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lesnar89

Pedro Rodriguez

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Palmares:

 

F1:

 

1967: Gp Sud Africa

1970: Gp Belgio

 

Senza contare tutte le vittorie ottenute negli Sport Prototipi alla fine anni'60-inizio'70 con Ferrari e successivamente con la Porsche...vinse anche una 24 h di Le Mans nel 1968 su una Ford GT40(compagno di team il belga Lucien Bianchi) e due 24 h di Daytona consecutive, nel 1970 e nel 1971, sempre su due Porsche 917 con compagni di squadra rispettivamente il finlandese Leo Kinnunen ed l'inglese Jacky Oliver, successivamente noto per essere stato uno dei fondatori della Arrows...

 

PedroRodriguez.jpg

 

Mori durante una gara Interserie sul circuiti cittadino tedesco del Norisring nel 1971 ed in sua memoria ed in quella del fratello Ricardo, morto anche lui nelle corse, il circuito di Citt? del Messico venne ribatezzato Autodromo Hermanos Rodriguez...

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Grande pilota sempre legato alla ferrari. Nel 71 era pilota Porsche ma non resistette all'offerta di guidare una 512M l norisring ad inizio luglio e purtroppo vi trov? la morte. Quell'anno morirono i due grandi piloti di prototipi Porsche: Rodriguez e Siffert. Erano purtroppo gli anni nei quali la morte era una consuetudine :(

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Rodriguez..me lo ricordo alla Ferrari in uno dei momenti pi? bui della casa di Maranello,quando nel 69 venne assorbita dalla Fiat

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la macchina con cui Rodriguez ? morto ? quella con cui nel film Le Mans Luc Merenda ha l'incidente. Se non sbaglio David Piper perse il piede proprio filmando quella scena. Pedro era la star alla gara del Norisring, e purtroppo ci rimase secco. In quanto a Pedro pilota non si era mai concentrato sulla Formula 1, nonostante avesse vinto con mezzi inferiori. Era una star delle sportscar e nel 1970 guid? la 917 del team di John Wyer in coppia con Kinnunen. Quell'anno la porsche sbaragli? la concorrenza della Ferrari riuscendo finalmente a vincere Le Mans (ma non con l'auto di Wyer con la livrea Gulf) e il team di Wyer s iaggiudic? la maggior parte delle corse. ?er avere una migliore idea di che pilota fosse, se riuscite a procurarvelo, cercate il video sulla 1000km di Brands Hatch del 70 in cui Rodriguez andava il doppio degli altri, prendendo rischi inimmaginabili

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Grande pilota sempre legato alla ferrari. Nel 71 era pilota Porsche ma non resistette all'offerta di guidare una 512M l norisring ad inizio luglio e purtroppo vi trov? la morte. Quell'anno morirono i due grandi piloti di prototipi Porsche: Rodriguez e Siffert. Erano purtroppo gli anni nei quali la morte era una consuetudine :(

ovviamente lo fece per soldi, all'epoca i piloti facevano 40 gare all'anno per avere un tenore di vita da uomo ricco. Sia Siffert che Rodriguez corsero per la BRM nel 71

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Grande pilota sempre legato alla ferrari. Nel 71 era pilota Porsche ma non resistette all'offerta di guidare una 512M l norisring ad inizio luglio e purtroppo vi trov? la morte. Quell'anno morirono i due grandi piloti di prototipi Porsche: Rodriguez e Siffert. Erano purtroppo gli anni nei quali la morte era una consuetudine :(

ovviamente lo fece per soldi, all'epoca i piloti facevano 40 gare all'anno per avere un tenore di vita da uomo ricco. Sia Siffert che Rodriguez corsero per la BRM nel 71

 

Se leggi il Sogno Rossso di Pino Casamassima con la storia dei due Rodriguez, traspare l'amore per la ferrari che i due avevano. Il libro riporta le parole di Enzo Ferrari che spiega perch? nel 70 Pedro lasci? la Ferrarri: egli voleva un contratto sia per i Prototipi che per la F1, che allora non contava certo di pi? del campionato marche prototipi. Ferrari invece non gli garant? altro che i prototipi e lui and? in Porsche con i risultati che sappiamo.

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Rodriguez a Monaco 67. Era leader del mondiale avendo vinto in Sudafrica e dopo il GP (quello della morte di Bandini) divenne secondo a 1 punto da Hulme. La sua ? una Cooper Maserati

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Grande pilota sempre legato alla ferrari. Nel 71 era pilota Porsche ma non resistette all'offerta di guidare una 512M l norisring ad inizio luglio e purtroppo vi trov? la morte. Quell'anno morirono i due grandi piloti di prototipi Porsche: Rodriguez e Siffert. Erano purtroppo gli anni nei quali la morte era una consuetudine :(

ovviamente lo fece per soldi, all'epoca i piloti facevano 40 gare all'anno per avere un tenore di vita da uomo ricco. Sia Siffert che Rodriguez corsero per la BRM nel 71

 

Se leggi il Sogno Rossso di Pino Casamassima con la storia dei due Rodriguez, traspare l'amore per la ferrari che i due avevano. Il libro riporta le parole di Enzo Ferrari che spiega perch? nel 70 Pedro lasci? la Ferrarri: egli voleva un contratto sia per i Prototipi che per la F1, che allora non contava certo di pi? del campionato marche prototipi. Ferrari invece non gli garant? altro che i prototipi e lui and? in Porsche con i risultati che sappiamo.

L'amore per la Ferrari dei fratelli Rodriguez non lo metto in dubbio, visto il cavallino rampante sul casco di Pedro. Mi riferivo al fatto che la Ferrari su cui Pedro mor? non era ufficiale ma era stata acquistata da Herbert Muller dalla produzione del film "la 24 ore di Le Mans" con Steve McQueen.

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Solo pochi giorni prima di morire Rodriguez aveva disputato un ottimo GP a zandvoort dove sotto la pioggia duell? per tutto il GP con l'altro mago della pioggia Ickx. Staccarono tutta la concorrenza e alla fine vinse Ickx per pochi secondi.

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Pedro Rodriguez: talento poliedrico ed estroso tra prototipi e F1

13 luglio 2013 – Pedro Rodriguez de la Vega è uno dei grandi nomi dell’automobilismo del ventesimo secolo, che è ricordato come uno dei talenti più poliedrici ed eclettici della storia. Lui e il fratello Ricardo, anch’egli pilota erano soprannominati i “piccoli messicani”, perché fin da ragazzini frequentavano con successo il mondo dei motori. Pedro divenne campione di motociclismo nazionale che non era ancora maggiorenne ed insieme al fratello si avvicinò molto giovane alle quattro ruote.

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Rodriguez, fu un simbolo della sua epoca. Veloce, grintoso ed estroso era un pilota spettacolare ma anche redditizio per via del suo stile unico. Molto aggressivo, sfruttava al massimo il potenziale delle vetture che guidava, ma senza maltrattarle. A 15 anni Pedro era già un vincente, in quanto si era già fregiato di due titoli nazionali sulle due ruote e il suo debutto internazionale in auto avvenne già nel 1957 a soli 17 anni durante la “Speed Week” di Nassau. In quell’ambito, i due fratellini Rodriguez vennero notati da Luigi Chinetti l’importare per gli Usa del marchio Ferrari. Affascinato L’italo americano gli mise a disposizione una delle sue auto per la 24 Ore di Le Mans del 1958, ma gli organizzatori della classica francese vietarono la partecipazione al “troppo” giovane Ricardo, che aveva appena sedici anni. Anche Pedro venne ammesso con molte riserve in quanto, seppure diciottenne da pochi mesi (li compì a gennaio), era ritenuto poco esperto. Alla sua prima 24 Ore, Pedro fece quindi coppia con il pilota transalpino José Behra, fratello del più celebre Jean. Corse con una Ferrari 500 Testa Rossa e questa fu la prima di ben 14 partecipazioni alla prestigiosa maratona della Sarthe. In ogni caso negli anni a venire la fama dei due fratelli venuti dal Messico crebbe anche in Europa. Uno dei primi lampi di genio della coppia, avvenne a Sebring nel 1961, quando sempre al volante di una vecchia Testa Rossa della Nart, i Rodriguez furono la spina nel fianco delle Ferrari ufficiali giungendo terzi al traguardo. Pochi mesi dopo alla 1000 Km del Nurburgring, replicarono un’altra prestazione sopra le righe, arrivando secondi ma a bordo di una Testa Rossa meno obsoleta di quella guidata nella gara statunitense. Nel giugno dello stesso anno il primo capolavoro a Le Mans. Pedro e Ricardo, accolti da ovazioni del pubblico ad ogni fermata ai box, filano come il vento, ma alle prime luci dell’alba la loro Rossa è vittima di un problema elettrico che li costringe ad una sosta forzata di mezz’ora ai box.

Pedro-Rodriguez-Ferrari-330-Sebring-436x

Ovviamente, una volta rientrati in pista la gara è perduta, ma dalle tribune il pubblico li incita ancora a gran voce. Per tutta risposta loro riprovano a spingere, ma la folla ammutolisce quando la Ferrari del team Nart si ferma definitivamente per la rottura del propulsore a meno di un’ora dalla fine della gara. Nonostante questo, i due ragazzi terribili sono oggetto della standing ovation degli appassionati presenti e lasciano Le Mans da trionfatori senza neppure avere visto il traguardo. A fine stagione i fratelli Rodriguez corrono ancora in coppia alla 1000 Km di Parigi e colgono una strepitosa vittoria a bordo di una Ferrari 250 Swb berlinetta. Prestazioni del genere non passano certo inosservate e valgono ad entrambi una chiamata nella squadra ufficiale del Cavallino. Ricardo, considerato all’epoca il più veloce tra i due riesce persino ad approdare in Formula 1, mentre Pedro il più anziano si concentra sui prototipi. Purtroppo la Le Mans del 62 è ancora avara di soddisfazione per i Rodriguez brothers, poiché coincide con un altro ritiro a metà gara. Ma si toglieranno un’altra soddisfazione, la seconda di fila, alla 1000 km di Parigi trionfando al volante di una GTO. Sarà purtroppo questa l’ultima vittoria insieme prima della tragica scomparsa di Ricardo nel GP del Messico di F1.

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Nel novembre del 1962, dopo una stagione avara di successi per la Rossa campione uscente nel Mondiale di F1, Enzo Ferrari decise che era inutile andare in Messico per disputare l’ultima gara in calendario. Il Drake aveva ritenuto inutile ed onerosa una trasferta del genere alla luce delle prestazioni disastrose delle sue vetture in quel momento. Ricardo però non volle rinunciare al GP di case e ottenne da Ferrari in persona la possibilità di disputarlo a bordo di una Lotus privata. Tragicamente durante le prove che precedevano la gara, il messicano ebbe un incidente e perse la vita. Una tegola per Pedro che addirittura durante l’inverno meditò il ritiro dalle competizioni. In seguito, però ci ripensò e decise di tornare a sederi in una vettura da competizione. A partire da quel momento, Rodriguez iniziò ad indossare al dito un prezioso anello appartenuto al fratello, un oggetto a lui caro, protagonista in seguito di una storia fatta di superstizione e fatalità. Nel gennaio del 1963, Pedrò ritornò subito alla vittoria nella 3 Ore di Daytona, facendo suo il trionfo alla guida di una Ferrari GTO. Un successo che bissò anche l’anno seguente sempre con la medesima vettura.

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In quel periodo Rodriguez si affermò diventando una stella di prima grandezza nel mondo delle competizioni a ruote coperte e fino al 1966, alternò queste corse con qualche sporadica apparizione in F1, dove prese parte anche ad alcuni GP alla guida della Ferrari. Con il Cavallino continua la sua avventura di pilota ufficiale nel Campionato Marche ed è uno dei protagonisti del mitico arrivo in parata di Daytona 67. Sono anni. Il debutto assoluto nella massima formula, avvenne comunque nel 1963 al volante di una Lotus 25 nel GP degli Stati Uniti, ma i primi punti arrivarono grazie ad una Ferrari con sesto posto nella gara di casa a Città del Messico 1964, quella che consegnò il titolo mondiale nella mani di John Surtess primo ed unico iridato sia nelle due che nelle quattro ruote. Sono anni di alternanze decisamente altalenanti, che ci consegnano, un Rodriguez fortissimo, ma che dava la sensazione di essere un eterno incompiuto. Pedro non riesce a sfondare nei GP come nei prototipi, ma nel 1967 arriva una piccola svolta che dimostrò il contrario. Per quella stagione la Cooper offrì una macchina ufficiale a Rodriguez affiancandolo a Jochen Rindt e alla prima gara in Sud Africa, il messicano ottenne subito la vittoria a bordo della T81 spinta dal V12 Maserati.

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Fu il primo ed unico acuto di una stagione difficile, perché la vettura non fu mai più all’altezza e anche il successivo modello T86 rivelò una scarsa competitività. Poche soddisfazioni e qualche punticino qua è là nei vari GP, lo portarono ad approdare nel 1968 alla BRM, ma anche qui la situazione non fu certo delle migliori. La prestigiosa scuderia britannica era entrata in una spirale di crisi dopo gli anni trionfali di Graham Hill e il fallimentare progetto H16, aveva polarizzato troppo l’attenzione del team. Tuttavia grazie al suo talento Rodriguez, colse due podi, concludendo la stagione in modo più che dignitoso con un quarto posto nella gara di casa in Messico. Nel 69 continua a fare il pendolare tra ruote coperte e scoperte e a metà stagione la Ferrari gli offrì una 312 ufficiale per gareggiare in F1. Purtroppo la vettura non era veloce e mentre la Scuderia di Maranello era già al lavoro sulla futura 312 B, Pedro prese parte agli ultimi appuntamenti in calendario. Raccolse qualche piazzamento a punti, tra i quali il sesto posto di Monza e il quinto al Glen, ma la sua avventura con il Cavallino finì qui.

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Nel 1970, ritorno definitivamente in BRM e finalmente riuscì a strappare un ruolo da protagonista, come un talento del suo calibro meritava. Rodriguez è sempre presente tra i primi e vinse a Spa, una pista per manici veri, il suo secondo GP in carriera. Nel 1971, in un bagnatissimo GP di Olanda, fu protagonista di un duello entusiasmante con il ferrarista Ickx, giungendo alle sue spalle in seconda posizione. La F1, non distolse comunque il messicano dal suo impegno nel Mondiale Marche, perché facendo un passo indietro, è opportuno annotare che nel 1968, Pedro vinse finalmente la 24 Ore di Le Mans con una Ford GT40. Esiste un’aneddoto dietro a questa e vicenda e riguarda proprio Jacky Ickx. Il belga al quale era inizialmente destinata questa vettura, purtroppo si ruppe una gamba in F1 e così John Wyer, l’allora team manager della squadra lo convocò come sostituto. Rodriguez non tradì le aspettative e come detto conquistò una meritata vittoria. L’anno seguente, il 1969, lo passò guidando la bella quanto sfortunata Ferrari 312P, ma si deve accontentare solo di pochi piazzamenti. Problemi che lo indussero a passare alla Matra con cui concluse la stagione. Nel 1970, anno della svolta in F1, anche nel campionato prototipi, arrivò una chiamata che gli cambiò la vita.

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E fu ancora John Wyer, l’artefice del successo a Le Mans di due anni prima a spianargli la strada, grazie all’accordo che i due strinsero e permise a Rodriguez di diventare pilota ufficiale Porsche. L’unione tra Pedro e la 917, fu l’inizio della leggenda lo consacrò come il migliore interprete di questa vettura assieme al compagno – rivale Jo Siffert. “C’era grande rivalità tra i due” – ricordò sulle pagine di Autosprint Ermanno Cuoghi, allora capo meccanico del team Gulf – “Ma era sana. Durante le prove era normale vederli parlare e confrontarsi per la migliore messa a punto della macchina. In gara era tutto diverso: l’uno voleva prevalere sull’altro, ma è ovvio che fosse così. Si sono presi almeno un paio di volte a ruotate, la più famosa a Spa nel ’70, ma dentro ai box. Francamente noi eravamo tranquilli, anzi ci ridevamo su perchè sapevamo che erano entrambi due grandissimi professionisti che avevano la capacità di controllare perfettamente la situazione. In realtà grossi danni tra loro non ne hanno mai fatti”. In sintesi, Rodriguez era certamente un tipo tosto e Siffert probabilmente non era proprio divertito dalla situazione.“Quel piccolo bastardo messicano” – disse all’epoca il pilota svizzero – “cerca di buttarmi fuori pista ogni volta che può”. Il rapporto tra i due non era molto idilliaco, ma nemmeno ai colleghi andava tanto giù la nota aggressività del bravo pilota sudamericano. Anche Mark Donohue, che in funzione della sua proverbiale correttezza in pista era chiamato con il titolo di “Captain Nice”, rimase allibito dalla grinta di Pedro.

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A Sebring nel 1971, la Ferrari sponsorizzata Sunoco del pilota americano e la Porsche di Rodriguez si toccarono per tre volte e alla fine della competizione, Donohue era davvero fuori di sé: “Sono così furioso che è meglio se sto zitto”. Con una calma quasi serafica, Pedro si limitò a liquidare la questione con poche parole:“Semplici incidenti di gara. E comunque Donohue ha la responsabilità di ‘quasi’ tutti”. Comunque al di là di alcuni incidenti di percorso, Rodriguez si trovava a meraviglia con la 917 e i successi arrivarono come naturale conseguenza di tale affiatamento. Sempre nel 1970, il veloce messicano è affiancato sulla 917 di Wyer, dal finnico Leo Kinnunen, pilota molto rapido e concreto, ancora famoso oggi per detenere il record sul giro stabilito alla Targa Florio proprio in quella stagione. A fine anno la coppia potè vantare numerosi successi nel Mondiale Marche grazie alle vittorie ottenute a Daytona, Brands Hatch, Monza e Watkins Glen. Nel 1971, fu deciso di affiancargli un altro compagno di squadra, il britannico Jackie Oliver, pilota esperto con una buona militanza in F1 al volante di Lotus e BRM. Ma anche in tal caso il copione non cambiò e arrivarono diversi trionfi: Daytona, Spa e Monza, furono i teatri di questi successi ai quali si aggiunse quello di Zeltweg in coppia con l’esperto Dick Attwood altra vecchia conoscenza del circo della F1. Fu questo il periodo migliore della carriera di Pedro, ormai lanciato sempre di più verso nuovi traguardi.

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Arriva così la fatidica gara di Norimberga dell’11 luglio 1971, una gara alla quale Rodriguez volle partecipare, ma anche in tal caso occorre raccontare l’antefatto che portò alla tragedia in terra di Germania. Pedro si era accordato con gli organizzatori della manifestazione, una prova non valida per il Mondiale, ma solo per il campionato Interserie e sarebbe sceso in pista con una BRM P167 8100 cc. solitamente impiegata nella categoria Can Am. Purtroppo nella fase di preparazione della vettura, il motore si ruppe mentre era al banco e quindi la biposto non sarebbe stata pronta in tempo per l’appuntamento prefissato. Così Gernot Leistner, il patron della gara del Norisring, aveva pregato il suo amico Herbert Nuller di prestare a Rodriguez, guest star della manifestazione, una delle sue Ferrari 512M. Il pilota messicano, era anch’egli in ottimi rapporti con lo svizzero Muller, poiché pochi mesi addietro avevano condiviso insieme l’abitacolo di una Porsche 908/3 alla Targa Florio. E’ estate e anche a Norimberga fa molto caldo. Rodriguez arrivato puntuale ai box il venerdì mattina prima delle prove, si fa subito notare con un gesto molto apprezzato, come quello di offrire ai suoi meccanici per il week end una cassa di bibite fresche. Una volta salito in macchina, una vettura che tra le altre cose non conosceva andò subito fortissimo e si qualificò secondo in griglia dietro ad una McLaren Can Am spinta da un poderoso motore da 7500 cc. Alla partenza balzò subito in testa e mette in scena una fuga solitaria. Poi, all’undicesimo giro per cause mai del tutto chiarite, almeno ufficialmente, Pedro perse il controllo della sua Ferrari nella esse opposta al traguardo e incontrò la morte. Le indagini aperte all’epoca come detto non furono mai del tutto esaurienti e in tanti, compresi i colleghi di Rodriguez non credettero alla tesi dell’errore umano.

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“Impossibile che abbia commesso un errore, Pedro era un asso”, dichiarò sgomento da Road Atlante Denis Hulme impegnato in quel week end in una gara Can Am. Una delle prime ipotesi fu quella del cedimento strutturale, poiché si disse che la Ferrari di cui Muller era proprietario versava in pessime condizioni. La macchina era stata acquistata ad un’asta che metteva in vendita un lotto di auto partecipanti alle riprese del film “La 24 Ore di Le Mans” di Steve McQueen, ma lo stesso Muller, spiegò in seguito che la 512 era stata revisionata direttamente a Maranello prima di essere messa in pista al Norisring. Perciò anche tale ipotesi perse di vigore e si passò ad ipotizzare un eventuale contatto con un doppiato più lento che avrebbe innescato l’incidente. Il presunto colpevole era tale Kurt Hild, ma anche questa pista naufragò inesorabilmente dopo la visione di un filmato amatoriale che testimoniava il contrario. Alla fine non si capì mai del tutto cosa accadde quel giorno. Successe certamente qualcosa di imprevisto, ma resta assai improbabile che Rodriguez fosse rimasto vittima del caldo o di un malore, vista la sua grande esperienza a bordo di vetture del genere in gare di durata. Paradossalmente la sua morte ricordò da vicino quella del fratello Ricardo nove anni prima, quando anche lui perì al volante di una vettura priva in una gara che sulla carta non avrebbe dovuto disputare. Ma esiste un ultimo retroscena e riguarda proprio il famoso anello un tempo al dito di Ricardo e che Pedro ereditò il giorno della sua la scomparsa. Infatti, come rivelò l’allora direttore di Autosprint Marcello Sabbattini poco dopo l’incidente, Rodriguez confidò di non sentirsi più sicuro, poiché nelle settimane precedenti la gara di Norimberga aveva smarrito il prezioso anello che aveva assunto il ruolo di amuleto portafortuna. In seguito Pedro ne fece anche fare una copia identica, ma come lui stesso ripeteva, “Non è la stessa cosa”.

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Quell’anello di Pedro – di Marcello Sabbatini (Autosprint 1971)“E’ l’unico pilota, oggi, che quando sale in macchina sai già che al mezzo che guida chiederà tutto. Senza riserve d’energia o di rischio. Vale più un Rodriguez come test per una vettura da competizione che non tutte le trovate di fatica meccanica suscitabili in laboratorio”. Chi ci parlava così di lui, con questa ammirazione, era l’Ing, Ferdinand Piech, il general manager Porsche. Eravamo sul suo Piper Navajo sopra le Alpi svizzere e si era venuti, per una volta a parlare di piloti senza una ragione agonistica o tecnica. Il nome di Pedro l’aveva pronunciato la signora Corina Piech per la storia di un anello. Non ricordo come saltò fuori l’episodio che mi accingo a raccontare, per l’insolita dimensione premonitrice che assume in quella che è stata l’improvvisa tragedia di domenica 11 luglio alla curva “esse” del Norisring.

Mi pare che “frau” Corina e mia moglie stessero parlando di dimenticanze imbarazzanti, che ti costano qualcosa che non riesci più a trovare e che non puoi sostituire per quanto tu possa fare. Saltò così fuori la storia di quell’anello. “Pensi” – diceva la signora Corina – “Pedro qualche settimana fa era in aereo e andò nella toilette a lavarsi le mani. Era un jet transoceanico. Si tolse così un anello che gli ho sempre visto al dito. Un bell’anello, molto caro, so. Ma Pedro ci teneva non per il suo valore economico ma per quello affettivo. Era l’anello del fratello Ricardo. Lo aveva messo al dito il giorno della sua morte e non l’aveva più tolto. Sa come sono i latini? A queste cose ci credono. Anche se fanno finta di no. E Pedro ci teneva a quell’anello, e non solamente per il valore affettivo. Lo considerava come un amuleto. Diceva qualche volta: ‘Finché ho questo anello non mi succederà niente’. Lo lasciò dunque sul lavabo. Una dimenticanza banale. Se ne accorse quasi subito e tornò a cercarlo. Ma l’anello non c’era più. E non ci fu modo di ritrovarlo. Rodriguez se ne angustiò. Poi decise di farne fare un altro uguale. Gli è costato un occhio, ma voluto riaverlo. Però non era quell’anello…”.

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Questo mi raccontava la signora Corina Piech l’ultimo giorno di giungo, così per caso. Sono passati undici giorni e Pedro non c’è più. Sapete che si è immolato con una dissestata Ferrari 5 litri saltata fuori dall’asta delle vetture superstiti dal parco macchine del film “24 Ore di Le Mans”. Si è schiantato nella curva più difficile del tracciato tedesco, mentre con quella normale 5 litri conduceva in testa, davanti anche a vetture con motori da sette litri e più. E’ morto in in un incidente drammatico del quale ancora adesso non si riesce a dare una spiegazione tecnicamente razionale. E c’è sempre in piedi quella storia della ruota staccata, oppure della gomma forata, o più semplicemente di un ammortizzatore spezzato. Pedro non c’è più l’hanno portato a casa, a Città del Messico per le solenni onoranze di Stato che il Presidente messicano in persona ha voluto dedicargli. “Lo merita. E’ il meno che possiamo fare per un ragazzo che così ha onorato la sua Nazione”.

Forse Pedro ha ancora al dito quell’anello. L’anello che gli avevano da pochi giorni consegnato per sostituire quello perduto. L’aveva già al dito una settimana fa al Catellet. E so che lo mostro ad alcuni amici. Lo faceva vedere un pò a tutti e raccontava l’episodio dell’aereo, e di aver voluto un anello simile al nuovo. Ma concludeva:“Non è però lo stesso anello, non sarà mai lo stesso. Non è il ricordo di mio fratello Ricardo. E non so, adesso, se mi porterà la stessa buena suerte”. Lo disse proprio in Francia. E appariva preoccupato, mi dicono, quando diceva queste parole. Non gli ha portato buena suerte. Alla seconda corsa senza il suo vero anello – amuleto al dito, Pedro Rodriguez ha trovato l’appuntamento decisivo con il proprio destino di pilota. Può un anello decidere la sorte di un uomo? E’ irrazionale pensarlo nel mondo di oggi. Ma anche la vita dei piloti, di coloro che fanno del rischio il proprio mestiere quotidiano, sembra visceralmente legata a queste manifestazioni che si usano chiamare di superstizione. L’irrazionale resta la polizza assicurativa più congeniale a chi non sa mai cosa può attenderlo dietro una curva, o su un rettifilo, come in mare o in cielo, per tutti coloro, cioè che il rischio lo affrontano senza conoscere l’umano sentimento della paura.

Via F1Passion

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anche Jo Ramirez nel suo "un uomo da corsa" dedica belle parole ai fratelli Rodríguez suoi conterranei.

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