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sundance76

MONDIALI vs EUROPEI

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Articolo di Donatella Biffignandi apparso nel 2000 sul mensile "Auto d'Epoca".

 

 

IL PRIMO CAMPIONATO AUTOMOBILISTICO DEL MONDO

 

Nel tripudio dei festeggiamenti per la vittoria della Ferrari al Campionato di F1 Conduttori e Costruttori 2000, molti giornali hanno pubblicato l'elenco dei vincitori dalla prima edizione, cio? dal 1950.

 

Ma la storia riserva sempre sorprese: per esempio la scoperta che il Primo Campionato Automobilistico del Mondo si ? corso nel?1925, ed ? stato vinto dall'Alfa Romeo (d'altra parte Enzo Ferrari ? partito da l?!), guidata da un campione grande quanto poco conosciuto: il toscano Gastone Brilli Peri, uno di quei nomi d'una volta che sanno di testardaggine contadina (anche se era un conte), di polvere e fatica, di glorie passate ed allori dimenticati.

 

Nel febbraio del 1925 "Auto Italiana" annunciava l'istituzione del "Campionato Automobilistico del Mondo", su proposta dell'Automobile Club d'Italia che si era appoggiato all'"Auto", il pi? importante organo sportivo francese, considerato dal mondo sportivo internazionale un imprescindibile punto di riferimento. L'idea piacque, e fu approvata a Parigi dall'A.I.A.C.R., Associazione Internazionale degli Automobili Clubs riconosciuti, la cui Commissione Sportiva si affrett? ad elaborarne il regolamento. Innanzitutto venivano stabiliti i premi, per una somma complessiva di 100.000 franchi francesi, da assegnarsi alla marca "che avr? realizzato la migliore classifica per somma di punti nei Gran Premi corsi nelle differenti nazioni del mondo e retti dalla formula internazionale uniforme". Tale formula prescriveva, gi? dal 1922, una cilindrata massima di due litri per un peso minimo di 650 kg. La vettura doveva essere biposto, ma con un solo posto, ovviamente quello del pilota, occupato, e una larghezza esterna della carrozzeria di almeno 80 cm. Inoltre per la prima volta, dal 1925, fu reso obbligatorio lo specchietto retrovisore. Questa formula dur? per quattro anni, dal 1922 al 1925. I Gran Premi considerati valevoli per la classifica erano: il Gran Premio di Indianapolis, il Gran Premio dell'Automobile Club di Francia sul circuito di Monthl?ry, il Gran Premio d'Europa, che quell'anno si sarebbe corso a Spa, nel Belgio, e il Gran Premio d'Italia, a Monza. Interessanti sono le norme che trattano dell'assegnazione dei punti per la classifica. "I concorrenti si vedranno attribuire un numero di punti uguale al numero della posizione che avranno occupato nella classifica di ciascun Gran Premio fino al terzo posto, cio? per ciascuna prova il primo avr? un punto, il secondo due, il terzo tre. Tutti gli altri partecipanti, qualunque sia la loro classifica, avranno quattro punti: le assenze in una prova obbligatoria (sulle quattro gare, occorreva obbligatoriamente partecipare a quello della Nazione organizzatrice e ad altre due scelte tra le restanti) saranno valutate cinque punti?I punti cos? ottenuti nelle classifiche delle diverse prove saranno sommati e vincitrice del Campionato sar? la marca che totalizzer? il minor numero di punti". Non si capisce se volevano davvero rendere la cosa complicata oppure fu un risultato involontario. Comunque sia, oltre a stabilire la maniera di avere un vincitore anche in caso di ex-aequo (con una corsa di 200 chilometri da disputarsi entro 48 ore dal Gran Premio della Nazione organizzatrice), si stabiliva il premio per il primo classificato: un oggetto d'arte del valore di 30.000 franchi (la cultura contava ancora all'epoca!) e un premio in denaro di altri 70.000 franchi. La prima nazione designata per organizzare il Campionato nel 1925 fu l'Italia, che aveva avuto l'iniziativa.

 

L'ACI non perse tempo: gi? dieci giorni dopo band? un concorso fra gli artisti italiani per l'ideazione e realizzazione del Trofeo, da consegnarsi il 6 settembre, al termine del Gran Premio di Monza. Della giuria, presieduta da Ugo Ojetti, facevano parte Raffaele Calzini, Ettore Modigliani, Edoardo Rubino, Adolfo Wildt. Il trofeo doveva essere in

bronzo dorato, o in parte dorato e in parte argentato, dell'altezza di circa un metro, e richiamarsi inequivocabilmente alle automobili. Fin? che i progetti presentati erano cos? scarsi che il concorso fu annullato gi? alla fine di maggio e l'opera affidata allo scultore Antonio Maraini.

 

Sembra, e fu, un intoppo di poco conto. Ma in effetti questo campionato part? male, per la difficolt? di creare interesse intorno ad un evento sportivo a cui sia Fiat sia Mercedes non avrebbero preso parte, probabilmente perch? convinte della superiorit? dell'Alfa Romeo e poco desiderose di confrontarvisi. La prima prova prevista, quella di Spa (Indianapolis non era nemmeno presa in considerazione dalle marche europee) era tutt'altro che facile: un triangolo stradale di 14,9 chilometri da percorrersi 54 volte, per complessivi 804 km. Tante curve, a raggi molto variabili, con tornanti. A schierarsi sulla linea di partenza soltanto vetture Delage, con Thomas, Divo, Benoist e Torchy, e Alfa Romeo con Ascari, Campari e Brilli Peri, recentissimo acquisto della squadra milanese. Naturalmente quest'ultimo, proprio perch? appena arrivato, avrebbe avuto soltanto il "muletto", mentre le macchine migliori, due splendide P2 modello 1924 ma con la potenza aumentata di una quindicina di cavalli, sarebbero toccate a Campari ed Ascari. La strategia studiata a tavolino prevedeva che si sarebbe attaccato subito, imponendo l'andatura pi? veloce possibile, in modo da sfiancare gli avversari, mentre Brilli Peri avrebbe svolto una funzione di tallonamento sulla macchina francese che pi? da vicino avesse seguito le nostre. Tattica semplice, ma (o forse proprio per questo) vincente. Le dodici cilindri Delage, con compressore, ed un'ottima profilatura aerodinamica, non ressero il ritmo delle otto cilindri Alfa, anch' esse sovralimentate. La sovralimentazione infatti, che costituiva la novit? tecnica dell'anno, poteva rivelarsi arma a doppio taglio: permetteva prestazioni superiori ma esigeva dal motore uno sforzo supplementare che poteva risultare fatale, e condurre a danni irreparabili, come infatti successe nelle Delage. Certo il pubblico, dichiaratamente schierato dalla parte dei francesi, non grad? molto la superiorit? evidente degli italiani, e reag? con fischi e provocazioni, tali da indurre Vittorio Jano, progettista della P2 e direttore sportivo, a studiare una rivalsa. Mentre ancora la gara era in svolgimento, fece fermare tutte e tre le sue vetture ai box e, fatta apparecchiare una tavola, volle che i piloti si rifocillassero comodamente mentre i meccanici rifornivano e lustravano le macchine. Dopodich? ripartirono. Un po' per le pannes al motore, un po' per il nervosismo ormai stabilitosi tra i francesi, i quattro piloti Delage si ritirarono uno alla volta, e a tagliare il traguardo furono, nell'ordine, Ascari e Campari (Brilli Peri si era ritirato).

 

"Risultati cos? clamorosi insegnano molte cose. Insegnano cio? che non basta, per una casa, possedere ottimi tecnici ed impianti colossali (chiaro riferimento ai francesi, di cui si diceva avessero approntato addirittura dieci macchine, con un enorme dispendio di denaro) per attuarne praticamente i geniali disegni; ma occorrono anche maestranze disciplinate, guidatori d'eccezione, un'intesa fraterna prima e durante la battaglia fra tutti gli uomini che servono una stessa bandiera. Nel predisporre e far accettare un piano di lotta; nel curarne l'esecuzione sul terreno, con brevi cenni dai "box", come ha fatto l'Alfa Romeo, ? la dimostrazione pi? luminosa della fusione di energie di cui la nostra Casa ha fatto sfoggio a Spa. I fulminei rifornimenti strappavano l'applauso; l'obbedienza degli uomini in corsa, commoveva. Si aveva la sensazione che il nostro era veramente un forte esercito agli ordini di un grande capitano: Nicola Romeo. Il forte esercito e il grande capitano, naturalmente, hanno vinto". Se si muta il nome del grande capitano, e si sorvola sulla commovente obbedienza degli uomini in corsa, tutto il resto sembra estratto da un qualsiasi quotidiano l'indomani della recente vittoria Ferrari a Suzuka.

 

Cavallerescamente, Delage invi? un telegramma di congratulazioni all'Alfa; mentre D'Annunzio, sempre pronto ad approfittare di eventuali ribalte, componeva "La Laude della Rapidit?", in elogio della vittoria italiana.

Delage aveva soltanto un mese di tempo per prepararsi a Monthl?ry, a cui decisero di partecipare anche la Sunbeam, con tre otto cilindri sovralimentate e guidate da Segrave, Masetti e Conelli; e la Bugatti con cinque vetture non sovralimentate a otto cilindri, piloti Foresti, i due fratelli de Vizcaya, Goux, Costantini. Per queste due per? si sapeva fin dall'inizio che non poteva esistere alcuna possibilit? di vittoria, su un circuito decisamente severo, lungo 1000 chilometri, e con caratteristiche miste, sia di pista sia di strada ordinaria.

 

Gli italiani, che si aspettavano una seconda facile vittoria, furono invece schiacciati da un tragedia tanto grande quanto inaspettata: l'inspiegabile e mortale incidente ad Ascari (vedi Auto d'Epoca di novembre 1995).Si era gi? partiti con il piede sbagliato, per la poca chiarezza sulla tattica adottata in gara. Il grande favorito era infatti Ascari, ma l'Alfa intese questa volta privilegiare Campari, che ebbe la prima guida. Campari per? alla partenza rimase al palo, e Ascari ebbe buon gioco nell'avventarsi in testa. Dopo 500 metri aveva gi? superato tutti. Ad un quarto del percorso, si ferm? ai box per i rifornimenti e per chiedere istruzioni sugli ordini di scuderia. Gli fu detto naturalmente di mantenere il vantaggio, in modo da poter chiudere vittorioso, ma di moderare l'andatura. Nella testa di Ascari, per?, c'era ormai spazio soltanto per la velocit? al limite delle proprie possibilit? e di quelle della macchina: e in un attimo, l'attimo che rovin? tutto, li super? entrambi. Dopo il terribile incidente, Campari pass? in testa; ma la notizia della morte del pilota, sopraggiunta a gara ancora in corso, convinse l'Alfa a ritirarsi in segno di lutto, rinunciando cos? ad una vittoria ormai propria e regalandola alla Delage.

 

Rimaneva soltanto il Gran Premio d'Italia, per stabilire il vincitore. Delage ed Alfa Romeo erano a pari punti e a questi si aggiunse (sia pure non per l'aggiudicazione del titolo) la Duesenberg, vincitrice del Gran Premio d'Indianapolis. I premi erano allettanti: un oggetto d'arte del valore di 8.000 lire e 100.000 lire in denaro per il primo arrivato; medaglia d'oro e premio in denaro rispettivamente di 30.000 e 20.000 lire per il 2? e il 3?; medaglia d'oro e premio in denaro di 10.000 lire dal 4? al 12? (anche se c'? una certa differenza!). A pochi giorni dalla gara la Delage, del tutto inaspettatamente, decise di non partecipare. Forse la consapevolezza che la vittoria a Monthl?ry le era stata regalata la spinse a non tentare un secondo confronto diretto con l'Alfa, per evitare una prevedibile bruciante sconfitta. Forse non grad? l'invito a partecipare alla gara rivolto a Pete De Paolo, il nuovo astro americano, dallo stesso Ascari qualche giorno prima di morire. De Paolo aveva vinto su una Duesenberg ad Indianapolis con una media oraria (162 km/h) superiore di quattro chilometri a quella registrata da Ascari a Spa (158 km/h); da qui l'idea di far correre i due uomini pi? veloci del globo. L'inattesa morte di Ascari aveva cancellato il progetto del duello. Ma la squadra americana era intanto giunta in Italia e tra il generale stupore si era dapprima sussurrato, poi detto apertamente, che mentre gli altri due piloti della squadra, Milton e Kreis, erano venuti con le loro macchine, De Paolo non aveva nessuna vettura. Su che cosa avrebbe corso?

 

Frattanto l'Alfa Romeo cercava il terzo pilota con cui sostituire Ascari. Si facevano i nomi di Nuvolari, Minozzi, Sozzi, Masetti. Ed ecco il colpo di scena: sar? De Paolo a gareggiare per la marca milanese. La notizia lasci? sorpresi tutti. Per primi, i suoi compagni di squadra, Milton e Kreis, che se lo ritrovavano avversario. Non si capiva inoltre a che titolo gareggiassero le Duesenberg: se ufficialmente, riusciva incomprensibile la cessione del proprio miglior pilota alla squadra avversaria; seprivatamente, non si poteva pi? parlare, come invece si faceva, di un confronto tra Duesenberg ed Alfa Romeo, tra costruzione americana e costruzione europea. Una situazione oscura, aggravata da qualche dubbio sulla conformit? al regolamento delle vetture americane. Si ricorder? infatti che era prescritta una vettura biposto di larghezza minima di 80 cm. Le Duesenberg erano monoposto, larghe 45 cm. Per adeguarsi alle prescrizioni, gli americani portarono la larghezza ad 80 cm; ma il problema non era risolto, era semplicemente aggirato. Nonostante l'allargamento, le vetture erano rimaste, necessariamente, delle monoposto, a guida centrale. Lo spostamento della guida avrebbe comportato anche quello dei comandi e dei pedali: impossibile. Per? rimaneva una bella differenza tra una vettura a guida centrale ed una, regolamentare, a guida laterale! Nell'ultimo Gran Premio di Francia la Bugatti era stata squalificata soltanto perch? una lamierina ricopriva in parte il posto destinato al meccanico (che, per regolamento, non poteva salire sulla macchina). Ed ora passava inosservata una infrazione ben maggiore?

 

Gli altri partecipanti erano una Diatto ad otto cilindri sovralimentata, progettata da Alfieri Maserati; una Guyot, guidata dallo stesso costruttore, e una piccola schiera di vetture da un litro e mezzo che partecipavano al Gran Premio vetturette (che detto cos? sembra di second'ordine, ma che imponeva di compiere lo stesso percorso delle grandi, ossia 80 giri del circuito, per complessivi 800 chilometri).

 

Fu la gara del "gregario", di colui che, perseguitato dalla scalogna per anni, improvvisamente vede aprirsi davanti a s? la porta vuota ed ha la palla vincente sul piede. Brilli Peri, che avrebbe dovuto per l'ennesima volta essere soltanto di rinforzo ai due titolari, De Paolo e Campari, riusc? ad emergere clamorosamente, approfittando della d?faillance di entrambi. Campari, infatti, attardato dalle conseguenze fisiche di un incidente in prova, risentiva ancora del trauma affettivo e psicologico della perdita di Ascari. De Paolo, semplicemente, non entr? mai in gara. Per lui risultarono insormontabili le difficolt? costituite da un percorso nuovo, e dalla sua insufficiente preparazione a guidare l'Alfa.

Il primo ad andare in testa fu Kreis, con la Duesenberg. Ma in una curva, il cambio, che era il punto debole delle vetture americane, cedette di schianto, e il pilota fu costretto al ritiro. Da quel momento non vi fu pi? storia. Campari tenne la testa per un poco, e fu superato alla grande da Brilli Peri che concluse vittorioso, dopo 5 ore e 14 minuti, alla media di 152 km/h. Milton non diede battaglia: anzi, rallent? moltissimo, inspiegabilmente. Scrisse Auto Italiana, che pure aveva tutto l'interesse a far risaltare al meglio la vittoria dell'Alfa Romeo: "L'americano si fermava ai box una prima volta per 4 minuti e mezzo, tempo veramente eccessivo data la rapidit? colla quale pot? effettuare il rifornimento di benzina; infine, anche la seconda volta, nell'arresto pi? lungo e che tolse ogni possibilit? di successo alle Duesenberg, permane l'impressione che la riparazione del raccordo della tubazione dell'olio alla distribuzione in testa ai cilindri avrebbe potuto richiedere meno di venti minuti". Alla fine della gara, la media registrata da Milton fu di 138 km/h, contro la media registrata da Kreis in prova di 172 km/h: un divario spiegabile soltanto in parte con le difficolt? provocate dalla fragilit? del cambio. Se si pensa che prima di De Paolo e di Milton si classific?, al terzo posto, Costantini su Bugatti 1500, vincitore perci? del Gran Premio vetturette, alla media di 139 km/h! Ed erano stati gli americani a sostenere che a Monza si poteva mantenere una media pi? elevata che ad Indianapolis, per il maggior sviluppo dei rettilinei sulla pista italiana?

 

Ma queste considerazioni, rimaste le stesse di allora, non devono offuscare la vittoria italiana. Brilli Peri arriv? primo, portandosi a casa anche il Trofeo del Campionato del Mondo: una rivincita impagabile, che lo risarc? di tutte le critiche ricevute fino a quel momento. "La sua vittoria nel Gran Premio d'Italia, ottenuta davanti a piloti come Milton e de Paolo, ? tale da consacrare un campione?La sua temerariet? giovanile ? ora soltanto verbale?le qualit? negative che gli si potevano rimproverare un tempo ora sono scomparse. Il motociclista sbarazzino e irrequieto d'un tempo ? ora pilota saldo e quadrato", scrisse Giovanni Canestrini.

 

Ma al pilota saldo e quadrato, per rimanere tale, occorreva il sapore delle vittorie. Senza, si sarebbe trasformato nuovamente in un adolescente scavezzacollo: pronto a tutto, anche ad uccidersi, pur di arrivare per primo. Per questo i quattro anni successivi non furono facili per lui: trascorsero senza momenti esaltanti, sempre alla ricerca di un'affermazione clamorosa, e mai raggiungendola se non a Tripoli nel 1929.

 

Quando si uccise, l'anno dopo sul circuito della Mellaha, non stava neanche gareggiando, bens? soltanto provando un'ultima volta la macchina, prima di andare a pranzo. Non avrebbe dovuto forzare: invece stava andando come un ossesso, addirittura migliorando il suo stesso tempo record dell'anno prima. Non ve ne era alcun bisogno: ma il demone della velocit? l'aveva ripreso in pieno. Ed ? sempre molto difficile vincere, quando non si lotta con gli altri, bens? con se stessi.

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Un ulteriore articolo di Donatella Biffignandi, del 2005, sul G.P. d'Italia 1925 gara conclusiva del primo Campionato Mondiale della storia:

 

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