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Bruce Leslie McLaren

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2 giugno 1970: Addio a Bruce McLaren

 

 

2 giugno 2013 – McLaren è un nome che già da sé evoca mito e fascino per quanto riguarda la storia della Formula 1. Ma prima di essere una marca di vetture gloriose, McLaren è anche il nome di un grande uomo di sport. Un pilota sopraffino, capace, coraggioso, dotato di enorme talento al volante e intraprendente anche fuori dall’abitacolo. E’ la sintesi di un personaggio del tutto unico, che a dispetto dei risultati eclatanti raccolti in seguito dalla macchine che portano il suo cognome, se ne è andato in punta di piedi e lontano dall’evidenza delle telecamere in un pomeriggio inglese di oltre quarant’anni fa.

 

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Del tremendo botto di Goodwood, avvenuto mentre il quasi trentatreenne Bruce era al volante di una sua creatura destinata a correre la serie Can Am, non esiste nemmeno una testimonianza video. Eppure quel giorno lui era lì come sempre per fare il suo lavoro, consapevole che dopo una carriera vissuta alla grande da pilota, anche se non aveva vinto mai il mondiale, la sua strada era quella di diventare un affermato costruttore. Era sicuramente gratificato da ciò, ma continuava lo stesso a tenere tra le mani un volante perché alla fine di tutto e anche della sua vita questo era sempre stato l’obbiettivo primario: correre. E Bruce era uno che a correre aveva imparato, seppure fisicamente non potesse nemmeno farlo per via di una grave malattia, quella di Legg, Cavlé e Perthes, che a nove anni lo colpì come una maledizione minandone il fisico. Nato il 30 agosto del 1937 nella verde isola della Nuova Zelanda, terra stupenda dove a Nord fa più caldo che a Sud e dove i Maori sono soliti ad intonare il loro imponente canto di guerra per intimorire gli avversarari, Bruce McLaren visse un’infanzia felice solo nei primi anni. In seguito ancora bambino dovette affrontare il dramma di non poter più correre dietro ad un pallone da rugby, sport che tra le altre cose amava tantissimo per rassegnarsi a passare la propria adolescenza in compagnia di un paio di stampelle. Ma nemmeno tre anni di terapie e sofferenze, smontarono il carattere del giovane McLaren. Di quelle antipatiche grucce Bruce fece uno strumento utile per migliorare dove poteva il proprio fisico e le sue braccia a forza di sostenere quel corpo martoriato dalla malattia, divennero con il passare del tempo molto forti.

 

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Quando finirono nella spazzatura, McLaren si adattò ad una camminata studiata e semi claudicante per cercare di nascondere una zoppia latente, corretta per modo di dire con dei plantari ortopedici che pareggiavano la differenza di lunghezza tra una gamba e l’altra. Insomma, un tipo del genere detta così, sarebbe diventato qualcuno? Probabilmente no, ma il seme buono che covava in Bruce si manifestò in virtù della classica imbeccata paterna. Niente di che, ma suo padre Leslie McLaren, il quale possedeva un’officina dove riparava auto fu la fonte di ispirazione per il figlio e il punto di partenza di una carriera in seguito sfolgorante. Nella bottega di famiglia, McLaren junior aiuta, lavora, smonta e rimonta nonostante le stampelle e a 13 anni riceve l’illuminazione della vita. Un messaggio divino che aveva le forme di un’automobile, una semplice Austin 7, capace a partire dal quel momento di cambiare una vita. Les McLaren così come era solito essere chiamato il padre di Bruce, il quale non era comunque digiuno di corse per aver avuto in gioventù un passato da centauro, pensava che si trattasse di una vettura troppo potente per le sue capacità e avrebbe quindi voluto venderla. Ma a Bruce quella macchina piaceva e diceva qualcosa. Un messaggio del tutto personale che interpretò a suo modo di nascosto dal genitore, che difficilmente si sarebbe però opposto alla ferrea volontà del figlio come in seguito poi accadde. McLaren Jr, a quattordici anni sapeva già guidare e a quindici conseguì la patente, una cosa del tutto normale in Nuova Zelanda, un posto in cui certe leggi sono diametralmente meno ingessate rispetto al vecchio continente. E appena fatto questo passo, il successivo fu quello di prendere la Austin 7 e correrci una gara in salita.

 

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Lo fece senza dire nulla a Les e una domenica mattina con la scusa di andarsi a fare un giro, si presentò ai nastri di partenza. Il pomeriggio stesso, tornò a casa con la macchina intonsa e la coppa del vincitore tra le mani. Il primo solco che l’aratro della vita di Bruce aveva scavato dopo quello della sua nascita, corrispose in quel momento all’inizio della sua carriera da pilota. In seguito la Austin prese il ruolo di protagonista in tanti fine settimana del giovane McLren, che si divideva tra la preparazione della propria auto e gli studi di ingegneria intrapresi. Una passione che gli permetteva di prevalere anche quando si metteva dietro al volante, per via di una preparazione tecnica sempre più approfondita. Era in grado di sfruttare appieno le caratteristiche del mezzo, del quale studiava e collaudava le modifiche in funzione delle quali spesso prevaleva con intelligenza sugli avversari. Nel 1956, Bruce compie il primo passo verso una carriera da professionista e lo fa acquistando a nemmeno 19 anni una Cooper di F2 usata. Ma in quel caso non si trattava di una vettura a caso, bensì di quella appartenuta al futuro Sir Jack Brabham, il quale all’epoca ancora Sir non era diventato. Con la sua meticolosità da studente di ingegneria infatuato di corse in macchina, McLaren iniziò una corrispondenza epistolare con Black Jack che durò lo spazio di alcuni mesi. Un periodo in cui l’aspirante pilota chiese informazioni molto dettagliate sulla monoposto. Brabham dal canto suo rimase colpito dall’atteggiamento di Bruce e iniziò ben presto, durante il 1957 a seguire le prestazioni del ragazzo in pista. L’australiano dopo un pò capì che quel giovane aveva stoffa e si nutriva di corse, così nell’inverno di quell’anno andò in Nuova Zelanda per correre un GP non titolato portandosi appresso una vettura in più.

 

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Una Cooper destinata a Bruce e che permise a McLaren di aggiudicarsi il concorso “A Driver for Europe”, una sorta di borsa di studio per il miglior giovane pilota neozelandese. Essendosi guadagnato questo ambito riconoscimento, il giovane emigrò in Inghilterra dove si stabilì vivendo e correndo sotto l’ala protettrice di Jack Brabham. Diventò membro della squadra ufficiale Cooper per il 1958 e assimilò molto rapidamente gli insegnamenti del proprio mentore, tanto da venire schierato a metà stagione al GP di F1 che si teneva sul difficile tracciato del Nurburgring. All’epoca e fino al 1967, il regolamento prevedeva che si potesse partecipare ai GP anche con vetture di F2 e fu così che Bruce prese il via della gara. Su 26 piloti ai nastri di partenza McLaren è buon 15° e primo di coloro che guidano monoposto della categoria cadetta. Sulla terribile Nordschleife il talento neozelandese è evidente, tanto da impressionare più di un addetto ai lavori. Il GP di Germania lo vede sorprendentemente 5° sotto la bandiera a scacchi, dietro a gente del calibro di Brooks, Salvadori, Trintignant e Von Trips. A fine anno McLaren, termina 2° in graduatoria fra le F2 e compie un’ottima stagione giungendo 12° assoluto in campionato. Nel 1959 è logico quindi vederlo in pianta stabile nei ranghi della scuderia Cooper. A Montecarlo arriva 5°, ripetendo il risultato in Francia. Ad Aintree diventa il più giovane di sempre a salire sul podio, conquistando il 3° posto. E dopo i ritiri in Germania, Portogallo e Italia, Bruce entra nelle statistiche di ogni tempo: il 12 dicembre a Sebring vince il Gp degli Usa, un altro primato. Ha appena compiuto 22 anni ed in quel momento è il più giovane pilota ad avere colto il successo in un Gran Premio di Formula 1. Questo record resisterà per molti anni a venire aprendo una nuova pagina di storia nelle corse.

 

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La prima vittoria di Bruce corrisponde anche alla conquista del primo titolo in carriera per il suo protettore Jack Brabham, un modo per suggellare al meglio un momento fantastico e fornire la necessaria tranquillità al team per il futuro. Una continuità che McLaren vuole gestire da protagonista, anche se ne l960 dopo aver vinto il GP d’apertura in Argentina, deve accontentarsi di fare da scudiero al proprio mentore australiano che va bissare il titolo sempre al volante della Cooper a motore posteriore. Durante quella stagione, Bruce chiude il mondiale in seconda posizione concludendo a podio tutte le gare alle quali partecipa, eccezion fatto per quella di Zandvoort in Olanda. Un grande segno di maturità per un giovane pilota come lui, che continua ad affinare la sua tecnica e lo fa anche quando torna in Oceania durante l’inverno per disputare la Tasman Cup. McLaren sembra un pozzo senza fondo, perché cerca di carpire ai vari tecnici e progettisti nei luoghi più reconditi della terra l’arte delle corse ed molto incline ad apprendere qualsiasi tipo di informazione. Purtroppo al termine del 1961, Jack Brabham decide di aprire la propria scuderia lasciando il posto di prima guida che occupava alla Cooper. A quel punto McLaren resta nel team, ma il patron della squadra Charles Cooper non è molto contento della curiosità espressa da Bruce nei confronti della tecnica delle monoposto, poiché a suo avviso dovrebbe interpretare solo il ruolo di pilota senza pensare ad altro. Nonostante ciò ed il conseguente raffreddamento dei rapporti tra i due, McLaren corre con grande professionalità, regalando ancora qualche soddisfazione alla Cooper che ormai vedeva crescere la competitività degli avversari in maniera esponenziale. Lotus e Brm nel 1962 sono le vetture più veloci e Bruce è costretto a tenere in piedi la baracca come può. Lo fa vincendo ad esempio vincendo il prestigioso GP di Monaco e portando fin dove può la vettura a punti.

 

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Il neozelandese resta sempre legato al marchio britannico, ma a fine 1963, dopo aver chiesto ed ottenuto il permesso da parte di Cooper di fondare una propria scuderia, mette in piedi quello che oggi è diventato uno dei team simbolo della F1. Inizialmente l’idea è quella di disputare la Tasman Cup, anche se in seguito l’avventura divenne ben più di una semplice scorribanda nelle gare extra F1. Nasce così la Bruce McLaren Racing Limited e Bruce oltre a fare il team principal come diremmo oggi, si mette logicamente al volante delle proprie vetture. Insieme a lui si imbarcano in questa avventura due fratelli americani, i Mayer. Timmy affianca McLaren come pilota, mentre Edward detto Teddy, farà da direttore sportivo. Nella prima uscita la nuova scuderia si comporta subito bene, dato che domina la serie Tasmania con una Cooper motorizzata Climax 2700. Purtroppo, Timmy Mayer perde la vita in un tragico incidente nell’ultima gara e sembra che la cosa possa finire lì. Tuttavia, Teddy decide di restare con Bruce, così come fa anche il capo meccanico reclutato da Mayer, Tyler Alexander. Pur continuando con la Cooper in Formula 1, McLaren si convince sempre di più dell’idea di poter costruire in proprio le vetture con le quali correre. E così, razie ai buoni rapporti con Roger Penske acquista la Zerex Special, un telaio ex Cooper F.1 modificato per ospitare due posti. La fa a pezzi e la ricostruisce secondo i propri concetti, portandola poi personalmente in corsa a Mosport in Canada nella serie Can Am. McLaren vince la gara e poi superato questo test la fa conoscere in Europa. Nel frattempo inizia la realizzazione della prima McLaren della storia, la M1, che prende forma in Gran Bretagna e più precisamente nel Middlessex a Feltham. Si tratta di una biposto con motore Oldsmobile, che prenderà parte al campionato nord americano. Il 26 settembre 1964 la nuova macchina debutta a Mosport con una vittoria e a partire da questo momento Bruce McLaren si sdoppia.

 

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Da una parte è pilota professionista tra i più rapidi ed esperti, e dall’altra è giovane e capace costruttore. Corre ovunque nel 1965, dalla Cooper in F.1, alla la Ford con la mitica GT40, fino alle sport con la vettura che porta il suo nome. È questo anche l’ultimo anno con la squadra che lo ha tenuto a battesimo nelle corse europee e che lo ha reso noto nel mondiale. Nel frattempo Bruce ha incontrato un giovane ingegnere molto promettente che di nome fa Robin Herd, il quale ha collaborato in passato con l’industria aeronautica, è esperto di materiali ad alte prestazioni e di aerodinamica. Grazie a questo incontro McLaren matura la decisione di lasciare la Cooper ed imitare in tutto e per tutto il proprio mentore Jack Brabham. L’unica difficoltà si presenta in funzione del nuovo regolamento della Formula 3 litri 1966, ovvero trovare un motore competitivo in luogo dei vecchi 1500 ormai pronti al pensionamento. Lo stesso Bruce si metterà ancora in discussione calandosi nell’abitacolo, mentre Mayer continua a fare le veci dello stratega. I due dopo una scrupolosa ricerca, trovano un’alternativa e dalla Ford ottengono il permesso per sperimentare un propulsore derivato da un 4700 impiegato in Formula Indy, ma ridotto a 3000 cc. Abilmente, Mayer si fa promettere un aiuto finanziario dal colosso di Detroit, nel caso il motore ottenga dei buoni risultati in pista. La prima vera McLaren di Formula 1 vede la luce a fine 1965 ed è siglata M2B. E’ caratterizzata da un telaio disegnato da Robin Herd e realizzato in Mallite, uno speciale laminato in materiale composito. L’idea di per sè è rivoluzionaria ma la McLaren paga l’assenza di un motore competitivo e non è competitiva. Dei 330 cv previsti, il propulsore ne riesce a erogare solo 300, molto meno del Repco installato sulle vetture dell’ex mentore Black Jack. Inoltre il Ford rielaborato si rompe spesso, lasciando Bruce molto perplesso. Dopo appena una gara disputata, la McLaren accetta l’offerta della Serenissima del Conte Volpi, la quale mette a disposizione del team un Ford V8 modificato dall’ingegner Massimino, un tempo alla Ferrari e sviluppato dall’ex meccanico di Stirling Moss, Alf Francis.

 

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I cavalli messi in terra sono ancora meno, appena 260, ma questa unità si dimostra ben più robusta. Tuttavia McLaren non abbandona l’idea con la quale era partito, continuando a far girare al banco il motore derivato dalla Indy in attesa di trovare le giuste modifiche. La collaborazione con la Serenissima si rivela in ogni caso disastrosa e quando il Ford V8 originale torna in pista, la McLaren soffre sempre rispetto alla concorrenza. Per Bruce non si tratta comunque di un periodo del tutto negativo, in quanto si consola vincendo la 24 Ore di Le Mans in coppia con Chris Amon sulla Ford GT40. L’anno seguente McLaren si orienta sul Brm nella speranza che la situazione migliori. Grazie a tale scelta, arriva 4° a Monaco seppure a tre giri, ma in seguito colleziona un ritiro dopo l’altro. Le sue vetture sport, in compenso, diventano le regine della Can Am e Bruce vince il titolo di categoria nel 1967. Ma il chiodo fisso del neozelandese si chiama F.1, dove però sembra non esserci spazio vista la crescente competitività dei motori ufficiali e la solida affidabilità del Repco Brabham. Ad aumentare le preoccupazioni di Bruce, giunge la notizia che prima della fine dell’anno Robin Herd abbandonerà il team per andare a lavorare al progetto della Cosworth quattro ruote motrici di F1. Una scelta che gli permetterà comunque di ultimare una nuova monoposto per McLaren, la M7A che sarà dotata finalmente di un motore competitivo, il famigerato Cosworth DFV. Al posto del geniale Herd viene promosso il suo vice, Gordon Coppuck. In concomitanza a tali eventi e spiazzando un pò tutti, Bruce compie il colpo del mercato invernale assumendo in squadra il campione del mondo in carica Denny Hulme. I due insieme dominano la Can Am e soprattutto diventano un valido binomio anche in Formula 1. La M7A è una vettura semplice, ben costruita ed affidabile, mentre il Cosworth è il motore giusto per un telaio sul quale Herd ha corretto gli errori dei modelli precedenti, raggiungendo un ottimo livello di prestazioni. Dopo due ritiri in Spagna e a Monaco, Bruce McLaren corona il sogno di una vita vincendo il GP del Belgio 1968 a bordo di una macchina che porta il suo nome.

 

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La McLaren riesce stupendamente anche nell’impresa di lottare per il titolo con Hulme, che vince a Monza e in Canada. Il vulcanico Bruce vive un periodo d’oro e si cimenta anche nella mitica 500 Miglia di Indianapolis con un propria monoposto concepita per l’occasione. Quando tutto sembra andare per il meglio, McLaren è protagonista di un difficile 1969. Bruce è 3° nel mondiale di F1 ma la squadra vince solo l’ultima gara dell’anno con Hulme a Città del Messico. Il pilota costruttore neozelandese capisce che ormai vestire casco e tuta, mal si concilia con l’aspetto gestionale del team. Anche l’amico Teddy Mayer cerca di convincerlo a ritirarsi dalle corse per dedicarsi anima e corpo all’organizzazione della squadra, ma purtroppo non ci riuscì del tutto. L’ipotesi che ciò possa accadere nel 1971 è plausibile e per Bruce inizia a palesarsi il dubbio se non sia il caso di lasciar perdere. Ma guidare per lui è fondamentale, poiché pilotando le proprie creature può capire e aiutarle a crescere, perché le sente come una parte di sé. Quindi, nel 1970 decide di continuare a correre e non appende il casco al chiodo. Non ha nemmeno compiuto 33 anni, si sente ancora forte ed è un pilota stimato dai colleghi e dagli avversari. Nel 1970 la stagione non inizia benissimo per via di un ritiro nella gara inaugurale in Sud Africa, ma sembra prendere la direzione giusta già al secondo appuntamento in Spagna a Jarama dove giunge al secondo posto. Successivamente c’è la gara di Montecarlo che Bruce aveva già vinto con la Cooper, ma anche qui si deve ritirare per via della rottura di una sospensione. Quella di Monaco corrisponde tristemente anche alla sua ultima gara in F1, poiché il 2 giugno del 1970 perderà la vita nel tragico incidente di Goodwood. Un evento che venne propiziato, se vogliamo usare questo termine, dalle solite maledette circostanze dettate dal destino.

 

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Quel giorno, Bruce si reca sul tracciato teatro del celebre botto che costrinse Moss a ritirarsi dalle corse per provare la sua M8A Can Am, poiché Hulme è momentaneamente immobilizzato dopo un incidente occorsogli durante la 500 Miglia di Indy. Purtroppo il circuito di Goodwood non era il massimo già allora in tema di sicurezza e guidare i 650 cv di un mostro del genere su quel percorso, è una bella sfida anche se si tratta solo di un collaudo. McLaren entra in pista ma molto presto all’uscita di una curva, perde la vettura al retrotreno che impazzita va a sbattere contro una postazione dei commissari in disuso. E’ la fine perché Bruce muore sul colpo e tutto sembra fermarsi. Ma non è così, perché Teddy Mayer prenderà in mano la squadra e la porterà sempre più in alto fino a vincere il mondiale nel 74 con Fittipaldi, per poi passarla nelle mani di Ron Dennis all’inizio degli anni 80. Resta inossidabile nella nostra memoria la figura di quell’uomo, Bruce McLaren, che vinse contro tutto e tutti pur di realizzare il proprio sogno. Aveva sconfitto la malattia che lo lasciò menomato nel fisico, gli avversari in pista e la sorte avversa quando le cose non giravano per il verso giusto. L’unica sulla quale non era riuscito a prevalere era la morte, ma in quel momento era già diventato mito.

 

F1Passion

 

 

http://youtu.be/_0wwk4EDYsw

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