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Alliot

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  1. Alliot

    Doping in F1?

    Se fosse provato, a me sorprende la scelta di Enge. E' un buon pilota e non vedo perch? dovrebbe ricorrere a certi mezzucci. Non ne ha sicuramente bisogno.
  2. Alliot

    Doping in F1?

    Non so a cosa si riferisca mammamia, per? mi pare di capire che nell'articolo si faccia riferimento a un parere espresso da medici. Anch'io ho letto diverse fonti secondo cui il ricorso al doping sarebbe controproducente per i piloti, qui invece l'analisi del driver program va nella direzione opposta.
  3. Alliot

    Doping in F1?

    Rispolvero la discussione dopo aver trovato in Rete un'intervista sull'argomento doping nelle corse. La posto qui. Quando illecito fa rima con pericolo: il doping infetta anche le corse? Gli esperti del Driver Program Center di Forl?: ?Negli Usa controlli pi? severi che in Europa? Mar, 10/07/2012 Meglio di gran lunga gli estratti alla carota e le compresse al mirtillo assunte nelle ultime stagioni da diversi piloti della massima serie per monoposto durante il fine settimana in notturna del Gran Premio di Singapore. Secondo i preparatori atletici e i mental coach delle squadre, infatti, questi semplici accorgimenti nell?alimentazione migliorerebbero l?acutezza visiva e il grado di concentrazione dei drivers, impegnati a trovare il delicato compromesso tra le luci artificiali e i muretti di contenimento nell?arco delle 61 tornate di una gara massacrante sotto il profilo fisico e psicologico anche a causa del caldo torrido di stanza sullo scenografico Marina Bay Street Circuit. E? di poche settimane fa la notizia, diramata con la velocit? e la discrezione di un fulmineo tweet irradiato dai principali network dedicati all?automobilismo sportivo, che riporta di un Tomas Enge, al via di 3 Gran Premi in F1 nell?ormai lontano 2001, colto in fallo sul fronte antidoping per la seconda volta in carriera dopo il noto episodio del 2002 capace di costargli la revoca di un titolo FIA conquistato sul campo. Il ricorso a sostanze pi? o meno illecite non suona certo alla stregua di una novit? nell?ambito del motorsport, sebbene il bilancio complessivo risulti tutto sommato a favore dei piloti complice la scarna letteratura proposta in merito da un fenomeno decisamente inflazionato in altre discipline quali ad esempio atletica e ciclismo. Una piaga difficile da debellare che pianta le sue radici agli albori del secolo scorso, quando persino l?asso dal passaporto tedesco Hans Stuck, orgogliosa bandiera dell?Auto Union in grado di guadagnarsi il soprannome di Bergk?nig (re delle montagne), e il nostro Achille Varzi, si affidarono a medicinali dopanti per potenziare il tandem rendimento fisico-prestazioni nella speranza di sconfiggere dolore e fatica. In epoche recenti hanno catalizzato l?attenzione le vicende ?made in Usa? dei vari Aaron Fike, Kevin Grubb, Shane Hmiel, Jeremy Mayfield e AJ Allmendinger, piloti dell?universo Nascar finiti sotto la lente d?ingrandimento dell?antidoping, senza dimenticare l?insolito caso dei due membri della pit crew del team Earnhardt-Ganassi accusati addirittura di traffico di droga. Emblematico il triste epilogo offerto da Grubb, fratello minore di Wayne, anch?egli driver della Nascar, che la mattina del 6 maggio 2009 ? stato trovato morto in un motel della Virginia dove aveva deciso di spararsi un colpo di pistola alla testa. A 31 anni e con alle spalle un?esistenza segnata dallo spettro del doping. Prese le mosse dal test fallito di Enge, che ha impiegato alcuni anni per ricostruirsi una reputazione di pilota credibile salvo poi rimettere tutto in discussione dopo essersi inserito nella lista dei top driver GT, e da un aspetto sgradevole e truffaldino delle corse di cui per? si parla forse troppo poco, MotorInside si avvale della collaborazione di due esperti proponendo un?intervista a Stefano Elia ed Emiliano Maraldi del Driver Program Center (www.driverprogramcenter.com) di Forl? specializzato in consulenza sportiva e nella preparazione fisico-mentale di giovani prospetti intenzionati a crescere, umanamente e agonisticamente, con quel mix di dedizione e sacrificio divenuto imprescindibile per assurgere ad alti livelli. I test antidoping vengono normalmente eseguiti nelle varie categorie dell?automobilismo sportivo? A vostro modo di vedere, con quali modalit? e riscontri? ?No, non vengono eseguiti in tutte le categorie. Quando succede sono ?leggeri? perch? prevedono solo i test delle urine e mai i test ematici. Un discorso a parte lo merita la F1, dove probabilmente, anche a causa della posta in palio, si organizzano controlli pi? severi?. Quali sono le principali sostanze o gruppi di sostanze proibite che non permetterebbero a un pilota di risultare negativo al test? ?Alcuni eccitanti come cocaina e amfetamine, l?eritropoietina per avere maggiore resistenza (di qualsiasi ?generazione? sia). Possiamo aggiungere all?elenco gli ormoni come il testosterone e tutte le sue imitazioni che aiutano molto per la sopportazione della fatica e l?aumento di resistenza e forza ma che sarebbero, oggi, facilmente rilevabili con un banale test delle urine?. Nelle ultime settimane ha tenuto banco il caso Enge. Squalificato per marijuana nel 2002 in F3000 Internazionale e privato del titolo, quindi riammesso e di nuovo positivo al test antidoping successivo al round del Mondiale GT1 tenutosi in Spagna sul circuito di Navarra lo scorso 27 maggio. Il pilota ceco, visto in F1 sulla Prost nel 2001, si ? difeso adducendo motivi di salute: cosa ne pensate della lettura offerta da Tomas? ?Il problema di fondo ? uno solo: tutti gli atleti trovati positivi al test antidoping sostengono sempre che i farmaci assunti sono stati presi dietro consiglio medico per curare determinate malattie. Ovviamente la vicenda di Enge non pu? non rientrare in questa casistica?. In merito al primo stop imposto a Enge dopo la positivit? alla marijuana, possiamo affermare che a un pilota ? sufficiente fumare uno spinello per entrare nella lista dei dopati? ?S?, fumare uno spinello equivale a fallire il test antidoping. Va per? sottolineato che una sostanza come la marijuana non aiuta lo sportivo in nessun tipo di prestazione?. Tenuto conto delle problematiche legate allo sport dell?automobile, ritenete che le performances complessive di un pilota possano in qualche modo migliorare in presenza di determinate sostanze nel sangue? ?Sicuramente s??. Esistono prodotti in grado di incrementare il livello delle prestazioni pur restando nell?ambito del lecito? ?Di integratori consentiti ne esistono, anche se non compiranno mai i miracoli dei farmaci dopanti?. Nel recente passato, la positivit? alla marijuana e all?eroina ha messo nei guai alcuni piloti e addetti ai lavori della Nascar. Perch?, a vostro parere, Enge a parte, la piaga del doping sembra aver sedotto le competizioni Stock Car e i drivers Usa in particolare, mantenendo invece tonalit? sfocate in Europa? ?Le sostanze che hanno preso taluni piloti di nazionalit? statunitense sono usate anche dagli europei. Negli Usa sono solo un po? pi? severi che in Europa. Bisogna tuttavia precisare che marijuana ed eroina vengono assunte per ?distrarsi? e non per migliorare il rendimento atletico. Probabilmente qualche driver d?Oltreoceano, fuori dalle competizioni, decide di farne uso per altre ragioni che esulano dal mondo dello sport?. Cosa ne pensate della pratica di reinserimento degli atleti coinvolti in un episodio di doping come avvenuto nei casi di Enge nel Vecchio Continente e di Hmiel negli Stati Uniti? ?Ogni punizione deve prevedere la possibilit? di un ?perdono?, altrimenti non avrebbe senso attribuirla. Se poi l'atleta persevera col doping... beh, in questo caso allora ? diverso?. Di sostanze dopanti in F1 se ne ? sempre parlato con il massimo riserbo. Ricordo per? una copertina di Autosprint del 1976: Hans-Joachim Stuck, figlio di Hans, aveva deciso di testare gli effetti di una pillola bocciandone l?utilit? (?l?ho provata ma non serve?, la sua analisi). Perch?, oggi, di test antidoping in F1 se ne sente parlare ancora meno? Si tratta di un fattore marginale o qualcuno sta sottovalutando il problema? ?Crediamo che in F1 i piloti non ricorrano al sotterfugio del doping. I test condotti, inoltre, sono abbastanza severi. Che dire di Stuck... ? stato un buon driver, mai un campione. Era abilissimo sul bagnato ma non sarebbe diventato campione del mondo neanche ingurgitando un intero bottiglione di testosterone! Anche perch? in quel periodo, in F1, la forbice tra i drivers affermati e quelli che comunque prendevano parte ai Gran Premi risultava pi? ampia di oggi?. Alcuni mesi fa ha destato scalpore la decisione del Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, in Svizzera, che ha ridotto a 18 mesi il periodo di squalifica, inflitto a un kartista polacco dodicenne all?epoca dei fatti contestati, in quanto il provvedimento iniziale FIA era stato ritenuto ?eccessivo e sproporzionato?. Il ragazzino era stato trovato positivo alla niketamide dopo una gara svoltasi in Germania. Qual ?, a vostro giudizio, l?approccio giusto in situazioni che vedono al centro delle cronache dei piloti minorenni? ?Un minorenne va innanzitutto tutelato. ? sacrosanto dare una punizione, ma anche fornirgli la possibilit? di redimersi e di tornare a competere. Sarebbe errato condannare a vita un ragazzo che, forse nemmeno per sua iniziativa, ha assunto sostanze dopanti?. Come affrontate l?argomento doping nel Driver Program Center di Forl? con i ragazzi attratti da una carriera nel motorsport? ?Con i ragazzi facciamo primariamente informazione, ovverosia spieghiamo che la strada per diventare dei piloti professionisti ? lunga e ricca di insidie. Detto questo, cerchiamo di inculcare loro che mai e poi mai devono lasciarsi attirare da scorciatoie illegali o antisportive. Insegniamo a vivere da atleti, senza trascurare l?allenamento fisico-mentale e quello posturale, osservando quindi una corretta alimentazione e utilizzando i giusti integratori. Le nostre direttive sono basate sul duro lavoro, programmato e organizzato nei modi e nei tempi opportuni?. Ermanno Frassoni
  4. Alliot

    Riccardo Paletti

    Navigando sul Web ho trovato un articolo a firma Frassoni con intervista a Giorgio Stirano, ex direttore tecnico Osella, piuttosto interessante. Ve lo posto, non so se si pu? menzionare il sito ma comunque ? uno di quelli top per le corse: ?Before I die I want to??. Da quando sulla scena internazionale della street art ? apparsa lei, la cosmopolita Candy Chang, lunghi capelli corvini e inconfondibili tratti del volto che rimandano alle sue origini taiwanesi, le superfici dei muri di alcuni edifici degradati negli insediamenti di Brooklyn, New Orleans, San Diego, Montreal, Londra, Portsmouth, Amsterdam, Lisbona e Quer?taro non sono pi? state le stesse, complice quell?incipit, ?prima di morire voglio??, ripetuto fino allo sfinimento, dal quale gli abitanti delle varie localit? coinvolte nel progetto hanno potuto partire scrivendo, come se si trattasse di una enorme lavagna da condividere con i propri concittadini, obiettivi e desideri, banali o ambiziosi, personali o collettivistici, quantunque popolati dalla comune esigenza di lasciare una traccia, flebile ma viva, di un erratico passaggio terreno vicino ai connotati dell?ultima sigaretta tanto cara allo Zeno Cosini tratteggiato nel celebre romanzo di Italo Svevo. Il 13 giugno 1982, sull?impegnativo circuito semicittadino di Montreal, adagiato nell?isola artificiale di Notre Dame, in Qu?bec, a ridosso del fiume San Lorenzo, nel medesimo Canada d?impostazione francofona dove ha recentemente affondato i propri tentacoli l?insolita performance artistico-urbana della giovane Candy Chang, nata in Pennsylvania e residente in Louisiana, un pilota italiano di belle speranze, 24 anni da compiere il marted? successivo, si schiera al ventitreesimo posto sulla griglia di partenza a un mese di distanza dalla tragica dipartita del ferrarista Gilles Villeneuve, maturata nelle prove ufficiali del Gran Premio del Belgio a Zolder. Il suo nome ? Riccardo Paletti, di mestiere ha scelto di fare il pilota in F1 e a tenergli compagnia sull?affollato starting grid del Canada c?? una Osella FA1/C che dopo una serie di mancate qualificazioni, il ritiro a Imola sul tracciato del Santerno e l?incidente rimediato nel warm-up a Detroit, sulle stradine del Michigan, pare finalmente in grado di garantirgli una conclusione di week-end all?insegna della serenit? umana e sportiva. Inganni e lusinghe del destino, perch? da quella monoposto bianco-blu numero 32 sponsorizzata dalla Denim il malcapitato driver milanese, figlio di un noto imprenditore del settore immobiliare, non riuscir? a scendere con le proprie gambe terminando anzitempo il ciclo della propria esistenza contro la Ferrari del poleman Didier Pironi, rimasta ferma al pronti-via e schivata da tutti i concorrenti eccezion fatta per la March di Raul Boesel, integra tanto da percorrere quasi cinquanta tornate prima dello stop tecnico propiziato dal cedimento del propulsore Ford, e l?Osella di Paletti, con l?italiano finito addosso alla 126 C2 dell?ex compagno di squadra del defunto Villeneuve a una velocit? prossima ai 180 chilometri orari. Chiss? quali parole avrebbe utilizzato, lo sfortunato Riccardo, apprezzato karateka e valido praticante di sci alpino, che con il suo talento e i sacrifici di pap? Arietto e mamma Gina era stato capace di approdare nel Circus iridato, sguardo pensoso, chioma fluente e occhialoni al seguito, all?indomani del cimento agonistico in F. Super Ford, F3 e F2, per completare quel ?Before I die I want to??, sorta di inno alla fugacit? del tempo e della vita la cui peculiarit? sembra tuttavia sublimarsi attraverso la valorizzazione delle ore, dei giorni, dei mesi e degli anni a nostra disposizione. La spietata clessidra di Paletti esaur? la propria forza propulsiva in una domenica di giugno, annegata tra gli strascichi polemici di chi denunciava un eccessivo ritardo nelle operazioni di soccorso al pilota una volta appurata la gravit? dell?incidente e il ricordo, via via sempre pi? sbiadito, di un corridore transitato suo malgrado alla stregua di una meteora nell?esclusivo parterre della F1, ripetutamente macchiato di sangue nel truculento 1982. A Montreal, cos? come nei precedenti Gran Premi del Mondiale ?82, l?ingegnere piemontese Giorgio Stirano non era ai box dell?Osella Corse. Gi? appassionato pilota di rally e collaboratore del quotidiano Tuttosport, l?illustre allievo del Politecnico di Torino, entrato in squadra da direttore sportivo, aveva concluso la sua collaborazione nelle vesti di progettista del team di Volpiano a met? ?81, non prima di avere contribuito all?epopea dell?Osella fin dagli anni Settanta dividendosi tra F. Super Ford, F3, F2 e competizioni Sport. Sebbene transfuga dal Circus all?epoca dei fatti che portarono alla prematura scomparsa di Paletti nel Gran Premio del Canada, l?ingegner Stirano, brevemente in attivit? al muretto della Forti Corse nel campionato del mondo di F1 edizione ?95 e da anni di stanza nel Principato di Monaco dove dirige la societ? Albatech, ? personaggio ideale per compilare una testimonianza nel trentesimo anniversario della morte del pilota lombardo. MotorInside lo ha intervistato allo scopo di ricostruire un drammatico episodio, andato a rimpinguare le fitte pagine del libro magno delle corse, che non pu? e non deve essere dimenticato, al di l? dell?intitolazione dell?autodromo di Varano de? Melegari alla memoria di Riccardo e dell?inaugurazione di piazzale Paletti a Tradate, nel varesotto, sede della biblioteca Frera, avvenuta nel marzo 2007 alla presenza di pap? Arietto, sempre pronto ad assecondare la passione del figlio e in seguito sul ponte di comando per celebrarne la figura. Ingegner Stirano, nel 1978 il ventenne Paletti, attratto nell?et? dell?adolescenza dal karate e dallo sci piuttosto che dal mondo delle corse, concretizza il suo esordio in F. Super Ford. Lei, all?epoca, era gi? uomo Osella nelle formule addestrative. Ebbe modo di farsi un?idea delle qualit? di base sfoggiate da Riccardo, che pure non fu protagonista di un avvio travolgente al debutto in monoposto? ?Nel ?78 io non seguivo pi? la Formula Super Ford. Sentii parlare di Riccardo da Gianfranco Palazzoli, che era in contatto con la famiglia del pilota. Per quello che ricordo, in quel periodo Paletti non era ancora concentrato al cento per cento sulla carriera nell?automobilismo?. E? il 1981 quando Paletti firma per il team Onyx di Mike Earle che gli consente di competere ad alti livelli sulla March Bmw nella F2 europea. Anche se Riccardo difendeva i colori di un?altra squadra, ha qualche ricordo dell?eco mediatico suscitato dalle imprese dell?italiano, ottimo secondo a Silverstone dietro a Mike Thackwell, autore del giro pi? veloce a Hockenheim e sul gradino pi? basso del podio a Thruxton, stavolta alle spalle delle Maurer di Roberto Guerrero ed Eje Elgh? ?Si sapeva che Riccardo, dopo la Formula Super Ford e la F3 dove non ottenne risultati eclatanti, salendo di categoria in F2 stava cominciando ad adattarsi e a professionalizzare il suo approccio. Infatti durante la stagione 1981 ebbe discreti risultati e la griglia non era certamente costituita da ?fermi?. I riscontri che ne scaturirono se li guadagn? a pieno titolo?. Arriviamo alla stagione 1982. Quando Paletti debutta in F1 in Sudafrica, nel mese di gennaio, fallendo la qualificazione al volante dell?Osella, lei non fa pi? parte dell?organigramma del team di patron Enzo. Secondo la sua opinione da esterno, come venne accolta dai colleghi e dall?ambiente in generale la notizia dell?approdo in F1 di Paletti, un ragazzo di 23 anni la cui militanza nelle formule propedeutiche non l?aveva mai portato a vincere una gara? ?Non credo che ci siano state preclusioni particolari nei confronti di Riccardo da parte dei colleghi. La griglia era nutrita, e capitava, a rotazione, che nelle squadre minori qualcuno non si qualificasse. Riccardo, che era l?ultimo arrivato, certamente incontr? qualche difficolt? di adattamento. In particolare, in Canada, non si qualificarono Manfred Winkelhock, Emilio De Villota e Chico Serra. E lui si qualific? ventitreesimo. Se si pensa che il suo compagno Jean-Pierre Jarier, infinitamente pi? esperto di lui, fu diciottesimo in griglia, si pu? dire che Riccardo sfoder? un?ottima prestazione. Anche perch? l?Osella non era una vettura al top?. A suo giudizio, Riccardo Paletti era gi? psicologicamente e fisicamente pronto per affrontare il gravoso impegno dei Gran Premi o il suo staff avrebbe forse dovuto fare la voce grossa inducendolo ad attendere un paio di stagioni prima di oltrepassare i cancelli del Circus iridato? ?E? una valutazione difficile da fare. Se ci riferiamo a Riccardo Patrese, che salt? dalla F3 alla F1, e ad Elio De Angelis, che rest? un solo anno in F2, non credo fosse necessario ?frenare? Riccardo nelle formule minori per troppo tempo. Quello che conta sono i chilometri percorsi. L? forse, all?inizio del campionato, si poteva fare qualcosa di pi? a livello contrattuale. Ma per ragioni prestazionali, non di sicurezza?. Non bisogna dimenticare che Paletti, pochi giorni prima del crash fatale, aveva subito un violento incidente nel warm-up del Gran Premio degli Stati Uniti d?America Est a Detroit, che sugger? allo stesso Enzo Osella di lasciare a riposo il pilota milanese impedendogli di fatto di schierarsi regolarmente in gara. Riccardo, inoltre, a Montreal si trovava a dover fare i conti con la prima vera partenza della sua vita in F1 dal momento che a Imola aveva preso il via dalla pit-lane. Cosa risponde a chi sostiene che questi due aspetti potrebbero avere inciso nel devastante crash di Paletti contro la Rossa di Pironi? ?Non credo che l?episodio occorsogli negli Stati Uniti sia stato determinante. Di partenze, invece, ne aveva gi? accumulate un bel numero nelle varie categorie in cui aveva gareggiato prima dell?approdo nel Circus, spesso pi? turbolente rispetto a quanto si vedeva di norma in F1?. Sulla stampa dell?epoca si cominci? a parlare di un munifico sponsor che aveva assicurato a Paletti la chance di partecipare al Mondiale del 1982 in barba alla scarsa dimestichezza del driver italiano con la potenza mostruosa generata da un motore di F1. Riccardo godeva certamente del supporto di pap? Arietto, divenuto un imprenditore di successo, ?ma la colpa ? di tutto l?ambiente, del ?sistema?. Riccardo Paletti era giovane, aveva un'esperienza mollo limitata, forse si doveva agire prima: aveva avuto gi? tanti, troppi incidenti?. Cos? scriveva il giornalista Cristiano Chiavegato su La Stampa il 15 giugno 1982. E? forse possibile attribuire delle colpe al cosiddetto ?sistema F1?? ?Quando non si parla di Ferrari, i giornalisti italiani si sbizzarriscono nelle tesi pi? esotiche, perch? tanto nessuno si premura di richiamarli all?ordine. Riccardo aveva, per quello che l?ho conosciuto, un carattere piuttosto introverso, di conseguenza non penso fosse entrato nelle grazie del ?carrozzone? che seguiva le corse di allora. Non attribuirei colpe specifiche al ?sistema F1?, se non citando il retro dei biglietti di ingresso alle corse automobilistiche inglesi dove si legge la fatidica frase ?motorsport is dangerous?. L?incidente di Riccardo fu assolutamente atipico. La vettura di Pironi rest? ferma al palo, all?epoca al via non c?era la procedura attuale che prevede un commissario per fila che sbandiera dal punto in cui c?? una situazione anomala in griglia di partenza. Riccardo non fu avvertito, proprio mentre stava ovviamente accelerando a tutta. Man mano quelli davanti a lui riuscivano per il rotto della cuffia ad evitare l?ostacolo, ma cos? facendo si riduceva lo spazio di manovra temporale per sterzare da parte di chi sopraggiungeva. Quando si trov? davanti la Rossa di Didier, Riccardo, scattato dalle retrovie, non poteva pi? fare nulla per scongiurare l?impatto?. C?? chi mormorava di una volont? di riscatto personale inseguita nel suo campo da Riccardo, che sarebbe stato intenzionato a ripercorrere in qualche modo le orme del padre, cameriere negli anni della giovinezza e quindi affermato uomo d?affari. Qual ? la sua impressione al riguardo? ?Non ho elementi per fornire un parere. Se non ricordo male, per?, c?era stata la separazione dei suoi genitori, un elemento che i figli di solito patiscono. Secondo me Riccardo voleva semplicemente affermarsi. Era un giovane ricco che si misurava per la prima volta con un?impresa molto ardua. Fino a quel momento aveva avuto apparentemente una vita materiale senza problemi?. Apriamo il triste capitolo dei presunti ritardi nei soccorsi subito dopo l?incidente. L?Osella di Paletti prende fuoco e i commissari di percorso non sembrano impiegare molto per tenere sotto controllo la situazione, tanto che sul corpo di Riccardo non verranno riscontrate ustioni ma traumi insanabili. Ci vuole per? quasi mezzora per estrarre il pilota dalla monoposto distrutta. Un intervento pi? organizzato da parte dei marshals avrebbe potuto salvare la vita al povero Paletti? ?Non credo che ce l?avrebbero fatta, anche se non ho avuto modo di vedere personalmente la vettura incidentata. A quel tempo non si applicava alcun concetto di assorbimento di energia. Per quello che mi ? stato raccontato, il cambio della Ferrari entr? nella scocca dell?Osella del povero Riccardo che ebbe la sfortuna di centrarlo perfettamente dritto. E quello gli fu fatale. Istantaneamente?. Riaffiorano in superficie come una stilettata al cuore l?immagine dell?ultimo volo di Gilles a Zolder, la presenza della mamma Gina a Montreal all?insaputa del figlio nella maledetta domenica della morte, i preparativi per i festeggiamenti del ventiquattresimo compleanno che Riccardo avrebbe trascorso in spensieratezza a New York e lo sconfortante fotogramma di Pironi tamponato dall?Osella, preludio al decollo del ferrarista in Germania, nemmeno due mesi dopo, capace di troncargli la carriera. Ritiene che la foga massacratrice della F1 versione ?82 avrebbe potuto essere messa a freno? ?Sarebbe troppo facile dirlo ora, dopo che con l?incidente fatale di Ayrton Senna, verificatosi per? nel 1994, le vetture sono state completamente ripensate in nome della sicurezza. In quegli anni l?architettura delle monoposto prevedeva una distribuzione dei pesi con i piloti in posizione molto avanzata. C?? voluto molto tempo per far passare in FIA, allora FISA, dei concetti che proteggessero i drivers in modo sostanziale. Nello stesso periodo io ero passato in Endurance; Le Mans era il circuito pi? pericoloso del mondo con il rettilineo di Hunaudi?res, che altro non era che una Strada Nazionale da percorrere per ben sette chilometri. Ricordo il commento di Eddie Cheever, che nel 1983 mi disse: ?questo ? l?unico posto dove non sono sicuro di tornare a casa il luned??. Era un?epoca nella quale certe situazioni, anche se non accettate, venivano? spiegate?. Qual ?, ammesso che se ne possa parlare in questi termini, l?eredit? lasciata da Riccardo Paletti alle generazioni di piloti susseguitesi negli anni in F1? ?Ragazzi come Riccardo hanno vari modi per affermarsi. Lui aveva, a un certo punto della sua vita, individuato la F1 come mezzo per realizzare le proprie aspirazioni. E si stava impegnando per restarci a lungo. Come ho detto prima, non aveva un carattere estroverso, io almeno l?ho percepito cos?, e dunque molti non hanno compreso a fondo la persona. L?essenza della sua passione era di impegnarsi in qualcosa di molto difficile. Per lui sarebbe stato comodo fare il playboy in Costa Azzurra, o qualsiasi altra cosa che la fortuna del suo patrimonio gli avrebbe consentito. Scelta quella strada, non abbiamo capito il suo reale valore di pilota. Ma dobbiamo rispettarlo per essersi messo in gioco in uno degli sport pi? spietati del mondo. E, allora, anche tra i pi? pericolosi. E questa in effetti ? un?eredit? che un giovane come lui ha lasciato. Credere in se stesso?. Ermanno Frassoni
  5. Alliot

    Piacere

    Ciao a tutti i forumisti seguo da diverso tempo F1GrandPrix e adesso ho deciso di iscrivermi. A presto e buon proseguimento.
  6. Alliot

    Lella Lombardi

    Se pu? interessare vi segnalo un articolo-tributo a Lella, pubblicato un paio di giorni fa su MotorInside (ho fatto copia e incolla dal sito). Lella Lombardi, pilota e antidiva: ? il Montjuic, bellezza! Rubrica: Giov, 08/03/2012 Non si chiede l?et? a una signora. Maria Grazia Lombardi, detta Lella, nasce a Frugarolo, un piccolo comune adagiato sulla pianura alessandrina a ridosso del torrente Orba, il 26 marzo 1941 o, secondo altre fonti, due anni pi? tardi, ovverosia nel 1943, figlia di un macellaio che per far quadrare i conti della famiglia non esita a mettersi al volante del suo furgone con l?obiettivo di trasportare la carne e i salumi nelle regioni vicine, in particolare in direzione Liguria. Di lei, in paese, si ricordano tutti, forse anche perch? pur frequentando i circuiti di mezzo mondo la ?tigre di Torino?, cos? Lella era stata soprannominata dalla stampa italiana per una sorta di pigrizia mediatica incapace di rimarcare le reali origini della donna pilota assurta al ruolo di erede dell?intramontabile Maria Teresa de Filippis, presente in F1 su Maserati e Porsche nel biennio 1958-59, aveva sempre dimostrato un attaccamento quasi primordiale alla bucolica Frugarolo, una popolazione di nemmeno duemila abitanti e la chiesa romanico-gotica di San Felice, ristrutturata di recente, pronta a dare il suo buongiorno agli abitanti o a chiunque si fosse trovato a passare da quelle parti in una poetica transumanza a cavallo tra Piemonte e Liguria. ?Era una donna piena di vita, non si pu? credere che non ci sia pi??. L?addolorato epitaffio consegnato dai suoi concittadini all?indirizzo dei principali quotidiani nazionali di venti anni fa, pi? precisamente quando la stella effervescente di Lella Lombardi cess? prematuramente di brillare in una stanza asettica della clinica San Camillo di Milano, dove l?ex driver di F1 e vetture Sport arriv? a concludere prematuramente il proprio percorso terreno ormai logorata da un male incurabile, rende bene l?idea di quanto potesse risultare intenso e circoscritto il rapporto instaurato dalla signora della velocit?, le cui imprese agonistiche servirono da esempio all?emula Giovanna Amati, brevemente nel Circus su Brabham al via del Mondiale 1992, con il diletto suolo natio. Che strana e meravigliosa sensazione immaginarla, ancora bambina, gi? in grado di guidare l?automobile di pap?, salvo poi divenire, appena diciottenne, il braccio operativo di casa Lombardi a bordo di quell?ingombrante furgone che nelle mani di Lella, fattezze fisiche da fantino e piglio da amazzone, doveva sembrare persino pi? voluminoso nelle dimensioni. Le entrate economiche, come spesso accadeva nelle famiglie laboriose degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, rappresentavano una voce delicata cui Lella e i genitori cercavano di sopperire con il duro impegno quotidiano e quella sana dose di motivazione personale insita nell?animo granitico di una futura antidiva mutata suo malgrado in mirabile personaggio. Non ? affatto una ragazza appariscente, Lella, e di grilli per la testa nemmeno a parlarne. A movimentare i suoi sogni di adolescente cresciuta forse troppo in fretta a causa delle impellenti responsabilit? c?? soltanto il rombo assordante di un motore e la fisionomia vivace delle monoposto da competizione. ?Le custodivo la macchina, perch? la mamma non era d?accordo?, ha ricordato ai microfoni de La Stampa del 6 marzo 1992 il carpentiere Giacomo Sburati, amico e primo sostenitore della Lombardi pilota, interpellato dai cronisti nel giorno dei funerali di Lella. ?Sapevamo della malattia, ma lei non ne parlava mai ? la testimonianza di Luca Canniferrari, all?epoca portacolori del team Lombardi Autosport fondato dalla stessa Lella all?indomani del ritiro dalle corse ? sono andato a trovarla in clinica. In un momento di lucidit? mi ha ancora chiesto delle gare?. Assaggiato il karting, nel 1965 l?acquisto a rate di una Formula Monza permette allo scalpitante pilota piemontese di cimentarsi nell?abitacolo di una monoposto addestrativa. A darle manforte in questa avventura ci sono il cognato e la sorella, dal momento che nelle intenzioni di Lella i genitori non devono sapere nulla della sua nuova e pericolosa attivit?. Il segreto dura lo spazio di tre corse: la talentuosa driver proveniente da Frugarolo vince la sua prima gara in carriera e la famiglia legge delle imprese della figlia direttamente sul giornale. E? la molla che fa scattare il cambiamento, perch? gradualmente, messa da parte ogni riserva, in casa Lombardi iniziano a supportare senza pi? infingimenti le ambizioni di Lella. ?Eravamo amici ? annotava a La Stampa un contrito Piercarlo Ghinzani, ex pilota di F1 riciclatosi con successo nelle vesti di team manager ? abbiamo corso negli stessi anni nelle formule Ford, Tre, Prototipi e Uno. Lella era brava e professionale. Non ? stata una show girl, non ha mai cercato pubblicit??. Gli albori degli anni Settanta dispensano fasti e gratificazioni. La Lombardi si aggiudica infatti il titolo di campione italiano nella Formula 850, quindi sbaraglia la concorrenza anche in F.Ford Mexico. Si arriva al 1974 e c?? il tempo per una divertita parentesi in F.5000. Lella balza agli onori delle cronache per la sua regolarit? e, in attesa di piazzarsi al quinto posto in classifica generale, riceve l?agognata convocazione in F1 partecipando alle prove del Gran Premio di Gran Bretagna di scena a Brands Hatch al volante di una Brabham BT42 privata del team Allied Polymer Group. Il driver alessandrino manca la qualificazione ma entra ugualmente nella storia per aver tentato di portare in gara una monoposto provvista del pi? alto numero mai registrato, ovverosia il 208, stampato a caratteri cubitali sull?ala anteriore della Brabham. Nel 1975, finalmente, Lella Lombardi da Frugarolo pu? imprimere una maggiore continuit? alla sua presenza nella massima serie per monoposto. In Sudafrica, sul circuito di Kyalami, diventa la prima donna a guadagnarsi l?accesso alla griglia di partenza di un Gran Premio dai tempi di Maria Teresa de Filippis, al via per l?ultima volta nel lontano 1958. In gara il portacolori della March 741 non vede il traguardo a causa di un problema tecnico, ciononostante si tratter? di pazientare fino al successivo Gran Premio di Spagna in programma al Montjuic, nei dintorni di Barcellona, per raccogliere i succosi frutti di una carriera giunta al suo culmine almeno per quanto attiene alle ruote scoperte. Questa volta il destriero di Lella ? una March 751 nei colori Lavazza spinta da un V8 Cosworth. In territorio iberico, nel week-end del 27 aprile ?75, sembra di stare dalle parti di Waterloo. I piloti protestano per le precarie condizioni di sicurezza del circuito, un ?cittadino? strappacuore noto per i temuti curvoni veloci denominati La Pergola, Pueblo Espanol e Sant Jordi, senza contare la Guardia Urbana, impegnativa curva con un raggio di novanta gradi che segue alla Recta de las Fuentes. Tra piccate esternazioni, polemiche e ritiri volontari di corridori celebri del calibro di Arturo Merzario ed Emerson Fittipaldi, affatto convinti di dover rischiare la pelle in circostanze troppo incerte, l?attenzione degli spettatori si sposta sul terrificante incidente occorso alla Hill di Rolf Stommelen, scaraventato sugli spalti complice il cedimento dell?alettone. Quattro i morti sulle tribune, con il Gran Premio sospeso anzitempo e la vittoria assegnata alla McLaren di Jochen Mass. Il punteggio ? dimezzato, ma ai margini della top 6 campeggia fieramente il nome di Lella Lombardi, immune al gran caos originatosi al giro numero 26. Lei che, nei ricordi di chi la conobbe, ancora ?ragazzina, su una Lambretta rossa, sfrecciava spericolata per le strade e le vie di campagna?, riusc? nell?impresa di iscrivere il proprio nome nel prestigioso albo d?oro della F1. Quella di met? anni Settanta, fatta di coraggio e staccate con il cuore in gola, dove la consapevolezza di essere l?unica presenza femminile in un mondo sfacciatamente maschile di certo non aiutava ad affrontare le sfide quotidiane. ?Ho sempre corso in mezzo agli uomini ? confess? nel 1981 a Stampa Sera, subito dopo aver conquistato il titolo Prototipi su una Osella Sport 2000 - voglio cio? dire che non ho mai corso per esibizionismo e per far vedere che ero pi? brava dei maschi, ma con l?unico scopo di divertirmi e perch? animata da una grandissima passione. No, sia ben chiaro, non sono femminista ma soltanto libera e indipendente?. Nell?anno del Montjuic, disgraziato sul fronte delle vite umane dissolte eppure al contempo irripetibile sotto il profilo di una donna pilota capace di concludere un Gran Premio in zona punti abbattendo i tanti tab? aleggianti all?epoca, per Lella matura la soddisfazione di un settimo posto artigliato sulla spietata Nordschleife del Nurburgring, oltre ventidue chilometri di pura follia e adrenalina, che nel 1976 metter? a dura prova la resistenza fisica e psicologica di un martoriato Niki Lauda. Il seguito ? un ragionato declino, soltanto in F1, fino al benservito della March che le preferir? l?incipiente virgulto Ronnie Peterson. ?La mia vettura ? ora guidata da un campione?, il lapidario commento all?annuncio dell?accordo che di fatto metteva la parola fine alla sua carriera nel Circus. Ricco di aneddoti, e non meno delizioso, il prosieguo di quell?avventura iniziata molti anni prima in sella a una motoretta e poi onorata gi? a partire dal karting. Il World Sportscar Championship, innanzitutto. Ma anche le gare di durata, dalle 1000 km pi? tradizionali ed esaltanti come Monza e Nurburgring alla 24 Ore di Le Mans passando per le competizioni Turismo e il DTM. Arduo dimenticarsi, erano ancora gli anni Settanta, di Lella Lombardi in coppia con un?altra donna volante, al secolo Marie Claude Beaumont, su una Renault Alpine A441. Molto pi? tardi, non senza il determinante contributo del suo ex meccanico Bruno Remondi, sarebbe arrivata la stagione del team Lombardi Autosport, peraltro tuttora in attivit?. Dal 1998, nel parco di Frugarolo, staziona un busto che raffigura Lella quale doveroso omaggio a una donna e a un pilota il cui dazio al mondo dello sport non merita di essere ignorato. E se l?avvenire dell?automobilismo italiano, F1 in testa, passasse attraverso una rivincita delle quote rosa a un ventennio dai pur generosi tentativi di Giovanna Amati, mai al via di un Gran Premio nel 1992? E? vero, i nostri Trulli e Liuzzi hanno almeno per il momento abbandonato il campo, mentre il futuro dei colori italiani si preannuncia oltremodo difficile. Chiss?, il nuovo potrebbe anche arrivare da giovani esponenti del gentil sesso in cerca d?autore, vedi a mo? di esempio le vicende delle smaliziate Vicky Piria (GP3 Series con Trident) e Michela Cerruti (GT tricolore con Roal ed European F3 Open con RP), in un potenziale continuum desideroso di riprendere le sue sradicate funzionalit? a pieno regime. Mr. Ecclestone, forse vale la pena rifletterci un attimo? Ermanno Frassoni
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