, circolanti nel mondo ? come ha ricordato Zbigniew Brzezinski ? "provengono dagli Stati Uniti"); c?? un guardiano (il corrispondente dell?Ap, o della Up, o della France Presse, o della Reuter britannica) in quasi tutti i paesi del mondo, pronto a chiudere a doppia mandat il cancello per tutti gli eventi locali (siano essi crisi politiche, o corruzioni o epidemie, o terremoti) non sufficientemente apocalittici da emozionare il sofisticato palato informativo delle capitali europee e nordamericane.

 

Ci sono luoghi, infine, dove Mr Gates non c??, ma pu? stare tranquillo: il cancello ? pressoch? sempre chiuso. In questi casi gli eventi sono selezionati direttamente dai poteri politici totalitari; oppure, semplicemente, si svolgono ma non esistono, perch? non trovano modo di entrare in uno degli affluenti che si immettono nel grande canale dell?informazione planetaria."

 

 

Testo tratto dal libro: Sotto la notizia niente ? saggio sulla informazione planetaria - di Claudio Fracassi ?

 

Libro copiato e diffuso con il consenso esplicito dell?Autore

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

[...] Giochi inventati per eccitare, deprimere, far scoppiare di rabbia. E poi addormentare. Quando le false notizie non servono piu' a chi comanda, si cambia. Le luci dell' informazione accendono un' altra parte del mondo. E il dramma di ieri sprofonda in un' ombra senza memoria.

 

Sono finite le guerre dell' Afghanistan? Dov' e' la fame nel Sahel o gli scheletri bambini coperti di mosche appena fuori Mogadiscio ? Dobbiamo ancora bombardare Gheddafi, padre spirituale del terrorismo o ci siamo sbagliati e i terroristi accendono le micce col passaporto siriano? I buoni diventano cattivi, gli assassini si rivelano amici. Nessuna spiegazione. Da stasera e' cosi' . Tanto la gente fa confusione.

 

In Nicaragua deve essere arrivato il benessere promesso da Bush: "rovesciate la sinistra e nuoterete nella pace e nell' oro". Oppure la fame e' scoppiata, la droga imperversa, il caos scatena le armi? Non lo sapremo mai. Le agenzie d' informazione hanno chiuso gli uffici; l' inarrestabile Cnn ha spento i riflettori.

 

In Salvador e Guatemala continuano le squadre della morte? E' vero che l' Amazzonia resta un falo' ?

Come nell' 8OO i viaggiatori tremano nel dire di si' , ma sono "vecchi" orrori: non fanno notizia. Interessi economici e politici camminano da un' altra parte. Poi la gente si annoia: serve un altro panorama. La notizia e' un naufrago da segnalare; un pericolo in arrivo. Dovremmo sapere tutto di tutti i naufraghi sperduti nel villaggio globale dove i satelliti oscurano il sole con antenne piene di facce e di voci. Invece ne sapevamo di piu' prima.

 

Guerre, invasioni, soprattutto promesse elettorali piene di zucchero, riempiono la nostra vita: spot senza fine. Non serve che sia vero. L' importante e' montare il dramma come un telefilm che scongiura la noia.

 

Guai cercare di capire se la notizia corrisponde alla realta' . Famose sceneggiate di tv e agenzie di stampa, erano, in fondo, imbrogli distribuiti a fin di bene. Hanno eletto presidenti per tranquillizzare le nostre abitudini: trafficano proprio come i predecessori. Hanno bombardato con aerei costosissimi gente che in fondo non ci e' mai piaciuta. Un po' unta, prega in modo diverso. Non sono fedeli come noi. L' alta fedelta' e' solo la scatola tv in fondo al salotto.

 

Chierici Maurizio

Pagina 36

(29 novembre 1994) - Corriere della Sera

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra comunità. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi Subito

Sei già registrato? Accedi da qui.

Accedi Adesso

  • Navigazione Recente   0 utenti

    Nessun utente registrato visualizza questa pagina.

×