Vai al contenuto
Beyond

La Ferraglia SF1000

Cosa vorreste fosse fatto in Ferrari?  

58 utenti hanno votato

  1. 1. Vista l'attuale situazione, secondo te è necessario

    • Via Binotto
    • Via Binotto e cambio vertici tecnici
    • Solo cambio vertici tecnici
    • Ripartire con lo stesso team


Post raccomandati

la Ferrari riprenderà le attività il 14 aprile

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

:ferok:

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

la storia del mondiale 1999, raccontata da Turrini

 

Melbourne-Silverstone

Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/1999-tutti-i-segreti-del-mondiale-f1-che-cambio-le-nostre-vite-5.6228

Spero tutti bene.
Grazie ancora per gli auguri e a tutti ricordo i miei video deliranti sulla home page di Quotidiano.net
Ho un debito con uno di voi.
@pierpaolo. Il mondiale del 1999 è stato il più rocambolesco cui mi sia capitato di assistere. Mi chiedi di raccontare cosa ricordo e allora ho deciso di dedicare una intera puntata (ormai sono come Dumas, un narratore day by day!) delle mie risposte a quella incredibile stagione. Anzi, più di una puntata.
Allora premetto che fra drammi e colpi di scena il 1999 sembrava partorito da uno sceneggiatore geniale. O da Stephen King. Quindi, la somma degli eventi generò una quantità industriale di leggende metropolitane. Tenterò di scindere il vero dal falso, non ignorando il verosimile.
Partimmo dall’Australia con una sorpresa. Un guasto mise Kappao Schumi e ci fu la prima vittoria in Rosso di Irvine.
Io ero diventato amico di Eddie tramite il suo manager di Bologna, il caro Faina Zanarini. Ero contento per l’irlandese, ma mi fece effetto l’atteggiamento di Jean Todt nel dopo gara: pareva gli fosse morto il gatto. Tanto che ad un certo punto, nel giardinetto del paddock, io dissi al Pinguino: ma guardi che ha vinto una Ferrari!
Mi fulminò con lo sguardo.
La Rossa del 1999 non era irresistibile. Michael non riusciva a sfruttarla al massimo e non certo per colpa sua. Paradossalmente, Eddie, che era molto più scarso!, si adattava meglio alla vettura.
Una sera di aprile Irvine venne a cena a casa mia. Fortunatamente le mie figlie erano bambine e quindi non corsero rischi. Aveva guidato tutto il giorno a Fiorano, 100 giri di test gomme. Divorò due piatti di tortellini e poi mi raccontò aneddoti fantastici su Schumi. Umanamente lo trovava incomprensibile, maniacalmente devoto al mestiere. Ma come pilota Eddie venerava Michael. È il più grande, concluse bevendo il nocino di mia suocera. Ma subito aggiunse ghignando: comunque io ho fatto sesso con una sua compagna di scuola e lei mi ha giurato che in classe Schumi nessuna se lo filava.
L’auto migliore del 1999 era la McLaren di Hakkinen e Coulthard. La Ferrari combatteva ma a Montreal Schumi era andato a baciare il muro dei Campioni, Eddie aveva preso punti con una grande rimonta ma il titolo si allontanava. E in una stranissima gara in Francia, con un meteo pazzo, Todt aveva imposto all’irlandese, che era davanti, di dare strada al tedesco. Il contratto quello prevedeva e fu rispettato.
Nel paddock, era noto che Irvine a fine stagione sarebbe andato via. La Ford aveva comprato il team Stewart per ribattezzarlo Jaguar dal 2000 e voleva un pilota di nome al volante. Eddie era molto contento. Considerava chiusa la parentesi Ferrari e gli avrebbero dato tanti, tanti soldi.
Silverstone.
Il dramma nacque da un guaio sulla Rossa di Schumi, figlio di un errore umano ai box. Michael rischio’ di ammazzarsi nel tentativo di superare Eddie, che era partito meglio.
Si è molto fantasticato su quel sorpasso, non facilitato dall’irlandese. Ma, anche qui, le regole interne erano chiare. Irvine era il numero due però in gara nei primi tre giri non c’erano obblighi di scuderia, nelle fasi iniziali di ogni Gran Premio i piloti erano liberi di difendere la posizione (non so se a Monza 2018 in casa Ferrari fosse ancora così, ma non lo escludo, eh).
Quindi a Silverstone non ci fu scortesia o slealtà da parte di Eddie. Quando andò nella clinica inglese a salutare il compagno ormai fuori pericolo, Schumi lo accolse con un sorriso. Gli disse anche: se vinci il titolo ti farò i complimenti ma vorrei vincerlo io.
Arrivati fin qui, aggiungo che in Inghilterra Irvine recuperò punti su Hakkinen e dunque restava clamorosamente in lizza per il titolo. Avendo già in tasca il contratto Jaguar.
Il lunedì sera mi telefona Montezemolo. Mi spiega che le notizie su Schumi sono confortanti e poi mi chiede: ma secondo lei, Irvine accetterebbe di restare un altro anno? Noi abbiamo già preso Barrichello, ma qui lo scenario è cambiato.
No, risposi. Non rimane nemmeno da campione del mondo, perché con Schumi sarebbe sempre il numero due. L’avvocato concordò e mi annunciò che per la temporanea sostituzione di Michael il finnico Salo era stato preferito al vecchio Alesi.
Salo aveva in moglie una ex pornostar giapponese e la cosa mandava nei matti Irvine. Davvero, ne stavamo vedendo di cotte e di crude. Sei ore di macchina mi sciroppai per raggiungere Zeltweg. Portai con me un cugino di professione poliziotto. Vieni con me, gli dissi: questo non è più un mondiale di Formula Uno, è un giallo alla Agata Christie.
Il colpevole nella prossima puntata.
Stay safe.
(Continua)

 

 

Zeltweg-Hockenheim

Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/dal-sipario-su-montecarlo-al-mondiale-del-1999-5.6231

Spero tutti bene.
E tutti in casa. Fuori infuria la bufera ma mi fido del mio Dream Team, figlia e fratello medici in prima linea. E grazie alla Ferrari per quello che farà sul fronte delle apparecchiature sanitarie indispensabili.

Dalla cancellazione di Montecarlo allo slittamento delle regole nuove al 2022, tutto era purtroppo facilmente e malinconicamente prevedibile. Risparmiatemi le elucubrazioni sul “cui prodest”: qui c’è in ballo ben altro.
Quando il presente è così cupo, meglio il passato.

Allora, sto ripercorrendo le tappe del fantasmagorico mondiale F1 del 1999, su sollecitazione di uno di voi.
Siamo arrivati all’Austria. Prima gara post incidente di Schumi a Silverstone.
Sei ore di macchina fino a Zeltweg. Guida mio cugino poliziotto, uno che ti smaschera i troll e te li individua nonostante i cambi di nickname.
Nel box Ferrari c’è una atmosfera malinconica. Senza Michael al volante, beh, lo sappiamo tutti: la McLaren è più forte. In compenso circola voce che i rapporti tra Hakkinen e Coulthard non siano dei migliori.
È arrivato Salo, il sostituto di Schumi. Parla pochissimo. Avrei scoperto anni dopo che rispetto a Kimi era un chiacchierone!
Irvine è decisamente più concentrato del solito. Ha respinto la proposta di Montezemolo: a fine stagione andrà comunque alla Jaguar.
Il sabato le McLaren scappano via. Salo non capisce una mazza della macchina e fa notizia solo per la moglie.
La sera, Ross Brawn si apparta con Eddie. Ross è un personaggio gigantesco, alcuni se renderanno conto solo molto più tardi. Abitava dietro casa mia e teneva le sue cianfrusaglie in un garage di mia proprietà. Forse ci metteva anche le casse di banane che sistematicamente divorava al muretto, boh.
Comunque, la mattina della domenica Eddie mi racconta che Ross gli ha detto: se i due della McLaren pasticciano un po’ avremo una possibilità giocando sulle soste, ma solo se tu riesci a fare un numero alla Schumi. Se te lo chiedo via radio, te la senti?
Se la sente. Io a distanza di vent’anni ancora non ho compreso come abbia fatto, però in un finale da paranoia Irvine vince il Gran Premio d’Austria. Mentre Salo becca due giri.
E qui accade una cosa strana.
Ebbro di felicità (era una impresa Ferrari in un momento psicologicamente pesante) mi precipito fuori dalla sala stampa. Voglio festeggiare per cinque minuti nel paddock, prima di riempire sei pagine di giornale (sei, yes: era estate, calcio fermo, no Olimpiadi: si parlava solo della Ferrari, in Italia).
Spunta il mio cugino poliziotto, maestro delle indagini. Mi fa: guarda che Todt non andrà sul palco della premiazione, manda un altro della squadra.
Cosa?!? Da quando il Pinguino era il numero uno di Maranello, mai aveva disertato il podio. Mai! E lo fa in una domenica così.
Lo fa e io scrivo che quel gesto è una macchia, l’unica, su una domenica bellissima. Apriti cielo. Incazzatura furibonda del diretto interessato, che rivendica il diritto di privilegiare l’immagine della Scuderia e bla bla bla.
Il lunedì mattina mi chiama Montezemolo. Dice che è dispiaciuto, che è tutto un equivoco e che Todt sta sotto stress. Rispondo che lo stress ce l’ha chi lavora otto ore in fabbrica, mica i fighetti da brodo. L’avvocato mi conosce, ci vogliamo bene, ognuno ha il diritto di pensarla come vuole sul personaggio ma è stato e resta l’uomo che ha portato la Ferrari nel futuro rispettandone la tradizione.
Alla fine della telefonata Montezemolo sospira: Turrini, lei ha ragione, Jean ha sbagliato ma non me lo faccia dire in pubblico.
E si va in Germania, subito.
Hockenheim.
Qui succede un’altra cosa strana. Schumi sta meglio e si sa che ha accettato di registrare un video messaggio di saluto da trasmettere sugli schermi giganti del circuito prima della partenza della corsa. Bene, penso, sarà un piacere rivederlo, sia pure da lontano.
Irvine è il personaggio del momento. Salta fuori di tutto. Anche che ha una figlia segreta, da qualche parte nel mondo. È vero e non ne aveva mai parlato in pubblico.
Salo pare trasformato. Bisogna anche aggiungere che la pista è tutta un drittone. Berger la adorava, spezzo’ un lungo digiuno Ferrari ad Hockenheim nel 1994 e poi spiegò ridendo che era stato facile, “sui rettilinei ti puoi anche addormentare, la macchina va da sola”.
Griglia di partenza.
Ecco Schumi sullo schermo gigante. Sorride. Fa un discorsetto in tedesco. Boato della folla. Solo che.
Solo che Michael non nomina mai Irvine, nel suo intervento. Nemmeno Salo. In compenso, fa gli auguri a…Frentzen!
Gesù, Giuseppe e Maria.
Ma ci penserò dopo. La gara parte e fra alterne vicende le due Ferrari stanno davanti.
Primo Salo. Secondo Eddie.
Qui debbo confessare che Irvine aveva preso in parola Berger. Cioè dormiva, quella domenica ad Hockenheim.
Non per niente i suoi meccanici lo avevano ribattezzato, già dal 1996, Din Don Dan. Nel senso che talvolta bisognava suonargli la sveglia, perché si appisolava sotto il casco.
Din Don Dan.
Todt ordina l’inversione di posizioni con Salo. Qui, attenzione!, è un punto chiave. Se il Pinguino non vuole vincere il mondiale con Eddie, beh, lascia a Salo la gioia enorme del primo (e unico) successo in F1.
Invece Todt mette Irvine davanti.
Salo non fa una piega. Si limita a sfogarsi via radio quando ha già ceduto la leadership all’irlandese: ditegli di accelerare, va così piano che quelli dietro ci stanno raggiungendo!
Din Don Dan.
Finisce in trionfo. Stavolta di pagine da scrivere ne ho otto! Todt tiene il punto e se non ricordo male (ma potete controllare su YouTube, eh) nemmeno stavolta si presenta sul podio.
Eddie è il leader del mondiale. Siamo al delirio.
Gli chiedo come abbia preso il fatto che Schumi non lo abbia citato nel video messaggio (ma pare ci fosse anche una seconda versione più “ferrarista” in lingua inglese, non mostrata ad Hockenheim perché eravamo in Germania).
Si sarà dimenticato, borbotta. Ma si capisce lontano un miglio che non gliene può fregar di meno.
Che casino.
E siamo appena all’inizio di agosto…
(2. Continua)

 

 

Spa-Monza

Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/quando-schumi-correva-sul-fax-5.6237

Spero tutti bene.
Grazie a quanti idealmente mi e si tengono compagnia passando di qua.
Riprendo la narrazione degli eventi del più rocambolesco mondiale cui mi sia capitato di scrivere, in tema di Formula Uno.
Il 1999!
All’inizio di agosto, dopo l’uno-due di Irvine tra Austria e Germania, mi erano assolutamente chiare le verità del momento.
Hakkinen era molto più forte di Eddie.
Hakkinen avrebbe potuto perdere quel campionato solo in presenza di un cumulo clamoroso di circostanze negative.
E sullo sfondo si stagliava il fantasma del palcoscenico.
All’indomani di Hockenheim, prese a circolare la voce che Schumi stava accelerando i tempi della convalescenza.
Si sussurrava che presto, molto presto!, avrebbe tentato un test sulla Rossa.
E in effetti un giorno d’agosto la Ferrari sollevò le serrande dei garage del Mugello.
A noi giornalisti venne concesso di sistemarci sulla tribuna di fronte ai box.
La sala stampa era chiusa ma da quella postazione qualcosa vedevi. Mi ero tirato dietro il co fondatore di questo Clog, il prode Otelma.
Otelma è il più grande tifoso di Schumi mai apparso sulla faccia della terra.
Ricordo che dalla tribuna scorgeva l’incedere zoppicante del suo idolo e piangeva.
Bisogna sempre avere rispetto di chi nutre passioni autentiche. Un tifoso sano è l’esatto opposto di un odiatore in servizio permanente effettivo.
Nei tempi moderni gli odiatori sono andati al potere, soprattutto per colpa del web. Ma sono così dementi che svaniranno, avendo il mondo dolorosamente imparato che ci sono cose più serie nella vita di quei poveri citrulli nascosti dietro lo scudo dell’anonimato (presunto, li conosciamo tutti, Yes).
Dicevo che Otelma, per la commozione, piangeva.
Io a mia volta ero emozionato. Coglievo la sofferenza fisica di Michael. Si capiva che, nonostante la buona volontà, non era pronto. Anche se sperava di correre addirittura in Ungheria, a ferragosto.
A Budapest invece gareggiò Salo e tornò ad andare piano. Le McLaren stavano di nuovo davanti.
Irvine faceva quello che poteva.
A questo punto, riprese il tam tam.
Schumi sarebbe rientrato. A Spa, sulla pista che amava di più.
Niente di ufficiale, ma dalla Germania filtravano indiscrezioni spiazzanti.
Finché.
Finché una sera squilla il telefono di casa mia. Stava per accadere un’altra cosa folle.
Dall’altra parte del filo, c’era un tizio che non conoscevo. Un artigiano di Fiorano. Mi disse: Turrini mi scusi, io la leggo sempre sul giornale ma la chiamo perché ho una cosa da mostrarle, posso passare da lei dopo cena per un bicchiere di lambrusco?
Il lambrusco non si nega mai.
Dunque arriva questo signore ed estrae un fax.
C’erano ancora i fax!
Senta, borbotta l’artigiano, questo documento è arrivato certamente per errore nel mio ufficio. È scritto in inglese e io in inglese so dire solo thank you. Ma nel testo appare ripetutamente il nome di Michael Schumacher. Ho pensato che forse le interessa.
Mi interessa?!?
Scorro il fax. Era la relazione del professor Saillant, luminare della medicina francese, indirizzata a Montezemolo e Todt.
Spiegava per filo e per segno le condizioni di salute di Schumi, che da Saillant era seguito quotidianamente nella procedura di riabilitazione fisica.
Bum!
Il documento chiariva perfettamente che Michael, contrariamente a quello che si mormorava, non sarebbe stato in grado di disputare un Gran Premio almeno fino a settembre inoltrato.
Scattai in cantina a prendere la migliore bottiglia che avevo. È il mio ringraziamento, dissi all’artigiano.
Il fax era arrivato a lui per un numero sbagliato dalla segreteria di Saillant.
Chiamai il giornale e in una scena alla Walther Matthau nel film “Prima pagina” mi misi a gridare: fermate le rotative!
Scoop da paura.
Il giorno dopo, mentre tutti scrivevano ancora che Schumi era a posto per Spa, io invece raccontavo che la gamba ancora non era guarita e che per un po’ accanto a Irvine sarebbe rimasto Salo.
La mattina della pubblicazione Claudio Berro, meraviglioso pierre del reparto corse, mi avvisa bruscamente: Todt è furibondo, le tue informazioni sono false, dirameremo una smentita ufficiale, peccato perché mi stai simpatico.
Anche tu mi stai simpatico, ribatto. Ma prima di smentire invitami a pranzo, c’è una cosa che devi vedere.
Ubbidì.
A tavola gli mostrai il fax di Saillant.
Berro diventò prima bianco e poi rosso.
Non diventarmi anche verde, mi raccomandai.
Fate un cazziatone alla segreteria di Saillant, aggiunsi. E guardatevi bene dallo smentire.
Berro chiama Todt, io intanto ordino una vodka.
La sto scolando quando Berro fa: Todt ti ringrazia e Dio solo sa quanto gli costi. Non smentiremo niente, diremo che tu hai le tue fonti e che noi rispettiamo la libertà di stampa.
Yes, Sir.
A sera si fece vivo il manager di Irvine per parlare della faccenda.
Ma lo sai, mi disse, che a noi nessuno sta dicendo niente, Eddie sta lottando per il mondiale con la Rossa e non lo tengono al corrente di quando e se Michael potrà tornare a dargli una mano?
Che fantastica storia è la vita!
(3. Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/montezemolo-e-il-ciuffo-tergicristallo-5.6240

Spero tutti bene.
Questo periodo di ansia indicibile di sicuro sta costringendo tutti, esclusi gli imbecilli, a riflettere, banalmente, sul senso vero delle cose.
Passerà e forse ne usciremo migliori (tolti i soliti finti ignoti in realtà notissimi, eh).
Ringrazio chi sta prestando attenzione alle mie sciocchezze: non sono mai stato professionalmente così…sollecitato come adesso, fra giornali, tv, radio, web.
Darei tutto quello che ho per non averne dovuto prendere atto!
Andiamo avanti.
Con la ricostruzione del rocambolesco 1999 sono arrivato alla vigilia di Spa.
Schumi non è ancora pronto fisicamente. Dalla Germania è tutto un fiorire di teorie complottistiche. I tedeschi arrivano a raccontare che Michael non esclude di lasciare la Ferrari a fine stagione.
A questo punto Montezemolo si incazza furiosamente. Agita il ciuffo come un tergicristallo impazzito.
Ci vediamo per un caffè alla vigilia della mia partenza per le Ardenne. LCDM mi fa: “Michael con tutto questo casino mediatico non c’entra nulla. Ma ha attorno gente sbagliata. Dal 2000 cambierà il suo staff della comunicazione e ogni cosa che lo riguarda in termini pubblici sarà coordinata con Maranello. Lui è d’accordo”.
In effetti a fine stagione Schumi rivoluzionò la struttura del suo gruppo di riferimento extra Ferrari.
Sì, ma chiedo io, se torna in pista in questa stagione come si comporterà con Eddie?
L’avvocato è secco: “Quando rientra lo aiuta, lei non si preoccupi. Faccia buon viaggio”.
Il viaggio è buono, la gara decisamente meno.
Accade però una cosa bizzarra, l’ennesima di un campionato folle.
Avuta certezza che Schumi non sarebbe rientrato a breve e dunque l’unico teorico competitor per il titolo restava il non irresistibile amico mio Eddie Irvine, beh, in McLaren se la prendono comoda.
La Ferrari poi va proprio piano. La Ferrari guidata da Eddie e da Salo, intendo.
Così, Coulthard va allegramente in culo ad Hakkinen e lo batte. Il finlandese torna in testa al mondiale con un punto di vantaggio su Irvine ma è furioso. Pare abbia detto a Dennis: voi state scherzando col fuoco.
Il fuoco?
Monza!
Nuovo tentativo di Michael. Lunga sessione di prove private in Brianza. Il fedelissimo Nelson66 mi scorta al circuito. Lui è di Vimercate, un paesino splendido, e sa di macchine molto più di me.
A metà giornata, ottimismo in The Air. Un ingegnere Rosso mi fa: ce la fa, ce la fa, il Gran Premio d’Italia lo corre. Un meccanico mio amico aggiunge: ce la fa, siamo felici, peccato solo non vedere più nel garage la moglie di Salo.
Ah, ecco Salo.
Poiché in una serata plumbea arriva invece l’annuncio che Michael non sarà disponibile nemmeno per Monza, conviene affidarsi al sostituto.
Salo sul dritto guida alla boia d’un Giuda. Si è visto anche ad Hockenheim, dove avrebbe vinto senza l’ordine di scuderia.
Ma Eddie, dico, intanto Eddie che fa?
Sempre in mezzo a donzelle ricche di talenti innegabili. Irvine ufficializza il passaggio alla Jaguar, sarà la sua ultima Monza da ferrarista.
Forse dorme poco, il mio amico Din Don Dan. E quindi sonnecchia in pista. Il sabato è indietro in qualifica.
Salo no. Salo tiene giù il piede. Dritto per dritto, che Dio ti fulmini.
La domenica è il consueto delirio. C’è tanta di quella gente che vado all’autodromo con la bicicletta di Nelson66.
E mi rendo conto di una cosa. Gli eventi frenetici della estate 1999 hanno fatto salire la febbre Ferrari a livelli incredibili. Vogliono tutti sapere da me le ultime su Eddie.
Dorme, rispondo dopo le qualifiche. Dorme e sogna Schumi, l’unico che forse potrebbe fargli vincere il mondiale.
La gara.
Hakkinen ce l’ha in pugno ma firma un autogol clamoroso. Fuori pista, piange amaramente.
Eh sì, stanno davvero scherzando col fuoco, quelli della McLaren. Addirittura il Gran Premio lo vince Frentzen con la Jordan.
Un manicomio.
E la Ferrari?
Din Don Dan deve avere esagerato con i party a sfondo erotico (una volta, durante un briefing tecnico, al culmine della noia Eddie lanciò a Schumacher una rivista porno dicendogli: guarda un po’ se lì dentro c’è la soluzione per i guai della macchina) e avendo esagerato va quasi in retromarcia.
Eddie è sesto, con Salo terzo. Eddie si aspetta che Todt fermi un’altra volta il finlandese, per permettergli di arrivare almeno quinto, visto che Hakkinen è fuori.
Ma come si fa? Tra Salo e Irvine c’erano due macchine. La Ferrari avrebbe perso punti per il mondiale costruttori (eseguendo l’operazione ne avrebbe conquistati 3 invece di 5). Eccetera eccetera.
Niente, non si fa.
Sono passati ventuno anni e Eddie continua a sostenere che Todt quello doveva fare, metterlo quinto e basta.
Io continuo a pensare non abbia ragione.
Comunque, quella domenica sera a Monza Irvine raggiunge Hakkinen in vetta al mondiale.
Sessanta pari.
Tre gare ancora.
Ring. Malesia. Giappone.
Schumi sullo sfondo.
Esco dal circuito inforcando la bicicletta di Nelson66.
Foro all’altezza dell’uscita del Golf Club.
Non ho la gomma di ricambio.
Scoprirò presto di non essere l’unico a non avercela.
(4. Continua)

 

 

Nurburgring

Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/irvine-e-il-mistero-della-ruota-scomparsa-5.6243

Spero tutti bene.
Vado avanti con la narrazione dei picareschi eventi del mondiale 1999.
Ringraziando sempre chi si sofferma su queste righe, righe che sono il frutto di passione e memoria. Naturalmente tutti i fatti qui raccontati vennero da me pubblicati in presa diretta, in quell’anno folle, sulle colonne del Resto del Carlino, del Giorno e della Nazione. In questa sede aggiungo il senno di poi, trattandosi di una ricostruzione storica.
Allora, la gomma misteriosamente scomparsa al Ring!
Parto dalla coda.
Il lunedì dopo il pazzesco Gran Premio d’Europa, il prode Ross Brawn andò a fare il pieno dal benzinaio che avevamo in comune, a Sassuolo.
Il benzinaio si chiama Pancani ed è un mito local-popolare. Tifosissimo della Ferrari, tratta allo stesso modo Vip e perfetti sconosciuti. Un grande.
Il lunedì post Ring arriva dunque Ross alla pompa. Pancani, ancora furibondo per gli eventi della domenica, chiede gentilmente a Brawn spiegazioni sull’accaduto.
Il MangiaBanane, con aria contrita, racconta che il caos è stato generato dal fatto che proprio davanti a Irvine si era fermato a sostituire pneumatici il suo compagno Salo. L’incertezza meteo, tra acqua che andava e veniva, aveva innescato il patatrac. E la sparizione di una ruota di Eddie.
Pancani il benzinaio ascolta compito la descrizione dei fatti e quindi fulmina Ross con una raffica alzo zero: scusi, sta per caso cercando di dirmi che Salo è rientrato in pista su cinque ruote?…
Da quel giorno, Brawn non andò mai più a fare benzina da Pancani.
Ora faccio un passo indietro.
Alla vigilia della trasferta al Nurburgring, avevo scoperto (e l’avevo scritto) che Irvine aveva disputato le gare di Spa e Monza con un telaio “logoro”. Cioè la sua macchina non era strutturalmente in condizioni ottimali.
La Ferrari ammise la cosa, pur ridimensionandone il significato. Comunque, Eddie ebbe un telaio nuovo.
Debbo dire che l’atmosfera era pregna di cattivi pensieri. Io mi sforzavo di restare lucido. Secondo me, al netto delle speculazioni e anche degli errori, una cosa tagliava la testa al toro e al topo.
Se i vertici Ferrari non avessero voluto vincere il mondiale piloti (dopo vent’anni!) con Irvine, futuro driver Jaguar, beh, ad Hockenheim avrebbero lasciato trionfare Salo, no?
E la penso ancora così.
Poi, che all’interno della Scuderia fortissimo fosse il rimpianto di Schumi, ecco, questo era un altro discorso.
Ma venne l’episodio della ruota misteriosamente scomparsa e a quel punto il vortice dei sospetti ingoiò tutto e tutti.
Non so se siete mai stati al Nurburgring.
È un posto che adoro e non solo perché respiri la storia, inali la leggenda. Quando arrivi ad Adenau, sei come sommerso da uno tsunami di ricordi.
I tedeschi per molte cose non sono simpatici. Ma amano l’automobilismo come noi. Sono latini, nella loro passione per le corse.
Il Ring, per quanto rimpicciolito dopo il dramma di Lauda del 1976, ha un solo difetto.
Il cielo.
Non ci si capisce mai un ca**o.
Arrivavo la mattina in maglietta perché faceva un gran caldo e tre ore dopo battevo i denti perché la temperatura si era abbassata e veniva giù acqua a catinelle.
Allora io mi rifugiavo nel bar della sala stampa e mi riscaldavo azzannando salsiccine crude che erano la fine del mondo. Pessime per la mia salute, ottime per il palato.
Ma insomma.
Venne la domenica della gara è abbastanza presto fu chiaro che la variabile meteo avrebbe trasformato il Gran Premio in un terno al lotto.
Motivo in più per tenere altissima la concentrazione.
Al muretto Ferrari non ci riuscirono.
In un delirio di ordini e contrordini, metto le gomme da bagnato no quelle da asciutto, con Salo involontariamente tra i piedi, in effetti una ruota di Eddie andò perduta.
Sono passati più di vent’anni. Io non sono Dumas anche se a scrivere sono bravino e insomma dopo vent’anni trovo ancora gente che educatamente mi chiede: ma fecero apposta, per frenare Irvine e un sogno iridato che forse era soltanto suo?
No.
Non fecero apposta.
E debbo dire che nemmeno Eddie lo ha mai pensato. Perché lui conosceva, come me, le persone che fisicamente si occupavano del cambio gomme. Ci lavorava assieme da anni. Era gente che gli voleva bene. È inimmaginabile che quei meccanici si siano messi d’accordo per pugnalarlo alla schiena.
Non ci credo.
Non fu un delitto.
Fu un errore.
Il che è peggio, intendiamoci. Perché la assenza di dolo certifica l’inadeguatezza. Ti stai giocando un mondiale che non vinci da vent’anni e fai una cappella del genere?!?
Forse Salo era uscito su cinque ruote?!?
Mi restano da aggiungere un paio di cose.
La prima.
Al Ring Eddie non guidò bene, tanto che subì la rimonta di Hakkinen, che aveva avuto un sacco di problemi. Comunque è vero, cronometro alla mano, che senza il tempo perduto a caccia della ruota perduta Irvine sarebbe uscito dal Gp di Europa in vantaggio sul finnico in classifica, invece la domenica sera la classifica vedeva Mika avanti di due punti, 62 a 60.
La seconda.
A causa del giallo pneumatico, passò praticamente inosservata la stupefacente vittoria di Herbert con la Stewart. L’ultima per entrambi, pilota e team. L’unica per il vecchio Jackie come costruttore, visto che aveva appena venduto la scuderia alla Jaguar.
Calo’ la notte. Dormivo non so più dove, in un albergo di Crante Cermania.
Squillò il telefono.
La voce la conoscevo benissimo.
Dopo questo disastro, mi disse la voce, Schumi deve assolutamente tornare in pista in Malesia per dare una mano a Irvine, non possiamo accettare i sospetti. Michael farà’ un test al Mugello nei prossimi giorni. Stay tuned.
Ormai la realtà aveva superato la fantasia.
(5.continua)

 

 

ritorno di Schumacher

Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/quando-corinna-disse-si-5.6246

Spero tutti bene.

Procedo nella ricostruzione del l’affascinante e meraviglioso 1999, sicuramente il mondiale di Formula Uno più controverso che a me sia capitato di vivere in presa diretta.

Avevo pensato che dopo le turbolenze di giugno (Schumi a muro in Canada), di luglio (il dramma di Michael a Silverstone), di agosto (la doppietta di Irvine fra Austria e Germania) e di settembre (il pianto di Hakkinen a Monza, la ruota di Eddie misteriosamente scomparsa al Ring), ecco, avevo pensato che ottobre avrebbe portato la quiete.

Tanto, sul fatto che Mika con la McLaren fosse superiore a Irvine sulla Rossa, via, non c’erano dubbi.

Nemmeno per me.

Facciamo che immaginando la quiete mi illudevo. Ha sempre fatto parte della mia identità una discreta dose di ingenuità.

Dunque, la sparizione della ruota del Ring genero’ la riapparizione di Schumi.

Falliti i tentativi estivi di recupero lampo, ci eravamo adattati all’idea che Michael sarebbe tornato alle gare soltanto nel 2000.

Come suggerivano la logica e il dottor Saillant. Solo che.

Solo che era sparita una ruota e insomma il delirio mediatico aveva inesorabilmente trascinato Todt e l’intera Ferrari sul banco degli imputati.

Serviva un colpo d’ala. Non dimenticate mai (mai!) che la Ferrari vende emozioni. E per promuovere le emozioni ti serve una immagine positiva. Non facendo pubblicità per scelta originale e azzeccatissima del Vecchio, la Ferrari non può permettersi sospetti. Può permettersi le sconfitte in pista, perché perdere fa parte della vita e quindi anche delle corse (questa cosa gli imbecilli non la capiranno mai: poteva sopravvivere il mito a 21 anni di digiuno iridato e oggi di nuovo siamo già a 13, se tutto dipendesse in esclusiva dai risultati?).

Torniamo a bomba.

Dopo il Ruota-gate, viene annunciato che Schumi affronterà un nuovo test al Mugello. Stavolta la sala stampa viene aperta, quindi non posso portare con me il co fondatore del Clog, il prode Otelma. Prometto di aggiornarlo via telefono sull’andamento delle prove.

Il clima di attesa è facilmente intuibile. Mancano 2 Gran Premi al termine della stagione. Hakkinen ha due punti appena di vantaggio su Irvine. E la Ferrari può ancora vincere il mondiale costruttori.

Scrivo spesso, con buona pace dei babbei anonimi che pretendono di insegnare a me mestiere e Formula Uno, scrivo spesso, sì, che o certe cose le hai vissute di persona oppure stai zitto e ascolti chi c’era.

Quel giorno al Mugello, tutto stava andando benissimo. Io guardavo fuori dalla vetrata e prendevo persino i tempi sul giro.

Michael girava e girava. Andava forte come sempre. A occhio, nessuna indicazione negativa.

Non avevo dubbi: a sera, in una già convocata conferenza stampa, Michael avrebbe annunciato il suo rientro in Malesia.

Solo una cosa mi lasciava perplesso. L’atteggiamento dei colleghi tedeschi presenti sul posto. Non erano per niente eccitati. Non credevano minimamente al lieto fine che io prospettavo.

Dovevano sapere qualcosa che io ignoravo.

Venne la sera. Luci accese in sala stampa. Michael si fa attendere un poco. Ma si presenterà. È sempre stato molto professionale. Freddo, ma corretto. Venne a parlarci anche a Jerez, in un fottuto dopo gara del 1997 (anche il 1997 dovrei raccontare in dettaglio, non fu meno eccitante).

Eccolo.

Adesso dice che va in Malesia, penso. E a parte i tedeschi suppongo che lo stiamo pensando tutti.

“Mi dispiace, non sono ancora fisicamente pronto. Ci ho provato ma ho capito che non sono in grado di correre a Sepang e a Suzuka. Ora torno a casa per preparare il 2000. Auguri a Irvine, a Salo e alla Ferrari, che resta la mia famiglia”.

Gesù, Giuseppe e Maria!

Ha detto proprio così. I telefonini impazziscono. La notizia rimbalza nei Tg della sera. Dilaga lo scoramento tra i ferraristi.

Colpo basso. Bassissimo.

Finisco di lavorare per il giornale alle dieci di sera. Debbo rifare l’Appennino in senso inverso è ancora non c’era la variante di valico.

Ma che ca**o sarà successo?!?

Sembrava tutto a posto. Guidava da Dio come sempre. Tanti chilometri. Un test perfetto, almeno in apparenza.

Non fila. Non funziona. C’è qualcosa che mi sfugge.

Ora, adesso scomoderò una leggenda metropolitana alla quale può essere bello credere, perché talvolta il verosimile è più credibile del vero, pensa te (figuriamoci in folle era da virus).

La leggenda va così.

All’indomani del gran rifiuto di Schumi, un costernato Montezemolo telefona al tedesco. Trova il cellulare spento. Allora chiama sul fisso. Risponde la piccola Gina Maria.

No, papà non è in casa, sta giocando a calcetto con gli amici in giardino.

La voce innocente di una bimbetta di nemmeno tre anni di età avrebbe innescato la clamorosa inversione a U.

Sia come sia, l’inversione a U fu repentina, velocissima, straniante.

Schumi si scoprì guarito a tempo di record. Sarebbe partito per la Malesia con la squadra.

Per dare la lieta novella, fu allestito un incontro con i giornalisti all’interno del circuito di Fiorano. Michael ed Eddie, elegantissimi, si presentarono assieme a stampa e tv.

Sorridevano. Ma, a pelle, io intuivo che uno dei due era molto contento.

Solo uno dei due.

Ps. Molti anni dopo, Montezemolo mi disse che la storia della bambina al telefono era bella ma inventata. Le cose invece andarono così, nella avvocatesca versione. Schumi al Mugello non aveva accusato difficoltà, ma ormai mentalmente si era già focalizzato sul 2000 e non intendeva prendere rischi inutili. Ma il presidente gli disse: noi ti dobbiamo tanto, ma anche tu ci devi qualcosa, dopo Jerez97 non abbiamo dato credito a chi ti accusava di ogni nefandezza. È un momento delicato, fai quello che è giusto per la Ferrari, non per me o per Todt o per Irvine.

Michael chiese di poterne parlare con Corinna. Le aveva già promesso che fino a marzo 2000 non ci sarebbe stata, per lei, l’ansia di nuovi Gran Premi.

Schumi richiamò Montezemolo dopo cinque minuti. Mia moglie capisce ed è d’accordo. Domani annunceremo che vado in Malesia. Per la Ferrari.

Stava per arrivare un monsone, a Sepang.

(Continua)

 

 

Sepang

Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/schumi-e-quello-che-i-tedeschi-non-capivano-5.6248

Spero tutti bene.

Ecco la nuova puntata del mio viaggio tra i flutti della memoria.

Mondiale Formula Uno 1999.

Dopo una ruota misteriosamente scomparsa al Nurburgring e un viluppo di vicende degne del commissario Maigret, non a caso connazionale di Jean Todt, la classifica del campionato, a due gare dall’epilogo, vedeva Mika Hakkinen, detentore del titolo con la sua McLaren, in vantaggio di due punti su Eddie Irvine.

E Michael Schumacher aveva finalmente accettato di tornare in pista.

In Malesia.

Andavamo a Sepang per la prima volta.

Fatalmente e banalmente, a me veniva in mente Salgari con il suo Sandokan.

Il volo da Amsterdam a Kuala Lumpur dura all’incirca quattordici ore.

Furono istruttive.

Infatti per puro caso mi ritrovai seduto accanto ad un collega tedesco che lavorava per Willi Weber, il manager di Schumi.

Questo collega combatteva lo stress da volo intercontinentale in una maniera molto efficace.

Un whisky dopo l’altro.

Al terzo giro, io iniziavo ad avvertire un vago torpore. L’alcol fa male, d’accordo, ma talvolta scorre giù che è un piacere.

Insomma, ad un certo punto Herr Jack Daniels, chiamiamolo così, attacca un discorso che mi garba poco.

Voi italiani, mi dice, vi riempite sempre la bocca con la Ferrari. Ferrari, Ferrari, Ferrari! E invece non capite che siete prigionieri del passato. Non vi rendete conto che Michael i suoi due mondiali li ha vinti con la Benetton e se nel 1996 fosse passato alla Williams o alla McLaren adesso avrebbe già battuto il record dei cinque titoli di Fangio. Per di più, ora pretendete che faccia il gregario di un puttaniere irlandese. No, voi italiani proprio non capite.

Di colpo rammentai il titolo di un album di Adriano Celentano.

La pubblica ottusità, si chiamava.

Senti, caro Herr Jack Daniels. Senti un po’ qua, gli risposi.

Siete voi tedeschi a non capire.

La grandezza di Schumi è fuori discussione. Ed è anche vero che dal 1996 in poi, con un’altra macchina, avrebbe conquistato più di un mondiale.

Ma qui sta il punto, Herr Jack Daniels. Io sono convinto che Schumi, al di là di tutti i soldi che meritatamente prende, si sia reso conto che non tutti i successi sono uguali. Se ce la fa con la Rossa, entra nella leggenda. Un campione vive di stimoli, non di statistiche. È la capacità di pensare in grande a rendere unici.

Credo, per colpa del whisky, di avere citato anche Dante, Leonardo e Gianni Rivera, in un delirio ad alta quota.

Non lo convinsi. Infatti ordinò un altro giro.

In Malesia, non c’ero mai stato. L’umidità era spaventosa. Due passi e la camicia ti si incollava alla pelle.

In compenso il circuito era splendido, ai lati di una superstrada. Mi accompagnava ogni giorno un taxista gentilissimo. Gli regalai un cappellino della Ferrari. Tutto contento, la mattina lui mi accoglieva gridando, in italiano: “McLaren m***a”.

Vabbè, non esageriamo.

Al circuito, tutti gli occhi cercavano Schumi. Era inevitabile. Rivederlo lì, in tuta Rossa, allargava il cuore.

Poi, il venerdì mattina fra le due sessioni di prove libere, se non rammento male, avvenne una cosa senza precedenti. E senza repliche.

Dal 1991 fino al 2012, da Spa ad Interlagos, Corinna è sempre stata una presenza muta accanto all’uomo della sua vita.

Muta pubblicamente, intendo. Non rilasciava interviste. Non concedeva battute. Era educatissima, non si nascondeva.

Ma per i media semplicemente non esisteva.

Eppure, quella era una circostanza speciale. Suo marito tornava a correre dopo un drammatico incidente, un episodio che aveva fatto temere il peggio.

E lei aveva qualcosa da dire.

Ci sedemmo sotto il tendone che ospitava la gente Ferrari. Io e altri colleghi. Corinna era tedesca, ma una tedesca che capiva.

Disse che dopo Silverstone aveva chiesto a Michael di piantarla con le corse. Gli aveva raccontato di una angoscia che saliva a livelli talvolta difficili da controllare.

Ma poi, aggiunse, si era fermata. Si era fermata perché si rendeva conto che il suo compagno non riusciva ad immaginarsi senza un casco, un volante, una monoposto. E il mutuo rispetto imponeva di non varcare la soglia.

Lui è qui, io sono qui, concluse.

Dove va lui, vado anche io. E viceversa.

Ho ripensato spesso a quella conversazione, che in realtà fu sostanzialmente un monologo.

Ho compreso qualcosa (solo qualcosa, eh!) dell’uomo Schumi più da quelle parole che da centinaia e centinaia di interviste.

Non avrei mai più sentito la voce di Corinna. Non rivolta a me, ai giornalisti, al pubblico.

E anche del pilota Schumacher, fino a quel week end malese, sapevo meno di quanto credessi.

Infatti, stavo per assistere a qualcosa che mai avevo visto prima.

E che mai avrei rivisto poi.

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/quella-volta-a-sepang-ho-visto-mark-knopfler-5.6251

Spero tutti bene.

Nella mia ricostruzione del romanzesco 1999 della Formula Uno, sono arrivato alla Malesia.

Venerdì mattina.

Confesso: io non mai stato un grande fan delle prove del venerdì. Avevo l’abitudine di prendermela comodo. Di solito, arrivavo sul circuito che le macchine già giravano da un pezzo.

Quel venerdì lì, in pratica ho aperto io l’autodromo!

Era troppo importante.

Infatti incrocio Claudio Berro, il pierre del reparto corse, e lui mi guarda stupito.

Deve essere colpa del jet lag e del fuso orario, mi fa. Come mai sei già qua?

E ride.

Ora, una cosa del genere non era mai accaduta. C’erano due piloti, Hakkinen e Irvine, che si giocavano il titolo.

Non se li filava nessuno.

Gli occhi di tutti erano puntati su Michael Schumacher. Che tornava a guidare in un contesto da Gran Premio più o meno a tre mesi dal botto di Silverstone.

I piloti reduci da infortunio hanno sempre la voglia di ricominciare. Ma non sempre sono subito perfetti.

Lauda, che pure era Lauda, dopo il rogo del Ring rientrò in pista nel giro di quaranta giorni. Ma non era al top, non poteva esserlo. Non subito. Recuperò il meglio della sua dimensione di guida nel 1977.

Schumi, chissà.

Era tale la frenesia che per anticipare un giudizio mi cercai un angolo del paddock da dove era possibile, ad occhio nudo, scorgere un brandello del tracciato.

E fu allora che lo vidi. E credetti.

Michael era tornato!

Il suo venerdì fu come l’assolo di chitarra di Don Felder sul finale di Hotel California.

No, dico. Suona tu così.

Schumi volava e nel box Rosso era come se si fosse dissolto un incubo.

Solo che.

Solo che, alla fine di quel venerdì, nella certezza di avere ritrovato il fuoriclasse, tra un monsone e l’altro serpeggiava la biscia del sospetto.

Sì, ma poi?

Come si metteranno le cose, in gara? Schumi aiuterà Irvine? E come potrà aiutarlo, se il sabato in qualifica Eddie restasse troppo indietro?

Din Don Dan!

Per fortuna il mio amico irlandese era bello sveglio. Il venerdì sera ci fu una riunione tra lui, Michael, Todt, Brawn e Baldisserri, che era il giovane ingegnere di pista di Eddie.

Din Don Dan!

La Ferrari a Sepang andava molto bene. Era più competitiva della McLaren. Hakkinen il sabato mattina aveva un’aria tetra.

Eddie, devi metterla in prima fila, gli aveva detto Baldisserri. La pole la fa Michael, ma se tu non la metti in prima fila siamo fottuti.

Irvine il sabato mattina prese in disparte il suo ingegnere e gli disse: stai tranquillo, ieri sera sono andato a letto presto e per quanto ti possa sembrare strano ci sono andato da solo, a letto.

Din Don Dan.

L’ora delle qualifiche fu un tripudio Rosso. Davvero Schumi era tornato più forte di prima. La sua dimostrazione di superiorità fu schiacciante.

Distacco ciclistico sui concorrenti.

Irvine secondo.

McLaren dietro.

Andai quasi a sbattere contro due ingegneri di Hakkinen, nel paddock. Erano terrei.

Le domande della vigilia si concentrarono esclusivamente sull’ipotetico scenario della domenica.

Come si sarebbe comportato Michael? Lui rispondeva: aspettate e vedrete.

Todt era il solito Pinguino inferocito.

Todt era sempre incazzato. Come diceva l’allenatore di Rocky Balboa, mangiava saette ed evacuava fulmini.

Comunque, chiesi anche a lui.

Replica: Michael sa perfettamente cosa fare. Sottinteso: si tolga immediatamente dai co****ni.

Ah, la bella vita dell’inviato.

Domenica.

La gara.

Meglio.

L’assolo di Mark Knopfler sul finale di Sultans of swing.

Io avevo visto i Dire Straits dal vivo nel 1981 a Bologna.

Rividi Mark Knopfler a Sepang nel 1999.

Si era travestito da Michael Schumacher.

Non sto a farla tanto lunga.

Come si disse poi, il tedesco aveva guidato due macchine.

La sua. E quella di Irvine.

Ho sempre pensato che se quel giorno Schumi avesse pensato solo a se stesso, avrebbe doppiato tutti.

E ho sempre pensato alla bizzarra ironia del destino.

Michael Schumacher non ha vinto la più bella gara della sua carriera, nel giorno del rientro alle competizioni dopo un terribile infortunio, perché ha accettato di lasciarla al suo compagno di squadra.

In Malesia, Schumi fece il centravanti e fece lo stopper. Accelerava e rallentava secondo le esigenze della Scuderia.

Grandioso, come Springsteen nel finale dal vivo di The River, con l’armonica in bocca.

Finale?

Aspetta un attimo.

Dunque, Irvine ha vinto il Gran Premio della Malesia, Hakkinen è arrivato terzo e dunque Eddie e la Ferrari passano al comando dei due mondiali.

Debbo scrivere otto (8) pagine di giornale. In Italia sono tutti impazziti. Non ho molto tempo, alla mezzanotte locale ho il volo per Amsterdam e il taxista con il cappellino mi aspetta per le nove fuori dal paddock.

Ho quasi finito quando entra trafelato in sala stampa un collega inglese.

Non ride.

Ghigna.

Ti hanno detto di Jo Bauer?

Chi è, uno che produce aspirine?

No, è il tizio della Fia che controlla la regolarità tecnica delle macchine.

Embe’?

Dice che le due Ferrari sono irregolari. Irvine e Schumi saranno squalificati. Il mondiale è finito. In McLaren stanno già brindando.

Mi affaccio sul terrazzo che da’ sul paddock.

È vero, stanno brindando.

Dio stramaledica gli inglesi.

Debbo anche riscrivere otto pagine di giornale.

Soprattutto, debbo spiegare ai miei quattro lettori il significato di una parola.

Deflettore.

Ma posso essere arrivato fin qui e dopo aver visto un numero sensazionale di un pilota formidabile, ecco, possa essere arrivato fin qui per occuparmi di quella cosa, come accidente si chiama, ah, sì…

Deflettore.

(Continua)

 

 

processo di Parigi

Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/e-todt-diede-le-dimissioni-per-un-deflettore-5.6254

Spero tutti bene.

Dov’ero arrivato, con la ricostruzione del mondiale 1999 di Formula Uno.

Ah, sì.

La squalifica delle Rosse di Irvine e Schumi per un fottuto deflettore.

E dunque, avendo Jo Bauer scoperto l’infrazione, il campionato era finito.

Matematicamente.

Titoli piloti a Mika Hakkinen, che se lo meritava pure.

Titolo costruttori alla McLaren, che se lo meritava meno, non foss’altro per essermi stata sempre discretamente sui cocones, con rispetto parlando.

Nella enorme sala stampa di Sepang ero stato costretto a riscrivere un giornale intero, in fretta e furia.

Nell’ansia di prendere un aereo alla mezzanotte locale, mi dispiaceva anche il fatto che lo scandalo da squalifica finisse con il cancellare la grandiosa prestazione di Michael.

Era stato sublime nell’interpretazione del fuoriclasse che si fa gregario. Era una storia romanzesca, di quelle che piacciono a me.

E invece adesso si parlava solo del deflettore, fanculo il deflettore.

Stavo già all’aeroporto, destinazione Amsterdam, quando la Ferrari annunciò il ricorso.

Nel tumultuoso dopo gara, Ross Brawn aveva spiegato che l’aggeggio, ecco, dai, l’accidente, quella roba lì, il deflettore, in realtà era regolare.

Famo a fidarse, dicono a Roma.

In volo non chiusi occhio.

Troppo irritato.

Colazione nella lounge di Amsterdam. In Europa era primo mattino.

Il bacon era buonissimo.

Ma io ero tremendamente incazzato.

Il deflettore!

Ma deflettimi ‘sta min**ia.

Trilla il cellulare.

Claudio Berro, capo della comunicazione reparto corse Ferrari. Le vicende pirotecniche della stagione ci avevano praticamente resi fratelli.

Mi dice: reclamo urgente.

Va bene, rispondo.

Aggiunge: non andare a casa quando sbarchi a Bologna, nel primo pomeriggio Montezemolo incontra i giornalisti in pista a Fiorano.

Ci sarò, prometto.

Ma il deflettore?

Lo hanno misurato male, ribatte Berro. Vinceremo in appello.

E vinceremo in appello, come no.

Primo pomeriggio, Fiorano.

Pieno di gente, cronisti, cavi tv. Un delirio. L’ennesimo del 1999. Ma che c’entri qualcosa, con tutto questo casino, la fine del secolo e del millennio?

LCDM annuncia che Todt ha presentato le sue dimissioni per lo scandalo deflettore. Ma lui, azionando furiosamente il ciuffo come un tergicristallo, le ha respinte.

Montezemolo fa uno straordinario numero in stile “Un giorno in pretura”. Mi fa venire in mente Vittorio De Sica avvocato che difende Gina Lollobrigida, la maggiorata.

Qui si attenta all’onore della Ferrari! Qui si mette in discussione l’integrità del Pinguino, che sarebbe poi Todt! Qui colpevolmente si azzera la sublime testimonianza di attaccamento alla causa da parte di Schumi! Qui si mortifica la tenacia di Irvine!

Una arringa memorabile. Io sono notoriamente un cuore di pietra, ma giuro che mi commuovo. L’onore della patria! La nobiltà dei cuori! L’Italia di Dante, Raffaello, Lucio Battisti e Gigi Riva! Il Colosseo! Venezia! La Torre di Pisa!

E la materia del contendere?

Il deflettore di sta min**ia?

Reclamo, vostro onore.

Procedura d’urgenza.

Tribunale Fia già convocato per venerdì a Parigi.

Giustamente Max Mosley, tra un festino e un party, ha decretato che non si può andare a Suzuka con il verdetto della Malesia sub judice.

Partiremo per Suzuka, ultima tappa del mondiale più pazzo di sempre, conoscendo l’esatta situazione di classifica.

Facciamo che Parigi è sulla strada.

Intanto apprendo su quali basi la Ferrari imposterà il ricorso.

In primis, vizio di forma.

I deflettori sono stati misurati in maniera non perfetta.

E la forma è sostanza, perbacco.

In secundis, non c’è alcun nesso tra la prestazione della macchina e il coso, cioè non ci sono vantaggi, non c’è trucco e non c’è inganno, funiculi funicula, iamme iamme, iamme ia.

Uscendo da Fiorano, incrocio Todt.

Stranamente, è meno abrasivo del solito. Sembra persino intenerito.

Un carciofino sott’odio.

Odio, mica olio.

Ci vediamo a Parigi, mi dice. Adesso passi a casa dalle sue bambine, non le vede da una settimana.

E infatti.

La figlia più grande non ha ancora nove anni. Quando la informo che sto per partire per Parigi, si offre volontaria. Così andiamo ad Eurodisney e la macchina la guida Schumacher.

I bambini sono irresistibili.

Non si può, rispondo. Schumacher deve aggiustare un deflettore.

Un defleche?

Vabbè, fa niente.

Sappi solo che tuo padre è in trincea e si prepara a conquistare la Ville Lumiere.

Ps. Che poi a pensarci oggi, 2020, uno un po’ si vergogna, al pensiero di come usavamo le parole. In trincea ci sta la bambina del racconto, medico di ospedale in questi giorni osceni.

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/il-marchese-del-grillo-era-ferrarista-5.6256

Spero tutti bene.

Continuo la narrazione delle rocambolesche vicende del mondiale F1 del 1999.

Il processo di Parigi.

Place de la Concorde.

La ghigliottina.

Luigi XVI.

Il mio regno per un deflettore.

Ah, la Ville Lumiere!

L’avevo scoperta ragazzo nel 1978.

Nozze d’argento dei miei genitori.

All’epoca Gilles guidava da poco la Ferrari e una sera al Trocadero mi ero imbattuto in una ragazzina canadese pazza per Villeneuve.

Aveva le lentiggini.

È strano come talvolta dal fiume della memoria affiorino detriti dolcissimi.

Ma adesso siamo nel 1999.

Udienza davanti a cinque giudici di appello della Fia.

Linea di difesa della Ferrari: noi siamo noi e voi non siete un ca**o.

Il Marchese del Grillo era uno dei nostri.

Parte lesa numero uno: la McLaren. Tesi: noi rappresentiamo i valori dello sport e della lealtà. Italiani mafia, pizza, mandolino e spaghetti.

Sempre simpatici, eh.

Parte lesa numero due: la Stewart.

Tu dimmi cosa c’entra un team che fra un mese manco ci sarà più, si chiamerà Jaguar e per giunta avrà al volante Eddie Irvine.

C’entra, ha risposto Jackie Stewart a Ciuffo, cioè Montezemolo, che gli aveva chiesto di chiamarsi fuori dal processo.

Ma io sono scozzese, aveva replicato Jackie. Con le squalifiche da deflettore, i miei piloti Herbert e Barrichello in Malesia finiscono sul podio e son soldi, amico mio.

Pecunia non olet, va mo la’.

È venerdi mattina. Sono arrivato a Parigi la sera prima. Sono suonato come una campana.

Business as usual.

I giudici sono di cinque nazionalità diverse.

Il Marchese del Grillo, pardon, la Ferrari, schiera un avvocato francese e un avvocato svizzero.

Certo che la Fia è un mondo a parte.

Processo rigidamente a porte chiuse.

Non vedi niente. Non ascolti niente. Non puoi guardare in faccia i legali. Niente.

Dunque, cosa diavolo ci faccio, qui?

Quasi quasi faccio una scappata al Louvre.

Frenata brusca di macchina italiana in zona ingressi sede Fia.

Da una botola collocata accanto ad una portiera dell’auto sbuca il Pinguino.

Jean Todt.

Nero come la pece.

Poi si materializzano Ross Brawn e Nigel Stepney. Portano una sacca.

Pare che dentro ci sia il deflettore.

Infine.

Infine ed è incredibile perché sono si’ e no le nove della mattina, ecco Irvine.

Montezemolo ha deciso che Eddie doveva assistere alle fasi iniziali del dibattimento. Giusto per ricordare ai signori giudici che alla fine della fiera qui poi parliamo di uomini, cioè va bene ‘sta min**ia di deflettore, ma la Formula Uno è una storia di uomini.

Saluto Eddie da lontano. Fa un cenno svagato con la mano.

Non ha dormito da solo, sono pronto a scommettere.

Parigi in autunno è bellissima. E poiché di sicuro per ore e ore non ci diranno niente, prendo una decisione.

Camminerò a piedi fino al Tunnel dell’Alma. È lontano, ma ho tempo. È il luogo in cui, nel 1997, ha perso la vita Lady Diana.

Sono strani gli intrecci della vita!

Nel 1993, avevo scritto un articolo raccontando la storia di una relazione tra la Principessa e un tecnico della Lotus. La vicenda aveva fatto scalpore ed essendoci di mezzo un team di Formula Uno mi avevano chiesto di occuparmene.

È il mio mestiere, talvolta sgradevole. Non sempre sono riuscito a rispettare la privacy altrui, anche se ho sempre cercato di starci attento. Ma ho sbagliato. Non solo con la Principessa.

Cammino e cammino e cammino. Sono di rientro a Place de la Concorde a metà pomeriggio.

La Fia doveva avere inventato il distanziamento sociale già ventuno anni fa.

Manco ci offrono un caffè.

Ma si sa qualcosa? Filtra qualcosa?

No. Zero.

Pare che alla fine delle audizioni il Pinguino si sia dileguato passando da un tombino.

Todt era molto accigliato.

Circolano voci clamorose, tra i cronisti.

Sembra che Ross Brawn abbia mulinato il deflettore a mo’ di clava sulle teste dei cinque giudici.

Si mormora che Irvine, in uno scatto d’ira, abbia detto a un membro della corte: si ricordi che io mi sono trombato pure sua figlia.

Pare che Ron Dennis abbia comprato una fotocopiatrice ma la userà solo nel 2007.

Sera.

Alle 18 un messo federale prova pena per noi e annuncia: ite missa est, la sentenza verrà resa nota domattina, i giudici si sono ritirati per deliberare.

E me li immagino i giudici in stile Forum di Canale 5, eccoli lì che pasteggiano a champagne e fra una aragosta e un po’ di pate’ d’oca esclamano: ah, però quel deflettore forse rientra nel margine di tolleranza, passami il foie gras, ecco, ma sarà vero che tua figlia se la spassava con quel matto di irlandese? Cameriere, un’altra bottiglia di champagne, sì, grazie.

Molto più modestamente, io stavo cenando in un bistrot su Rue de Rivoli.

Fu l’Armagnac finale ad esplodermi come un bengala tra le cellule neuronali residue.

Margine di tolleranza!

Come avevo fatto a non pensarci prima?!?

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/ultima-fermata-suzuka-1999-5.6259

Spero tutti bene.

Con la ricostruzione del mondiale 1999 di Formula Uno, sono arrivato al processo di Parigi per il misterioso caso del deflettore.

Imputato, alzatevi.

È sabato mattina e quello che si deve alzare sono io.

Nelle stesse ore, per cose infinitamente e tragicamente più serie, è attesa a Palermo la sentenza sul caso Andreotti.

Dal giornale mi informano che i telegiornali faranno una doppia diretta.

Il verdetto di Parigi.

Il verdetto di Palermo.

Provo istintivamente un poco di vergogna.

Io sono della generazione che aveva vent’anni quando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino incarnarono il senso di una speranza enorme.

Ho fatto il tifo per loro, mi sono indignato quando chi doveva aiutarli li ostacolava (eufemismo) e mi sono vergognato di essere italiano quando, insieme a uomini e donne delle scorte, sono stati ferocemente assassinati.

Ma mi sbagliavo, nel senso che Falcone e Borsellino mi avevano reso orgoglioso di essere italiano.

Va bene, mi dico. Il mio mondo, quello della informazione, segue le sue logiche.

E io sono qui a Parigi per una storia sghemba, un brandello di romanzo, una somma di rocambolesche circostanze. La Formula Uno è bella proprio perché non si riduce ad una mera esposizione di potenza tecnologica.

C’è l’uomo. L’uomo è passione. La passione talvolta genera intrighi.

Sto camminando lungo Rue de Rivoli. Marcio su Place de la Concorde.

Mi viene in mente Maccari e il suo slogan.

O Roma o Orte.

Cioè.

O ci hanno dato ragione e quindi con la Ferrari invaderemo Suzuka, la Roma imperiale dei Gran Premi, sventolando i nostri vessilli.

O ci hanno dato torto e allora ci fermeremo ad Orte a meditare su vent’anni di digiuno.

Ma bomba o non bomba siamo arrivati a Roma!

La sentenza riabilita la Ferrari.

Il risultato di Sepang viene ripristinato.

Primo Irvine.

Secondo Schumi.

Eddie torna in testa al mondiale piloti.

La Ferrari torna in testa al mondiale costruttori.

Lo scarno dispositivo della sentenza spiega che è stata accettata la teoria del Marchese del Grillo, nato a Maranello e ivi domiciliato in via Abetone Inferiore eccetera.

La misurazione del deflettore non è avvenuta in maniera conforme ai regolamenti e inoltre in un pertugio dei codici, in un anfratto delle norme, in un angolo degli statuti, ecco, sì, lì è stato scovato il Sacro Graal.

Il mitico concetto del margine di tolleranza per pezzi di monoposto particolarmente piccoli.

Non so perché ma l’esposizione del mitico concetto mi riporta alla memoria le case di tolleranza, di cui per ragioni anagrafiche ho solo sentito parlare.

E in effetti questa Formula Uno è un bel bordello.

In sei giorni, dalla domenica malese al sabato parigino, è cambiato tutto.

Tra la platea di noi giornalisti scoppia il caos. I colleghi inglesi sono furibondi.

E che palle! Ancora con questa storia di Italia uguale mafia! Come fai a spiegare a questi babbei abituati a mangiare il porridge (no, dico: il porridge!) che Falcone e Borsellino erano italiani?

Infatti, non ci provo neanche.

Si moltiplicano le reazioni al verdetto. Allora il web non aveva ancora la potenza di fuoco di oggi (e non so cosa sia meglio, eh), ma già si erano accorciate le distanze, il mondo si stava rimpicciolendo.

Da Londra arriva una dichiarazione di Ron Dennis.

Io a Parigi il capo della McLaren non l’ho visto ma notoriamente sono un tipo distratto. Mica per niente sono il Dottor Divago del giornalismo italiano.

Tu dammi la parola e io ti affabulero’ con una narrazione che mette insieme la fava e la rava.

Et voila, l’artiste!

Ma dicevo di Dennis.

D’oltre Manica, esterna la sua amarezza. Parla di sconfitta dello sport e di umiliazione per chi crede nei valori della lealtà.

Ma bravo.

Ma vieni un po’ qua, bello.

Forse che nel 1998 nel diluvio di Spa Coulthard era stato un modello di sportività quando doveva farsi doppiare (doppiare, già, non superare a parità di giri) dalla Rossa di Schumi?

Forse che nel 1997 a Jerez fu una testimonianza di lealtà la riunione del sabato sera pre Gran Premio tra gli ingegneri McLaren e gli ingegneri Williams, in modo da coordinare i pit stop della domenica a favore di Jacques Villeneuve e a danno di Michael Schumacher?

Sarà anche vero che la storia dipende da chi la scrive ma mica è detto che perderanno sempre gli stessi. E inoltre esistono ancora spiriti liberi che rivendicano il diritto di dire quello che pensano, dopo aver pensato a quello che dicono.

Siamo in pochi, soprattutto in era web. Ma esistiamo. E resistiamo.

Quindi ci vorrebbe un minimo di stile, invece di impancarsi a Catone il Censore, va mo la’.

Per quanto riguarda il Marchese del Grillo, io so io e voi nun siete e bla bla bla.

Grande soddisfazione, trionfo legale su tutta la linea.

Il Pinguino Todt festeggia nel sottosuolo di Gotham City.

Montezemolo delira a reti unificate.

Irvine è già a Tokyo. So dove passerà la serata ma qui siamo in fascia protetta e mi taccio.

Intanto Max Mosley, il numero uno della Fia, illustra il perché e il percome della sentenza e precisa che giovedì prossimo a Suzuka le verifiche pre Gp saranno rigorosissime.

In nessun caso, tuona, il mondiale sarà deciso a tavolino.

Impegno solenne del Conte Max.

C’è un altro aereo da prendere. Anzi, due.

Uno per l’Italia.

Uno per il Giappone.

Ultima fermata, Suzuka.

Cioè, come un glorioso team up a fumetti di Dylan Dog e Martin Mystere.

Ultima fermata, l’incubo.

Ps. Ah, dimenticavo. A Palermo, in primo grado, Giulio Andreotti venne assolto.

(continua)

 

 

Suzuka

Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/come-senna-e-prost-5.6261

Spero tutti bene.

Nella ricostruzione del pittoresco mondiale di Formula Uno datato 1999 sono arrivato allo sprint conclusivo.

Suzuka.

Avevo conosciuto quel posto magico dieci anni prima.

Millenoventottantanove.

Stava per venire giù il Muro di Berlino ma mica lo sapevamo.

La nostra Guerra Fredda, ai box, aveva i volti di Alain Prost e di Ayrton Senna.

Guerra che diventò caldissima proprio a Suzuka, con la collisione numero uno.

Alain e Ayrton erano arrivati a detestarsi, paradossalmente, perché si stimavano enormemente. Ma il trono era uno solo.

La Storia è piena di dualismi feroci dettati dalla consapevolezza che non esiste possibilità di convivenza al potere.

E non solo nello sport.

È stato detto e io sono d’accordo che l’Amore per il nemico è la cosa più nobile. In questa frase c’è tutto quello che ci serve. Ma siamo umani, siamo fragili, siamo deboli. E di guance da porgere ne abbiamo solo due (cit.).

Comunque è stato un grande onore poter raccontare di Senna e di Prost in presa diretta. Io non sono Omero, anche se mi stimo molto (prego cogliere il senso ironico della frase). Ma ho visto Ettore e Achille da vicino. E tanto mi basta.

Ora, Hakkinen e Irvine non erano Achille ed Ettore. E nemmeno Senna e Prost. Eppure, intorno a loro si era creata una situazione emotivamente pazzesca. Creando uno stato di tensione indicibile.

Dopo la sentenza di Parigi, Eddie aveva 4 punti di vantaggio sul finlandese. Ovviamente chiudere il Gran Premio del Giappone davanti a Mika gli avrebbe garantito il titolo. Così come un contemporaneo ritiro.

Al tempo stesso, al pilota della McLaren bastava vincere la corsa. Se Irvine si fosse piazzato secondo, con finale di classifica a pari punti, comunque il campione del mondo sarebbe diventato per maggior numero di successi, cinque contro quattro.

Nemmeno era il caso di perdersi in troppi calcoli. Come dicono gli americani?

Do it or die.

Arrivai a Suzuka il mercoledì precedente la gara. Un treno super veloce mi portò da Tokyo alla cittadina che avrebbe ospitato lo show down.

Il Giappone è un paese meraviglioso. Ha una sua cultura non paragonabile alla nostra, una cultura che meriterebbe di essere approfondita.

Io un po’ ci avevo provato l’anno precedente, nel 1998. Per ragioni di lavoro, in periodi diversi avevo trascorso più di un mese in quella terra. Le Olimpiadi invernali di Nagano. Il Gran Premio di Formula Uno, quello in cui Hakkinen si era laureato iridato per la prima volta. E infine il mondiale di volley, conquistato per la terza volta di seguito dalla fantastica nazionale azzurra di Giani e di Bracci.

I giapponesi sono gentilissimi per modi e nei tratti. Considerano però gli occidentali una razza inferiore. Non te lo diranno mai, ma per loro lo straniero è quasi un alieno.

In compenso, i giapponesi hanno una venerazione per le corse. Per i motori. Ne capiscono, ne sanno. E dunque non uno tra loro era disposto a paragonare il duello Hakkinen-Irvine alla disfida da samurai tra Senna e Prost.

Il giovedì mattina andai al circuito. La luce dell’Estremo Oriente, pallida e quasi filtrata da Dio, non è come la nostra. È meno intensa, ecco. O almeno a me così sembrava.

L’atmosfera nel paddock era elettrica. Gli strascichi della sentenza parigina si avvertivano ancora. Tra un party ed un festino, Max Mosley, il presidente della Fia, aveva impartito una severissima istruzione ai suoi ispettori.

Le verifiche del giovedì dovevano essere estremamente accurate. Non poteva ripetersi un deflettore-gate.

Credo sia stato Franco Battiato a scrivere un verso che più o meno fa: vagavo per i campi del Tennessee, come ci ero arrivato chissà.

E io vagavo tra pile di gomme e mi chiedevo chissà come sarebbe finita quella estenuante partita. Da mesi e mesi eravamo protagonisti di un sabba infernale.

Se a marzo, a Melbourne, mi avessero detto cosa ci aspettava, insomma, avrei riso in faccia al profeta.

Invece, eccoci qua.

Eccomi qua.

Incontro Irvine in borghese. È sempre molto gentile, ma capisco che è divorato dall’ansia.

Si rende conto che una occasione del genere non gli si ripresenterà. Una top model la trovi, se sei Irvine, tutte le sere.

Un titolo da campione del mondo di Formula Uno, eh, beh, no.

Eddie ha la faccia di chi ha appena ascoltato la canzone di Gianni Morandi.

Uno su mille ce la fa.

Invece Hakkinen è insolitamente rilassato. Mi dicono che Ron Dennis lo ha tranquillizzato. Coulthard non farà brutti scherzi, stavolta. E ci mancherebbe.

Sulla pista di Suzuka sta calando la sera. La Fia comunica che tutte le monoposto hanno superato le verifiche.

Per uscire dalla sala stampa e arrivare al parcheggio delle navette stampa, c’è un percorso obbligato.

Devi camminare in un tunnel che passa sotto il rettilineo di arrivo. Se ci passi mentre le macchine stanno girando, avverti una sensazione incredibile.

Ti sembri che quel rumore ti penetri nelle ossa.

È bellissimo.

Marcio nel tunnel. Mi rimbalzano nella memoria i versi di Omero.

Ettore.

Achille.

E all’improvviso un flash.

Accidenti, ma chi determinò l’esito della guerra di t***a?

Ulisse! L’astuto Ulisse. Il callido Ulisse.

E se Ulisse fosse nato a Kerpen?

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/schumi-alberto-sordi-e-il-cronista-manzoni-5.6264

Spero tutti bene.

Proseguo con la narrazione del fantasmagorico mondiale di Formula Uno datato 1999.

Alla fine delle prove libere del venerdì, inevitabilmente dominate da una tensione che quasi si toccava con la mano, ero stato raggiunto da una reminiscenza cinematografica.

Una scena tratta dal film “Tutti a casa”, un capolavoro del Novecento italiano in celluloide.

All’indomani dell’8 settembre 1943, una pattuglia di nazisti attacca una caserma di soldati italiani.

Uno sbigottito Alberto Sordi, militare lasciato senza ordini ne’ informazioni da superiori codardi e fedifraghi, si attacca disperato al telefono e grida: “Colonnello, è successa una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani!”.

Perché mi era venuto in mente Albertone?

I tedeschi che si alleano con gli americani?

Ah, semplice.

Dopo Sepang, dove era stato semplicemente fantastico per abnegazione e dedizione alla causa, beh, dopo Sepang si poteva chiedere a Schumi di concedere il bis?

Cioè di tornare ad indossare la livrea del maggiordomo?

Di sicuro gli aziendalisti in servizio permanente effettivo non avevano dubbi. Il loro ragionamento andava così: lo pagano, anzi, lo strapagano, per quanto di lusso è un dipendente, ergo ubbidisca e basta.

Ma anche no, supponevo io.

Un pilota è sì tecnicamente un dipendente e lo diceva sempre anche Enzo Ferrari. Ma poi il pilota nell’abitacolo ci sta da solo, non è un robot telecomandato.

Correre in Formula Uno significa, anche, rischiare la pelle.

Michael era andato vicino a giocarsela, la pelle, a Silverstone.

Si poteva pretendere che alzasse la soglia per fare un favore a Eddie Irvine?

E che favore!

Probabilmente i tedeschi non si sarebbero alleati con gli americani ma nemmeno avrebbero combattuto la battaglia della vita.

Tutto questo, Mika Hakkinen lo sapeva. Lo aveva capito. E io immaginavo, nel week end di Suzuka, che il finlandese si rendesse conto di essere padrone del destino suo.

Gli bastava vincere la gara. Cosa non impossibile per uno come lui. Hakkinen era un fierissimo competitor di Schumi. Non di rado lo aveva battuto.

Venne il sabato.

Le qualifiche.

Irvine era nervosissimo.

Comprensibilmente.

Manzoni, che non era un cronistello di Formula Uno, scrisse che il Principe di Conde’ dormi’ magnificamente alla vigilia della battaglia di Rocroi.

E beato lui.

Ma Eddie non era un Principe e non eravamo a Rocroi, ma a Suzuka. Dunque, Eddie non dormiva più e non c’entravano le femmine.

Che cosa prova un essere umano quando si accorge che il sogno di una vita gli si sta sgretolando sotto il naso, si sta dissolvendo inesorabilmente, si sta trasformando in una infinita fonte di rimpianto?

Me lo sono chiesto spesso, è una sensazione che chiunque di noi ha provato, almeno una volta.

Ecco, il sabato del Gran Premio del Giappone del 1999 Irvine era messo così.

Tiro’ anche una gran botta in pista, mentre Schumi andava a prendersi un’altra pole, la seconda consecutiva, con irrisoria facilità.

Secondo Hakkinen.

Dopo la conferenza ufficiale dei primi tre in griglia, ci fu l’incontro con la stampa dei drivers Ferrari.

Michael sprizzava gioia da tutti i pori.

Al tavolo della conferenza, io ero seduto accanto a Irvine.

Non riusciva a controllare il movimento della gamba destra sotto il tavolo.

La gamba era scossa da un fremito continuo.

Forse era una conseguenza dell’incidente di poco prima.

Forse era l’effetto cumulato di una stagione spaventosamente stressante.

Stava ancora parlando Schumi.

Eddie si avvicinò e mi disse sotto voce, indicando il tedesco: questo mondiale me lo può vincere solo lui, ma non lo farà, vedrai. E nemmeno avrà tutti i torti, eh.

Ci sono momenti, nella vita, in cui ti accorgi della tua fragilità e oggi, 2020, il destino ha voluto ce ne accorgessimo tragicamente tutti.

Come rimpiango il tempo in cui la mia preoccupazione riguardava un mondiale di F1!

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/end-game-lepilogo-del-mondiale-1999-5.6266

Spero tutti bene.

Come cantava Riccardo Cocciante, era già tutto previsto.

Sarebbe bastato leggere tra le righe del sotto testo. Oppure decifrare i fondi del caffè, che pure in Giappone mica sanno fare troppo bene.

Domenica mattina, Suzuka. Era già tutto previsto, sì.

Un carissimo amico, molto importante nella storia della Ferrari, all’ora della colazione nel paddock mi prese in disparte.

Michael non correrà per vincere questo Gran Premio, mi spiega. Lo ha detto chiaramente a chi voleva ascoltarlo. Al massimo è pronto a cedere la posizione a Irvine se ciò fosse sufficiente a Eddie per conquistare il titolo. Ma non si dannera’ l’anima per battere Hakkinen. E se non mi credi tieni d’occhio quanto accadrà in partenza.

Appunto. Il video è lì da vedere, da oltre vent’anni.

Fu tradimento?

No. Anche perché non sta scritto da nessuna parte che la McLaren di Hakkinen, quella domenica, fosse inferiore alla Ferrari.

Fu giusto così?

Anche, se parliamo di sport. Nel senso che io ho sempre voluto bene ad Eddie e mi sarebbe piaciuto celebrarne la rocambolesca impresa.

Ma ammetto, al netto di tutto, che non era all’altezza di Mika.

Tant’è vero che quella domenica, pur finendo sul podio, l’irlandese venne quasi doppiato dal suo rivale nella corsa al titolo.

E un giro di differenza, in uno spareggio iridato, è un po’ troppo.

Fu una delusione, l’epilogo?

Fortissima, per me. Non sempre i sogni muoiono all’alba. Questo si era dissolto in extremis.

Rimpianti in salsa Rossa?

Beh, la ruota misteriosamente scomparsa al Ring, sicuro. Una brutta figura, ma io non ho mai creduto al dolo, al complotto.

Anche perché, come ho tentato di spiegare durante questo mio viaggio nella memoria, se ci fu cospirazione i congiurati sarebbero stati decisamente schizofrenici.

Non vuoi far vincere il mondiale al tuo pilota numero due e poi gli regali la Malesia e la Germania, otto punti in più secondo i criteri di assegnazione del tempo?!?

Non sta in piedi.

Infatti Irvine non si lamentò mai di oscure trame. Disse invece che in Francia era stato costretto a dare strada a Michael, che misteriosamente andava più piano. E continuò a lamentarsi per il mancato rallentamento di Salo a Monza.

Ma sono briciole.

Con il senno di poi, per quanto assurdo possa sembrare, dopo un caos tanto grande, il campionato si decise in Malesia. Quando nel finale un disperato Hakkinen riuscì a passare la Stewart di Herbert, complice un errore di quest’ultimo. Così Mika chiuse al terzo posto, a Sepang.

Fosse arrivato quarto, Eddie a Suzuka sarebbe partito da più cinque. E gli sarebbe bastato il secondo posto.

Ogni tanto mi chiedo se, in quel caso, Schumi avrebbe lasciato la piazza d’onore a Irvine, laureandolo campione.

È un gioco della mente. Un what if da fumetto dei super eroi. Un universo parallelo.

End game.

Ma non voglio sottrarmi alla domanda delle cento pistole.

Quanto furono dispiaciuti in Ferrari, per quel finale?

Onestamente, quasi zero.

È la verità storica e anche qui non c’è scandalo.

La squadra conquistò, proprio quella domenica, il mondiale costruttori.

Dopo 16 anni di digiuno.

Non voglio scomodare il Vecchio, che considerava il titolo per i team più importante di quello riservato ai piloti. Non sono mai stato d’accordo, ma la filosofia aziendale quella era e resta. Poi, certo, prendete il 2008: la Ferrari ha vinto il Costruttori, ma ci ricordiamo la beffa di Massa, giusto?

Il fatto era ed è che Irvine, non per sua colpa e nemmeno per suo demerito, fu l’uomo giusto nel posto sbagliato. O l’uomo sbagliato nel posto giusto, come volete.

Il resto venne di conseguenza e ognuno ha diritto alla opinione che vuole.

Fermo rimanendo che io c’ero. E so.

Infine.

Infine, la partecipazione di Schumi alla festa McLaren fu certo un pugno allo stomaco dei puristi.

Ma anche qui, bisogna chiarire.

Quando si chiude un mondiale, è tradizione organizzare grandi party, aperti a tutti.

È come la festa per la fine dell’anno scolastico.

Chi vuole va. E magari si sbronza.

In F1, almeno allora, le rivalità di pista non sfociavano necessariamente in astio permanente.

E Schumi un mondiale con la Ferrari, il primo di una lunga serie, lo aveva finalmente ottenuto.

Possiamo condannarlo per la sua euforia?

Eh, lo so.

Era dispiaciuto Michael per la sconfitta di Eddie?

Per niente.

Corse alla baionetta contro Hakkinen?

No.

Qualcuno avrebbe potuto imporglielo?

No.

Questa è la mia versione dei fatti. Ringrazio chi si è adattato alla lettura di questo lungo sproloquio.

Siete un bel gruppo, babbei e dementi a parte.

Stay safe.

(Fine)

 

 

  • Like 3

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
1 ora fa, Ruberekus ha scritto:

la storia del mondiale 1999, raccontata da Turrini

 

Melbourne-Silverstone

  Mostra Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/1999-tutti-i-segreti-del-mondiale-f1-che-cambio-le-nostre-vite-5.6228

Spero tutti bene.
Grazie ancora per gli auguri e a tutti ricordo i miei video deliranti sulla home page di Quotidiano.net
Ho un debito con uno di voi.
@pierpaolo. Il mondiale del 1999 è stato il più rocambolesco cui mi sia capitato di assistere. Mi chiedi di raccontare cosa ricordo e allora ho deciso di dedicare una intera puntata (ormai sono come Dumas, un narratore day by day!) delle mie risposte a quella incredibile stagione. Anzi, più di una puntata.
Allora premetto che fra drammi e colpi di scena il 1999 sembrava partorito da uno sceneggiatore geniale. O da Stephen King. Quindi, la somma degli eventi generò una quantità industriale di leggende metropolitane. Tenterò di scindere il vero dal falso, non ignorando il verosimile.
Partimmo dall’Australia con una sorpresa. Un guasto mise Kappao Schumi e ci fu la prima vittoria in Rosso di Irvine.
Io ero diventato amico di Eddie tramite il suo manager di Bologna, il caro Faina Zanarini. Ero contento per l’irlandese, ma mi fece effetto l’atteggiamento di Jean Todt nel dopo gara: pareva gli fosse morto il gatto. Tanto che ad un certo punto, nel giardinetto del paddock, io dissi al Pinguino: ma guardi che ha vinto una Ferrari!
Mi fulminò con lo sguardo.
La Rossa del 1999 non era irresistibile. Michael non riusciva a sfruttarla al massimo e non certo per colpa sua. Paradossalmente, Eddie, che era molto più scarso!, si adattava meglio alla vettura.
Una sera di aprile Irvine venne a cena a casa mia. Fortunatamente le mie figlie erano bambine e quindi non corsero rischi. Aveva guidato tutto il giorno a Fiorano, 100 giri di test gomme. Divorò due piatti di tortellini e poi mi raccontò aneddoti fantastici su Schumi. Umanamente lo trovava incomprensibile, maniacalmente devoto al mestiere. Ma come pilota Eddie venerava Michael. È il più grande, concluse bevendo il nocino di mia suocera. Ma subito aggiunse ghignando: comunque io ho fatto sesso con una sua compagna di scuola e lei mi ha giurato che in classe Schumi nessuna se lo filava.
L’auto migliore del 1999 era la McLaren di Hakkinen e Coulthard. La Ferrari combatteva ma a Montreal Schumi era andato a baciare il muro dei Campioni, Eddie aveva preso punti con una grande rimonta ma il titolo si allontanava. E in una stranissima gara in Francia, con un meteo pazzo, Todt aveva imposto all’irlandese, che era davanti, di dare strada al tedesco. Il contratto quello prevedeva e fu rispettato.
Nel paddock, era noto che Irvine a fine stagione sarebbe andato via. La Ford aveva comprato il team Stewart per ribattezzarlo Jaguar dal 2000 e voleva un pilota di nome al volante. Eddie era molto contento. Considerava chiusa la parentesi Ferrari e gli avrebbero dato tanti, tanti soldi.
Silverstone.
Il dramma nacque da un guaio sulla Rossa di Schumi, figlio di un errore umano ai box. Michael rischio’ di ammazzarsi nel tentativo di superare Eddie, che era partito meglio.
Si è molto fantasticato su quel sorpasso, non facilitato dall’irlandese. Ma, anche qui, le regole interne erano chiare. Irvine era il numero due però in gara nei primi tre giri non c’erano obblighi di scuderia, nelle fasi iniziali di ogni Gran Premio i piloti erano liberi di difendere la posizione (non so se a Monza 2018 in casa Ferrari fosse ancora così, ma non lo escludo, eh).
Quindi a Silverstone non ci fu scortesia o slealtà da parte di Eddie. Quando andò nella clinica inglese a salutare il compagno ormai fuori pericolo, Schumi lo accolse con un sorriso. Gli disse anche: se vinci il titolo ti farò i complimenti ma vorrei vincerlo io.
Arrivati fin qui, aggiungo che in Inghilterra Irvine recuperò punti su Hakkinen e dunque restava clamorosamente in lizza per il titolo. Avendo già in tasca il contratto Jaguar.
Il lunedì sera mi telefona Montezemolo. Mi spiega che le notizie su Schumi sono confortanti e poi mi chiede: ma secondo lei, Irvine accetterebbe di restare un altro anno? Noi abbiamo già preso Barrichello, ma qui lo scenario è cambiato.
No, risposi. Non rimane nemmeno da campione del mondo, perché con Schumi sarebbe sempre il numero due. L’avvocato concordò e mi annunciò che per la temporanea sostituzione di Michael il finnico Salo era stato preferito al vecchio Alesi.
Salo aveva in moglie una ex pornostar giapponese e la cosa mandava nei matti Irvine. Davvero, ne stavamo vedendo di cotte e di crude. Sei ore di macchina mi sciroppai per raggiungere Zeltweg. Portai con me un cugino di professione poliziotto. Vieni con me, gli dissi: questo non è più un mondiale di Formula Uno, è un giallo alla Agata Christie.
Il colpevole nella prossima puntata.
Stay safe.
(Continua)

 

 

Zeltweg-Hockenheim

  Mostra Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/dal-sipario-su-montecarlo-al-mondiale-del-1999-5.6231

Spero tutti bene.
E tutti in casa. Fuori infuria la bufera ma mi fido del mio Dream Team, figlia e fratello medici in prima linea. E grazie alla Ferrari per quello che farà sul fronte delle apparecchiature sanitarie indispensabili.

Dalla cancellazione di Montecarlo allo slittamento delle regole nuove al 2022, tutto era purtroppo facilmente e malinconicamente prevedibile. Risparmiatemi le elucubrazioni sul “cui prodest”: qui c’è in ballo ben altro.
Quando il presente è così cupo, meglio il passato.

Allora, sto ripercorrendo le tappe del fantasmagorico mondiale F1 del 1999, su sollecitazione di uno di voi.
Siamo arrivati all’Austria. Prima gara post incidente di Schumi a Silverstone.
Sei ore di macchina fino a Zeltweg. Guida mio cugino poliziotto, uno che ti smaschera i troll e te li individua nonostante i cambi di nickname.
Nel box Ferrari c’è una atmosfera malinconica. Senza Michael al volante, beh, lo sappiamo tutti: la McLaren è più forte. In compenso circola voce che i rapporti tra Hakkinen e Coulthard non siano dei migliori.
È arrivato Salo, il sostituto di Schumi. Parla pochissimo. Avrei scoperto anni dopo che rispetto a Kimi era un chiacchierone!
Irvine è decisamente più concentrato del solito. Ha respinto la proposta di Montezemolo: a fine stagione andrà comunque alla Jaguar.
Il sabato le McLaren scappano via. Salo non capisce una mazza della macchina e fa notizia solo per la moglie.
La sera, Ross Brawn si apparta con Eddie. Ross è un personaggio gigantesco, alcuni se renderanno conto solo molto più tardi. Abitava dietro casa mia e teneva le sue cianfrusaglie in un garage di mia proprietà. Forse ci metteva anche le casse di banane che sistematicamente divorava al muretto, boh.
Comunque, la mattina della domenica Eddie mi racconta che Ross gli ha detto: se i due della McLaren pasticciano un po’ avremo una possibilità giocando sulle soste, ma solo se tu riesci a fare un numero alla Schumi. Se te lo chiedo via radio, te la senti?
Se la sente. Io a distanza di vent’anni ancora non ho compreso come abbia fatto, però in un finale da paranoia Irvine vince il Gran Premio d’Austria. Mentre Salo becca due giri.
E qui accade una cosa strana.
Ebbro di felicità (era una impresa Ferrari in un momento psicologicamente pesante) mi precipito fuori dalla sala stampa. Voglio festeggiare per cinque minuti nel paddock, prima di riempire sei pagine di giornale (sei, yes: era estate, calcio fermo, no Olimpiadi: si parlava solo della Ferrari, in Italia).
Spunta il mio cugino poliziotto, maestro delle indagini. Mi fa: guarda che Todt non andrà sul palco della premiazione, manda un altro della squadra.
Cosa?!? Da quando il Pinguino era il numero uno di Maranello, mai aveva disertato il podio. Mai! E lo fa in una domenica così.
Lo fa e io scrivo che quel gesto è una macchia, l’unica, su una domenica bellissima. Apriti cielo. Incazzatura furibonda del diretto interessato, che rivendica il diritto di privilegiare l’immagine della Scuderia e bla bla bla.
Il lunedì mattina mi chiama Montezemolo. Dice che è dispiaciuto, che è tutto un equivoco e che Todt sta sotto stress. Rispondo che lo stress ce l’ha chi lavora otto ore in fabbrica, mica i fighetti da brodo. L’avvocato mi conosce, ci vogliamo bene, ognuno ha il diritto di pensarla come vuole sul personaggio ma è stato e resta l’uomo che ha portato la Ferrari nel futuro rispettandone la tradizione.
Alla fine della telefonata Montezemolo sospira: Turrini, lei ha ragione, Jean ha sbagliato ma non me lo faccia dire in pubblico.
E si va in Germania, subito.
Hockenheim.
Qui succede un’altra cosa strana. Schumi sta meglio e si sa che ha accettato di registrare un video messaggio di saluto da trasmettere sugli schermi giganti del circuito prima della partenza della corsa. Bene, penso, sarà un piacere rivederlo, sia pure da lontano.
Irvine è il personaggio del momento. Salta fuori di tutto. Anche che ha una figlia segreta, da qualche parte nel mondo. È vero e non ne aveva mai parlato in pubblico.
Salo pare trasformato. Bisogna anche aggiungere che la pista è tutta un drittone. Berger la adorava, spezzo’ un lungo digiuno Ferrari ad Hockenheim nel 1994 e poi spiegò ridendo che era stato facile, “sui rettilinei ti puoi anche addormentare, la macchina va da sola”.
Griglia di partenza.
Ecco Schumi sullo schermo gigante. Sorride. Fa un discorsetto in tedesco. Boato della folla. Solo che.
Solo che Michael non nomina mai Irvine, nel suo intervento. Nemmeno Salo. In compenso, fa gli auguri a…Frentzen!
Gesù, Giuseppe e Maria.
Ma ci penserò dopo. La gara parte e fra alterne vicende le due Ferrari stanno davanti.
Primo Salo. Secondo Eddie.
Qui debbo confessare che Irvine aveva preso in parola Berger. Cioè dormiva, quella domenica ad Hockenheim.
Non per niente i suoi meccanici lo avevano ribattezzato, già dal 1996, Din Don Dan. Nel senso che talvolta bisognava suonargli la sveglia, perché si appisolava sotto il casco.
Din Don Dan.
Todt ordina l’inversione di posizioni con Salo. Qui, attenzione!, è un punto chiave. Se il Pinguino non vuole vincere il mondiale con Eddie, beh, lascia a Salo la gioia enorme del primo (e unico) successo in F1.
Invece Todt mette Irvine davanti.
Salo non fa una piega. Si limita a sfogarsi via radio quando ha già ceduto la leadership all’irlandese: ditegli di accelerare, va così piano che quelli dietro ci stanno raggiungendo!
Din Don Dan.
Finisce in trionfo. Stavolta di pagine da scrivere ne ho otto! Todt tiene il punto e se non ricordo male (ma potete controllare su YouTube, eh) nemmeno stavolta si presenta sul podio.
Eddie è il leader del mondiale. Siamo al delirio.
Gli chiedo come abbia preso il fatto che Schumi non lo abbia citato nel video messaggio (ma pare ci fosse anche una seconda versione più “ferrarista” in lingua inglese, non mostrata ad Hockenheim perché eravamo in Germania).
Si sarà dimenticato, borbotta. Ma si capisce lontano un miglio che non gliene può fregar di meno.
Che casino.
E siamo appena all’inizio di agosto…
(2. Continua)

 

 

Spa-Monza

  Mostra Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/quando-schumi-correva-sul-fax-5.6237

Spero tutti bene.
Grazie a quanti idealmente mi e si tengono compagnia passando di qua.
Riprendo la narrazione degli eventi del più rocambolesco mondiale cui mi sia capitato di scrivere, in tema di Formula Uno.
Il 1999!
All’inizio di agosto, dopo l’uno-due di Irvine tra Austria e Germania, mi erano assolutamente chiare le verità del momento.
Hakkinen era molto più forte di Eddie.
Hakkinen avrebbe potuto perdere quel campionato solo in presenza di un cumulo clamoroso di circostanze negative.
E sullo sfondo si stagliava il fantasma del palcoscenico.
All’indomani di Hockenheim, prese a circolare la voce che Schumi stava accelerando i tempi della convalescenza.
Si sussurrava che presto, molto presto!, avrebbe tentato un test sulla Rossa.
E in effetti un giorno d’agosto la Ferrari sollevò le serrande dei garage del Mugello.
A noi giornalisti venne concesso di sistemarci sulla tribuna di fronte ai box.
La sala stampa era chiusa ma da quella postazione qualcosa vedevi. Mi ero tirato dietro il co fondatore di questo Clog, il prode Otelma.
Otelma è il più grande tifoso di Schumi mai apparso sulla faccia della terra.
Ricordo che dalla tribuna scorgeva l’incedere zoppicante del suo idolo e piangeva.
Bisogna sempre avere rispetto di chi nutre passioni autentiche. Un tifoso sano è l’esatto opposto di un odiatore in servizio permanente effettivo.
Nei tempi moderni gli odiatori sono andati al potere, soprattutto per colpa del web. Ma sono così dementi che svaniranno, avendo il mondo dolorosamente imparato che ci sono cose più serie nella vita di quei poveri citrulli nascosti dietro lo scudo dell’anonimato (presunto, li conosciamo tutti, Yes).
Dicevo che Otelma, per la commozione, piangeva.
Io a mia volta ero emozionato. Coglievo la sofferenza fisica di Michael. Si capiva che, nonostante la buona volontà, non era pronto. Anche se sperava di correre addirittura in Ungheria, a ferragosto.
A Budapest invece gareggiò Salo e tornò ad andare piano. Le McLaren stavano di nuovo davanti.
Irvine faceva quello che poteva.
A questo punto, riprese il tam tam.
Schumi sarebbe rientrato. A Spa, sulla pista che amava di più.
Niente di ufficiale, ma dalla Germania filtravano indiscrezioni spiazzanti.
Finché.
Finché una sera squilla il telefono di casa mia. Stava per accadere un’altra cosa folle.
Dall’altra parte del filo, c’era un tizio che non conoscevo. Un artigiano di Fiorano. Mi disse: Turrini mi scusi, io la leggo sempre sul giornale ma la chiamo perché ho una cosa da mostrarle, posso passare da lei dopo cena per un bicchiere di lambrusco?
Il lambrusco non si nega mai.
Dunque arriva questo signore ed estrae un fax.
C’erano ancora i fax!
Senta, borbotta l’artigiano, questo documento è arrivato certamente per errore nel mio ufficio. È scritto in inglese e io in inglese so dire solo thank you. Ma nel testo appare ripetutamente il nome di Michael Schumacher. Ho pensato che forse le interessa.
Mi interessa?!?
Scorro il fax. Era la relazione del professor Saillant, luminare della medicina francese, indirizzata a Montezemolo e Todt.
Spiegava per filo e per segno le condizioni di salute di Schumi, che da Saillant era seguito quotidianamente nella procedura di riabilitazione fisica.
Bum!
Il documento chiariva perfettamente che Michael, contrariamente a quello che si mormorava, non sarebbe stato in grado di disputare un Gran Premio almeno fino a settembre inoltrato.
Scattai in cantina a prendere la migliore bottiglia che avevo. È il mio ringraziamento, dissi all’artigiano.
Il fax era arrivato a lui per un numero sbagliato dalla segreteria di Saillant.
Chiamai il giornale e in una scena alla Walther Matthau nel film “Prima pagina” mi misi a gridare: fermate le rotative!
Scoop da paura.
Il giorno dopo, mentre tutti scrivevano ancora che Schumi era a posto per Spa, io invece raccontavo che la gamba ancora non era guarita e che per un po’ accanto a Irvine sarebbe rimasto Salo.
La mattina della pubblicazione Claudio Berro, meraviglioso pierre del reparto corse, mi avvisa bruscamente: Todt è furibondo, le tue informazioni sono false, dirameremo una smentita ufficiale, peccato perché mi stai simpatico.
Anche tu mi stai simpatico, ribatto. Ma prima di smentire invitami a pranzo, c’è una cosa che devi vedere.
Ubbidì.
A tavola gli mostrai il fax di Saillant.
Berro diventò prima bianco e poi rosso.
Non diventarmi anche verde, mi raccomandai.
Fate un cazziatone alla segreteria di Saillant, aggiunsi. E guardatevi bene dallo smentire.
Berro chiama Todt, io intanto ordino una vodka.
La sto scolando quando Berro fa: Todt ti ringrazia e Dio solo sa quanto gli costi. Non smentiremo niente, diremo che tu hai le tue fonti e che noi rispettiamo la libertà di stampa.
Yes, Sir.
A sera si fece vivo il manager di Irvine per parlare della faccenda.
Ma lo sai, mi disse, che a noi nessuno sta dicendo niente, Eddie sta lottando per il mondiale con la Rossa e non lo tengono al corrente di quando e se Michael potrà tornare a dargli una mano?
Che fantastica storia è la vita!
(3. Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/montezemolo-e-il-ciuffo-tergicristallo-5.6240

Spero tutti bene.
Questo periodo di ansia indicibile di sicuro sta costringendo tutti, esclusi gli imbecilli, a riflettere, banalmente, sul senso vero delle cose.
Passerà e forse ne usciremo migliori (tolti i soliti finti ignoti in realtà notissimi, eh).
Ringrazio chi sta prestando attenzione alle mie sciocchezze: non sono mai stato professionalmente così…sollecitato come adesso, fra giornali, tv, radio, web.
Darei tutto quello che ho per non averne dovuto prendere atto!
Andiamo avanti.
Con la ricostruzione del rocambolesco 1999 sono arrivato alla vigilia di Spa.
Schumi non è ancora pronto fisicamente. Dalla Germania è tutto un fiorire di teorie complottistiche. I tedeschi arrivano a raccontare che Michael non esclude di lasciare la Ferrari a fine stagione.
A questo punto Montezemolo si incazza furiosamente. Agita il ciuffo come un tergicristallo impazzito.
Ci vediamo per un caffè alla vigilia della mia partenza per le Ardenne. LCDM mi fa: “Michael con tutto questo casino mediatico non c’entra nulla. Ma ha attorno gente sbagliata. Dal 2000 cambierà il suo staff della comunicazione e ogni cosa che lo riguarda in termini pubblici sarà coordinata con Maranello. Lui è d’accordo”.
In effetti a fine stagione Schumi rivoluzionò la struttura del suo gruppo di riferimento extra Ferrari.
Sì, ma chiedo io, se torna in pista in questa stagione come si comporterà con Eddie?
L’avvocato è secco: “Quando rientra lo aiuta, lei non si preoccupi. Faccia buon viaggio”.
Il viaggio è buono, la gara decisamente meno.
Accade però una cosa bizzarra, l’ennesima di un campionato folle.
Avuta certezza che Schumi non sarebbe rientrato a breve e dunque l’unico teorico competitor per il titolo restava il non irresistibile amico mio Eddie Irvine, beh, in McLaren se la prendono comoda.
La Ferrari poi va proprio piano. La Ferrari guidata da Eddie e da Salo, intendo.
Così, Coulthard va allegramente in culo ad Hakkinen e lo batte. Il finlandese torna in testa al mondiale con un punto di vantaggio su Irvine ma è furioso. Pare abbia detto a Dennis: voi state scherzando col fuoco.
Il fuoco?
Monza!
Nuovo tentativo di Michael. Lunga sessione di prove private in Brianza. Il fedelissimo Nelson66 mi scorta al circuito. Lui è di Vimercate, un paesino splendido, e sa di macchine molto più di me.
A metà giornata, ottimismo in The Air. Un ingegnere Rosso mi fa: ce la fa, ce la fa, il Gran Premio d’Italia lo corre. Un meccanico mio amico aggiunge: ce la fa, siamo felici, peccato solo non vedere più nel garage la moglie di Salo.
Ah, ecco Salo.
Poiché in una serata plumbea arriva invece l’annuncio che Michael non sarà disponibile nemmeno per Monza, conviene affidarsi al sostituto.
Salo sul dritto guida alla boia d’un Giuda. Si è visto anche ad Hockenheim, dove avrebbe vinto senza l’ordine di scuderia.
Ma Eddie, dico, intanto Eddie che fa?
Sempre in mezzo a donzelle ricche di talenti innegabili. Irvine ufficializza il passaggio alla Jaguar, sarà la sua ultima Monza da ferrarista.
Forse dorme poco, il mio amico Din Don Dan. E quindi sonnecchia in pista. Il sabato è indietro in qualifica.
Salo no. Salo tiene giù il piede. Dritto per dritto, che Dio ti fulmini.
La domenica è il consueto delirio. C’è tanta di quella gente che vado all’autodromo con la bicicletta di Nelson66.
E mi rendo conto di una cosa. Gli eventi frenetici della estate 1999 hanno fatto salire la febbre Ferrari a livelli incredibili. Vogliono tutti sapere da me le ultime su Eddie.
Dorme, rispondo dopo le qualifiche. Dorme e sogna Schumi, l’unico che forse potrebbe fargli vincere il mondiale.
La gara.
Hakkinen ce l’ha in pugno ma firma un autogol clamoroso. Fuori pista, piange amaramente.
Eh sì, stanno davvero scherzando col fuoco, quelli della McLaren. Addirittura il Gran Premio lo vince Frentzen con la Jordan.
Un manicomio.
E la Ferrari?
Din Don Dan deve avere esagerato con i party a sfondo erotico (una volta, durante un briefing tecnico, al culmine della noia Eddie lanciò a Schumacher una rivista porno dicendogli: guarda un po’ se lì dentro c’è la soluzione per i guai della macchina) e avendo esagerato va quasi in retromarcia.
Eddie è sesto, con Salo terzo. Eddie si aspetta che Todt fermi un’altra volta il finlandese, per permettergli di arrivare almeno quinto, visto che Hakkinen è fuori.
Ma come si fa? Tra Salo e Irvine c’erano due macchine. La Ferrari avrebbe perso punti per il mondiale costruttori (eseguendo l’operazione ne avrebbe conquistati 3 invece di 5). Eccetera eccetera.
Niente, non si fa.
Sono passati ventuno anni e Eddie continua a sostenere che Todt quello doveva fare, metterlo quinto e basta.
Io continuo a pensare non abbia ragione.
Comunque, quella domenica sera a Monza Irvine raggiunge Hakkinen in vetta al mondiale.
Sessanta pari.
Tre gare ancora.
Ring. Malesia. Giappone.
Schumi sullo sfondo.
Esco dal circuito inforcando la bicicletta di Nelson66.
Foro all’altezza dell’uscita del Golf Club.
Non ho la gomma di ricambio.
Scoprirò presto di non essere l’unico a non avercela.
(4. Continua)

 

 

Nurburgring

  Mostra Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/irvine-e-il-mistero-della-ruota-scomparsa-5.6243

Spero tutti bene.
Vado avanti con la narrazione dei picareschi eventi del mondiale 1999.
Ringraziando sempre chi si sofferma su queste righe, righe che sono il frutto di passione e memoria. Naturalmente tutti i fatti qui raccontati vennero da me pubblicati in presa diretta, in quell’anno folle, sulle colonne del Resto del Carlino, del Giorno e della Nazione. In questa sede aggiungo il senno di poi, trattandosi di una ricostruzione storica.
Allora, la gomma misteriosamente scomparsa al Ring!
Parto dalla coda.
Il lunedì dopo il pazzesco Gran Premio d’Europa, il prode Ross Brawn andò a fare il pieno dal benzinaio che avevamo in comune, a Sassuolo.
Il benzinaio si chiama Pancani ed è un mito local-popolare. Tifosissimo della Ferrari, tratta allo stesso modo Vip e perfetti sconosciuti. Un grande.
Il lunedì post Ring arriva dunque Ross alla pompa. Pancani, ancora furibondo per gli eventi della domenica, chiede gentilmente a Brawn spiegazioni sull’accaduto.
Il MangiaBanane, con aria contrita, racconta che il caos è stato generato dal fatto che proprio davanti a Irvine si era fermato a sostituire pneumatici il suo compagno Salo. L’incertezza meteo, tra acqua che andava e veniva, aveva innescato il patatrac. E la sparizione di una ruota di Eddie.
Pancani il benzinaio ascolta compito la descrizione dei fatti e quindi fulmina Ross con una raffica alzo zero: scusi, sta per caso cercando di dirmi che Salo è rientrato in pista su cinque ruote?…
Da quel giorno, Brawn non andò mai più a fare benzina da Pancani.
Ora faccio un passo indietro.
Alla vigilia della trasferta al Nurburgring, avevo scoperto (e l’avevo scritto) che Irvine aveva disputato le gare di Spa e Monza con un telaio “logoro”. Cioè la sua macchina non era strutturalmente in condizioni ottimali.
La Ferrari ammise la cosa, pur ridimensionandone il significato. Comunque, Eddie ebbe un telaio nuovo.
Debbo dire che l’atmosfera era pregna di cattivi pensieri. Io mi sforzavo di restare lucido. Secondo me, al netto delle speculazioni e anche degli errori, una cosa tagliava la testa al toro e al topo.
Se i vertici Ferrari non avessero voluto vincere il mondiale piloti (dopo vent’anni!) con Irvine, futuro driver Jaguar, beh, ad Hockenheim avrebbero lasciato trionfare Salo, no?
E la penso ancora così.
Poi, che all’interno della Scuderia fortissimo fosse il rimpianto di Schumi, ecco, questo era un altro discorso.
Ma venne l’episodio della ruota misteriosamente scomparsa e a quel punto il vortice dei sospetti ingoiò tutto e tutti.
Non so se siete mai stati al Nurburgring.
È un posto che adoro e non solo perché respiri la storia, inali la leggenda. Quando arrivi ad Adenau, sei come sommerso da uno tsunami di ricordi.
I tedeschi per molte cose non sono simpatici. Ma amano l’automobilismo come noi. Sono latini, nella loro passione per le corse.
Il Ring, per quanto rimpicciolito dopo il dramma di Lauda del 1976, ha un solo difetto.
Il cielo.
Non ci si capisce mai un ca**o.
Arrivavo la mattina in maglietta perché faceva un gran caldo e tre ore dopo battevo i denti perché la temperatura si era abbassata e veniva giù acqua a catinelle.
Allora io mi rifugiavo nel bar della sala stampa e mi riscaldavo azzannando salsiccine crude che erano la fine del mondo. Pessime per la mia salute, ottime per il palato.
Ma insomma.
Venne la domenica della gara è abbastanza presto fu chiaro che la variabile meteo avrebbe trasformato il Gran Premio in un terno al lotto.
Motivo in più per tenere altissima la concentrazione.
Al muretto Ferrari non ci riuscirono.
In un delirio di ordini e contrordini, metto le gomme da bagnato no quelle da asciutto, con Salo involontariamente tra i piedi, in effetti una ruota di Eddie andò perduta.
Sono passati più di vent’anni. Io non sono Dumas anche se a scrivere sono bravino e insomma dopo vent’anni trovo ancora gente che educatamente mi chiede: ma fecero apposta, per frenare Irvine e un sogno iridato che forse era soltanto suo?
No.
Non fecero apposta.
E debbo dire che nemmeno Eddie lo ha mai pensato. Perché lui conosceva, come me, le persone che fisicamente si occupavano del cambio gomme. Ci lavorava assieme da anni. Era gente che gli voleva bene. È inimmaginabile che quei meccanici si siano messi d’accordo per pugnalarlo alla schiena.
Non ci credo.
Non fu un delitto.
Fu un errore.
Il che è peggio, intendiamoci. Perché la assenza di dolo certifica l’inadeguatezza. Ti stai giocando un mondiale che non vinci da vent’anni e fai una cappella del genere?!?
Forse Salo era uscito su cinque ruote?!?
Mi restano da aggiungere un paio di cose.
La prima.
Al Ring Eddie non guidò bene, tanto che subì la rimonta di Hakkinen, che aveva avuto un sacco di problemi. Comunque è vero, cronometro alla mano, che senza il tempo perduto a caccia della ruota perduta Irvine sarebbe uscito dal Gp di Europa in vantaggio sul finnico in classifica, invece la domenica sera la classifica vedeva Mika avanti di due punti, 62 a 60.
La seconda.
A causa del giallo pneumatico, passò praticamente inosservata la stupefacente vittoria di Herbert con la Stewart. L’ultima per entrambi, pilota e team. L’unica per il vecchio Jackie come costruttore, visto che aveva appena venduto la scuderia alla Jaguar.
Calo’ la notte. Dormivo non so più dove, in un albergo di Crante Cermania.
Squillò il telefono.
La voce la conoscevo benissimo.
Dopo questo disastro, mi disse la voce, Schumi deve assolutamente tornare in pista in Malesia per dare una mano a Irvine, non possiamo accettare i sospetti. Michael farà’ un test al Mugello nei prossimi giorni. Stay tuned.
Ormai la realtà aveva superato la fantasia.
(5.continua)

 

 

ritorno di Schumacher

  Mostra Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/quando-corinna-disse-si-5.6246

Spero tutti bene.

Procedo nella ricostruzione del l’affascinante e meraviglioso 1999, sicuramente il mondiale di Formula Uno più controverso che a me sia capitato di vivere in presa diretta.

Avevo pensato che dopo le turbolenze di giugno (Schumi a muro in Canada), di luglio (il dramma di Michael a Silverstone), di agosto (la doppietta di Irvine fra Austria e Germania) e di settembre (il pianto di Hakkinen a Monza, la ruota di Eddie misteriosamente scomparsa al Ring), ecco, avevo pensato che ottobre avrebbe portato la quiete.

Tanto, sul fatto che Mika con la McLaren fosse superiore a Irvine sulla Rossa, via, non c’erano dubbi.

Nemmeno per me.

Facciamo che immaginando la quiete mi illudevo. Ha sempre fatto parte della mia identità una discreta dose di ingenuità.

Dunque, la sparizione della ruota del Ring genero’ la riapparizione di Schumi.

Falliti i tentativi estivi di recupero lampo, ci eravamo adattati all’idea che Michael sarebbe tornato alle gare soltanto nel 2000.

Come suggerivano la logica e il dottor Saillant. Solo che.

Solo che era sparita una ruota e insomma il delirio mediatico aveva inesorabilmente trascinato Todt e l’intera Ferrari sul banco degli imputati.

Serviva un colpo d’ala. Non dimenticate mai (mai!) che la Ferrari vende emozioni. E per promuovere le emozioni ti serve una immagine positiva. Non facendo pubblicità per scelta originale e azzeccatissima del Vecchio, la Ferrari non può permettersi sospetti. Può permettersi le sconfitte in pista, perché perdere fa parte della vita e quindi anche delle corse (questa cosa gli imbecilli non la capiranno mai: poteva sopravvivere il mito a 21 anni di digiuno iridato e oggi di nuovo siamo già a 13, se tutto dipendesse in esclusiva dai risultati?).

Torniamo a bomba.

Dopo il Ruota-gate, viene annunciato che Schumi affronterà un nuovo test al Mugello. Stavolta la sala stampa viene aperta, quindi non posso portare con me il co fondatore del Clog, il prode Otelma. Prometto di aggiornarlo via telefono sull’andamento delle prove.

Il clima di attesa è facilmente intuibile. Mancano 2 Gran Premi al termine della stagione. Hakkinen ha due punti appena di vantaggio su Irvine. E la Ferrari può ancora vincere il mondiale costruttori.

Scrivo spesso, con buona pace dei babbei anonimi che pretendono di insegnare a me mestiere e Formula Uno, scrivo spesso, sì, che o certe cose le hai vissute di persona oppure stai zitto e ascolti chi c’era.

Quel giorno al Mugello, tutto stava andando benissimo. Io guardavo fuori dalla vetrata e prendevo persino i tempi sul giro.

Michael girava e girava. Andava forte come sempre. A occhio, nessuna indicazione negativa.

Non avevo dubbi: a sera, in una già convocata conferenza stampa, Michael avrebbe annunciato il suo rientro in Malesia.

Solo una cosa mi lasciava perplesso. L’atteggiamento dei colleghi tedeschi presenti sul posto. Non erano per niente eccitati. Non credevano minimamente al lieto fine che io prospettavo.

Dovevano sapere qualcosa che io ignoravo.

Venne la sera. Luci accese in sala stampa. Michael si fa attendere un poco. Ma si presenterà. È sempre stato molto professionale. Freddo, ma corretto. Venne a parlarci anche a Jerez, in un fottuto dopo gara del 1997 (anche il 1997 dovrei raccontare in dettaglio, non fu meno eccitante).

Eccolo.

Adesso dice che va in Malesia, penso. E a parte i tedeschi suppongo che lo stiamo pensando tutti.

“Mi dispiace, non sono ancora fisicamente pronto. Ci ho provato ma ho capito che non sono in grado di correre a Sepang e a Suzuka. Ora torno a casa per preparare il 2000. Auguri a Irvine, a Salo e alla Ferrari, che resta la mia famiglia”.

Gesù, Giuseppe e Maria!

Ha detto proprio così. I telefonini impazziscono. La notizia rimbalza nei Tg della sera. Dilaga lo scoramento tra i ferraristi.

Colpo basso. Bassissimo.

Finisco di lavorare per il giornale alle dieci di sera. Debbo rifare l’Appennino in senso inverso è ancora non c’era la variante di valico.

Ma che ca**o sarà successo?!?

Sembrava tutto a posto. Guidava da Dio come sempre. Tanti chilometri. Un test perfetto, almeno in apparenza.

Non fila. Non funziona. C’è qualcosa che mi sfugge.

Ora, adesso scomoderò una leggenda metropolitana alla quale può essere bello credere, perché talvolta il verosimile è più credibile del vero, pensa te (figuriamoci in folle era da virus).

La leggenda va così.

All’indomani del gran rifiuto di Schumi, un costernato Montezemolo telefona al tedesco. Trova il cellulare spento. Allora chiama sul fisso. Risponde la piccola Gina Maria.

No, papà non è in casa, sta giocando a calcetto con gli amici in giardino.

La voce innocente di una bimbetta di nemmeno tre anni di età avrebbe innescato la clamorosa inversione a U.

Sia come sia, l’inversione a U fu repentina, velocissima, straniante.

Schumi si scoprì guarito a tempo di record. Sarebbe partito per la Malesia con la squadra.

Per dare la lieta novella, fu allestito un incontro con i giornalisti all’interno del circuito di Fiorano. Michael ed Eddie, elegantissimi, si presentarono assieme a stampa e tv.

Sorridevano. Ma, a pelle, io intuivo che uno dei due era molto contento.

Solo uno dei due.

Ps. Molti anni dopo, Montezemolo mi disse che la storia della bambina al telefono era bella ma inventata. Le cose invece andarono così, nella avvocatesca versione. Schumi al Mugello non aveva accusato difficoltà, ma ormai mentalmente si era già focalizzato sul 2000 e non intendeva prendere rischi inutili. Ma il presidente gli disse: noi ti dobbiamo tanto, ma anche tu ci devi qualcosa, dopo Jerez97 non abbiamo dato credito a chi ti accusava di ogni nefandezza. È un momento delicato, fai quello che è giusto per la Ferrari, non per me o per Todt o per Irvine.

Michael chiese di poterne parlare con Corinna. Le aveva già promesso che fino a marzo 2000 non ci sarebbe stata, per lei, l’ansia di nuovi Gran Premi.

Schumi richiamò Montezemolo dopo cinque minuti. Mia moglie capisce ed è d’accordo. Domani annunceremo che vado in Malesia. Per la Ferrari.

Stava per arrivare un monsone, a Sepang.

(Continua)

 

 

Sepang

  Nascondi Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/schumi-e-quello-che-i-tedeschi-non-capivano-5.6248

Spero tutti bene.

Ecco la nuova puntata del mio viaggio tra i flutti della memoria.

Mondiale Formula Uno 1999.

Dopo una ruota misteriosamente scomparsa al Nurburgring e un viluppo di vicende degne del commissario Maigret, non a caso connazionale di Jean Todt, la classifica del campionato, a due gare dall’epilogo, vedeva Mika Hakkinen, detentore del titolo con la sua McLaren, in vantaggio di due punti su Eddie Irvine.

E Michael Schumacher aveva finalmente accettato di tornare in pista.

In Malesia.

Andavamo a Sepang per la prima volta.

Fatalmente e banalmente, a me veniva in mente Salgari con il suo Sandokan.

Il volo da Amsterdam a Kuala Lumpur dura all’incirca quattordici ore.

Furono istruttive.

Infatti per puro caso mi ritrovai seduto accanto ad un collega tedesco che lavorava per Willi Weber, il manager di Schumi.

Questo collega combatteva lo stress da volo intercontinentale in una maniera molto efficace.

Un whisky dopo l’altro.

Al terzo giro, io iniziavo ad avvertire un vago torpore. L’alcol fa male, d’accordo, ma talvolta scorre giù che è un piacere.

Insomma, ad un certo punto Herr Jack Daniels, chiamiamolo così, attacca un discorso che mi garba poco.

Voi italiani, mi dice, vi riempite sempre la bocca con la Ferrari. Ferrari, Ferrari, Ferrari! E invece non capite che siete prigionieri del passato. Non vi rendete conto che Michael i suoi due mondiali li ha vinti con la Benetton e se nel 1996 fosse passato alla Williams o alla McLaren adesso avrebbe già battuto il record dei cinque titoli di Fangio. Per di più, ora pretendete che faccia il gregario di un puttaniere irlandese. No, voi italiani proprio non capite.

Di colpo rammentai il titolo di un album di Adriano Celentano.

La pubblica ottusità, si chiamava.

Senti, caro Herr Jack Daniels. Senti un po’ qua, gli risposi.

Siete voi tedeschi a non capire.

La grandezza di Schumi è fuori discussione. Ed è anche vero che dal 1996 in poi, con un’altra macchina, avrebbe conquistato più di un mondiale.

Ma qui sta il punto, Herr Jack Daniels. Io sono convinto che Schumi, al di là di tutti i soldi che meritatamente prende, si sia reso conto che non tutti i successi sono uguali. Se ce la fa con la Rossa, entra nella leggenda. Un campione vive di stimoli, non di statistiche. È la capacità di pensare in grande a rendere unici.

Credo, per colpa del whisky, di avere citato anche Dante, Leonardo e Gianni Rivera, in un delirio ad alta quota.

Non lo convinsi. Infatti ordinò un altro giro.

In Malesia, non c’ero mai stato. L’umidità era spaventosa. Due passi e la camicia ti si incollava alla pelle.

In compenso il circuito era splendido, ai lati di una superstrada. Mi accompagnava ogni giorno un taxista gentilissimo. Gli regalai un cappellino della Ferrari. Tutto contento, la mattina lui mi accoglieva gridando, in italiano: “McLaren m***a”.

Vabbè, non esageriamo.

Al circuito, tutti gli occhi cercavano Schumi. Era inevitabile. Rivederlo lì, in tuta Rossa, allargava il cuore.

Poi, il venerdì mattina fra le due sessioni di prove libere, se non rammento male, avvenne una cosa senza precedenti. E senza repliche.

Dal 1991 fino al 2012, da Spa ad Interlagos, Corinna è sempre stata una presenza muta accanto all’uomo della sua vita.

Muta pubblicamente, intendo. Non rilasciava interviste. Non concedeva battute. Era educatissima, non si nascondeva.

Ma per i media semplicemente non esisteva.

Eppure, quella era una circostanza speciale. Suo marito tornava a correre dopo un drammatico incidente, un episodio che aveva fatto temere il peggio.

E lei aveva qualcosa da dire.

Ci sedemmo sotto il tendone che ospitava la gente Ferrari. Io e altri colleghi. Corinna era tedesca, ma una tedesca che capiva.

Disse che dopo Silverstone aveva chiesto a Michael di piantarla con le corse. Gli aveva raccontato di una angoscia che saliva a livelli talvolta difficili da controllare.

Ma poi, aggiunse, si era fermata. Si era fermata perché si rendeva conto che il suo compagno non riusciva ad immaginarsi senza un casco, un volante, una monoposto. E il mutuo rispetto imponeva di non varcare la soglia.

Lui è qui, io sono qui, concluse.

Dove va lui, vado anche io. E viceversa.

Ho ripensato spesso a quella conversazione, che in realtà fu sostanzialmente un monologo.

Ho compreso qualcosa (solo qualcosa, eh!) dell’uomo Schumi più da quelle parole che da centinaia e centinaia di interviste.

Non avrei mai più sentito la voce di Corinna. Non rivolta a me, ai giornalisti, al pubblico.

E anche del pilota Schumacher, fino a quel week end malese, sapevo meno di quanto credessi.

Infatti, stavo per assistere a qualcosa che mai avevo visto prima.

E che mai avrei rivisto poi.

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/quella-volta-a-sepang-ho-visto-mark-knopfler-5.6251

Spero tutti bene.

Nella mia ricostruzione del romanzesco 1999 della Formula Uno, sono arrivato alla Malesia.

Venerdì mattina.

Confesso: io non mai stato un grande fan delle prove del venerdì. Avevo l’abitudine di prendermela comodo. Di solito, arrivavo sul circuito che le macchine già giravano da un pezzo.

Quel venerdì lì, in pratica ho aperto io l’autodromo!

Era troppo importante.

Infatti incrocio Claudio Berro, il pierre del reparto corse, e lui mi guarda stupito.

Deve essere colpa del jet lag e del fuso orario, mi fa. Come mai sei già qua?

E ride.

Ora, una cosa del genere non era mai accaduta. C’erano due piloti, Hakkinen e Irvine, che si giocavano il titolo.

Non se li filava nessuno.

Gli occhi di tutti erano puntati su Michael Schumacher. Che tornava a guidare in un contesto da Gran Premio più o meno a tre mesi dal botto di Silverstone.

I piloti reduci da infortunio hanno sempre la voglia di ricominciare. Ma non sempre sono subito perfetti.

Lauda, che pure era Lauda, dopo il rogo del Ring rientrò in pista nel giro di quaranta giorni. Ma non era al top, non poteva esserlo. Non subito. Recuperò il meglio della sua dimensione di guida nel 1977.

Schumi, chissà.

Era tale la frenesia che per anticipare un giudizio mi cercai un angolo del paddock da dove era possibile, ad occhio nudo, scorgere un brandello del tracciato.

E fu allora che lo vidi. E credetti.

Michael era tornato!

Il suo venerdì fu come l’assolo di chitarra di Don Felder sul finale di Hotel California.

No, dico. Suona tu così.

Schumi volava e nel box Rosso era come se si fosse dissolto un incubo.

Solo che.

Solo che, alla fine di quel venerdì, nella certezza di avere ritrovato il fuoriclasse, tra un monsone e l’altro serpeggiava la biscia del sospetto.

Sì, ma poi?

Come si metteranno le cose, in gara? Schumi aiuterà Irvine? E come potrà aiutarlo, se il sabato in qualifica Eddie restasse troppo indietro?

Din Don Dan!

Per fortuna il mio amico irlandese era bello sveglio. Il venerdì sera ci fu una riunione tra lui, Michael, Todt, Brawn e Baldisserri, che era il giovane ingegnere di pista di Eddie.

Din Don Dan!

La Ferrari a Sepang andava molto bene. Era più competitiva della McLaren. Hakkinen il sabato mattina aveva un’aria tetra.

Eddie, devi metterla in prima fila, gli aveva detto Baldisserri. La pole la fa Michael, ma se tu non la metti in prima fila siamo fottuti.

Irvine il sabato mattina prese in disparte il suo ingegnere e gli disse: stai tranquillo, ieri sera sono andato a letto presto e per quanto ti possa sembrare strano ci sono andato da solo, a letto.

Din Don Dan.

L’ora delle qualifiche fu un tripudio Rosso. Davvero Schumi era tornato più forte di prima. La sua dimostrazione di superiorità fu schiacciante.

Distacco ciclistico sui concorrenti.

Irvine secondo.

McLaren dietro.

Andai quasi a sbattere contro due ingegneri di Hakkinen, nel paddock. Erano terrei.

Le domande della vigilia si concentrarono esclusivamente sull’ipotetico scenario della domenica.

Come si sarebbe comportato Michael? Lui rispondeva: aspettate e vedrete.

Todt era il solito Pinguino inferocito.

Todt era sempre incazzato. Come diceva l’allenatore di Rocky Balboa, mangiava saette ed evacuava fulmini.

Comunque, chiesi anche a lui.

Replica: Michael sa perfettamente cosa fare. Sottinteso: si tolga immediatamente dai co****ni.

Ah, la bella vita dell’inviato.

Domenica.

La gara.

Meglio.

L’assolo di Mark Knopfler sul finale di Sultans of swing.

Io avevo visto i Dire Straits dal vivo nel 1981 a Bologna.

Rividi Mark Knopfler a Sepang nel 1999.

Si era travestito da Michael Schumacher.

Non sto a farla tanto lunga.

Come si disse poi, il tedesco aveva guidato due macchine.

La sua. E quella di Irvine.

Ho sempre pensato che se quel giorno Schumi avesse pensato solo a se stesso, avrebbe doppiato tutti.

E ho sempre pensato alla bizzarra ironia del destino.

Michael Schumacher non ha vinto la più bella gara della sua carriera, nel giorno del rientro alle competizioni dopo un terribile infortunio, perché ha accettato di lasciarla al suo compagno di squadra.

In Malesia, Schumi fece il centravanti e fece lo stopper. Accelerava e rallentava secondo le esigenze della Scuderia.

Grandioso, come Springsteen nel finale dal vivo di The River, con l’armonica in bocca.

Finale?

Aspetta un attimo.

Dunque, Irvine ha vinto il Gran Premio della Malesia, Hakkinen è arrivato terzo e dunque Eddie e la Ferrari passano al comando dei due mondiali.

Debbo scrivere otto (8) pagine di giornale. In Italia sono tutti impazziti. Non ho molto tempo, alla mezzanotte locale ho il volo per Amsterdam e il taxista con il cappellino mi aspetta per le nove fuori dal paddock.

Ho quasi finito quando entra trafelato in sala stampa un collega inglese.

Non ride.

Ghigna.

Ti hanno detto di Jo Bauer?

Chi è, uno che produce aspirine?

No, è il tizio della Fia che controlla la regolarità tecnica delle macchine.

Embe’?

Dice che le due Ferrari sono irregolari. Irvine e Schumi saranno squalificati. Il mondiale è finito. In McLaren stanno già brindando.

Mi affaccio sul terrazzo che da’ sul paddock.

È vero, stanno brindando.

Dio stramaledica gli inglesi.

Debbo anche riscrivere otto pagine di giornale.

Soprattutto, debbo spiegare ai miei quattro lettori il significato di una parola.

Deflettore.

Ma posso essere arrivato fin qui e dopo aver visto un numero sensazionale di un pilota formidabile, ecco, possa essere arrivato fin qui per occuparmi di quella cosa, come accidente si chiama, ah, sì…

Deflettore.

(Continua)

 

 

processo di Parigi

  Mostra Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/e-todt-diede-le-dimissioni-per-un-deflettore-5.6254

Spero tutti bene.

Dov’ero arrivato, con la ricostruzione del mondiale 1999 di Formula Uno.

Ah, sì.

La squalifica delle Rosse di Irvine e Schumi per un fottuto deflettore.

E dunque, avendo Jo Bauer scoperto l’infrazione, il campionato era finito.

Matematicamente.

Titoli piloti a Mika Hakkinen, che se lo meritava pure.

Titolo costruttori alla McLaren, che se lo meritava meno, non foss’altro per essermi stata sempre discretamente sui cocones, con rispetto parlando.

Nella enorme sala stampa di Sepang ero stato costretto a riscrivere un giornale intero, in fretta e furia.

Nell’ansia di prendere un aereo alla mezzanotte locale, mi dispiaceva anche il fatto che lo scandalo da squalifica finisse con il cancellare la grandiosa prestazione di Michael.

Era stato sublime nell’interpretazione del fuoriclasse che si fa gregario. Era una storia romanzesca, di quelle che piacciono a me.

E invece adesso si parlava solo del deflettore, fanculo il deflettore.

Stavo già all’aeroporto, destinazione Amsterdam, quando la Ferrari annunciò il ricorso.

Nel tumultuoso dopo gara, Ross Brawn aveva spiegato che l’aggeggio, ecco, dai, l’accidente, quella roba lì, il deflettore, in realtà era regolare.

Famo a fidarse, dicono a Roma.

In volo non chiusi occhio.

Troppo irritato.

Colazione nella lounge di Amsterdam. In Europa era primo mattino.

Il bacon era buonissimo.

Ma io ero tremendamente incazzato.

Il deflettore!

Ma deflettimi ‘sta min**ia.

Trilla il cellulare.

Claudio Berro, capo della comunicazione reparto corse Ferrari. Le vicende pirotecniche della stagione ci avevano praticamente resi fratelli.

Mi dice: reclamo urgente.

Va bene, rispondo.

Aggiunge: non andare a casa quando sbarchi a Bologna, nel primo pomeriggio Montezemolo incontra i giornalisti in pista a Fiorano.

Ci sarò, prometto.

Ma il deflettore?

Lo hanno misurato male, ribatte Berro. Vinceremo in appello.

E vinceremo in appello, come no.

Primo pomeriggio, Fiorano.

Pieno di gente, cronisti, cavi tv. Un delirio. L’ennesimo del 1999. Ma che c’entri qualcosa, con tutto questo casino, la fine del secolo e del millennio?

LCDM annuncia che Todt ha presentato le sue dimissioni per lo scandalo deflettore. Ma lui, azionando furiosamente il ciuffo come un tergicristallo, le ha respinte.

Montezemolo fa uno straordinario numero in stile “Un giorno in pretura”. Mi fa venire in mente Vittorio De Sica avvocato che difende Gina Lollobrigida, la maggiorata.

Qui si attenta all’onore della Ferrari! Qui si mette in discussione l’integrità del Pinguino, che sarebbe poi Todt! Qui colpevolmente si azzera la sublime testimonianza di attaccamento alla causa da parte di Schumi! Qui si mortifica la tenacia di Irvine!

Una arringa memorabile. Io sono notoriamente un cuore di pietra, ma giuro che mi commuovo. L’onore della patria! La nobiltà dei cuori! L’Italia di Dante, Raffaello, Lucio Battisti e Gigi Riva! Il Colosseo! Venezia! La Torre di Pisa!

E la materia del contendere?

Il deflettore di sta min**ia?

Reclamo, vostro onore.

Procedura d’urgenza.

Tribunale Fia già convocato per venerdì a Parigi.

Giustamente Max Mosley, tra un festino e un party, ha decretato che non si può andare a Suzuka con il verdetto della Malesia sub judice.

Partiremo per Suzuka, ultima tappa del mondiale più pazzo di sempre, conoscendo l’esatta situazione di classifica.

Facciamo che Parigi è sulla strada.

Intanto apprendo su quali basi la Ferrari imposterà il ricorso.

In primis, vizio di forma.

I deflettori sono stati misurati in maniera non perfetta.

E la forma è sostanza, perbacco.

In secundis, non c’è alcun nesso tra la prestazione della macchina e il coso, cioè non ci sono vantaggi, non c’è trucco e non c’è inganno, funiculi funicula, iamme iamme, iamme ia.

Uscendo da Fiorano, incrocio Todt.

Stranamente, è meno abrasivo del solito. Sembra persino intenerito.

Un carciofino sott’odio.

Odio, mica olio.

Ci vediamo a Parigi, mi dice. Adesso passi a casa dalle sue bambine, non le vede da una settimana.

E infatti.

La figlia più grande non ha ancora nove anni. Quando la informo che sto per partire per Parigi, si offre volontaria. Così andiamo ad Eurodisney e la macchina la guida Schumacher.

I bambini sono irresistibili.

Non si può, rispondo. Schumacher deve aggiustare un deflettore.

Un defleche?

Vabbè, fa niente.

Sappi solo che tuo padre è in trincea e si prepara a conquistare la Ville Lumiere.

Ps. Che poi a pensarci oggi, 2020, uno un po’ si vergogna, al pensiero di come usavamo le parole. In trincea ci sta la bambina del racconto, medico di ospedale in questi giorni osceni.

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/il-marchese-del-grillo-era-ferrarista-5.6256

Spero tutti bene.

Continuo la narrazione delle rocambolesche vicende del mondiale F1 del 1999.

Il processo di Parigi.

Place de la Concorde.

La ghigliottina.

Luigi XVI.

Il mio regno per un deflettore.

Ah, la Ville Lumiere!

L’avevo scoperta ragazzo nel 1978.

Nozze d’argento dei miei genitori.

All’epoca Gilles guidava da poco la Ferrari e una sera al Trocadero mi ero imbattuto in una ragazzina canadese pazza per Villeneuve.

Aveva le lentiggini.

È strano come talvolta dal fiume della memoria affiorino detriti dolcissimi.

Ma adesso siamo nel 1999.

Udienza davanti a cinque giudici di appello della Fia.

Linea di difesa della Ferrari: noi siamo noi e voi non siete un ca**o.

Il Marchese del Grillo era uno dei nostri.

Parte lesa numero uno: la McLaren. Tesi: noi rappresentiamo i valori dello sport e della lealtà. Italiani mafia, pizza, mandolino e spaghetti.

Sempre simpatici, eh.

Parte lesa numero due: la Stewart.

Tu dimmi cosa c’entra un team che fra un mese manco ci sarà più, si chiamerà Jaguar e per giunta avrà al volante Eddie Irvine.

C’entra, ha risposto Jackie Stewart a Ciuffo, cioè Montezemolo, che gli aveva chiesto di chiamarsi fuori dal processo.

Ma io sono scozzese, aveva replicato Jackie. Con le squalifiche da deflettore, i miei piloti Herbert e Barrichello in Malesia finiscono sul podio e son soldi, amico mio.

Pecunia non olet, va mo la’.

È venerdi mattina. Sono arrivato a Parigi la sera prima. Sono suonato come una campana.

Business as usual.

I giudici sono di cinque nazionalità diverse.

Il Marchese del Grillo, pardon, la Ferrari, schiera un avvocato francese e un avvocato svizzero.

Certo che la Fia è un mondo a parte.

Processo rigidamente a porte chiuse.

Non vedi niente. Non ascolti niente. Non puoi guardare in faccia i legali. Niente.

Dunque, cosa diavolo ci faccio, qui?

Quasi quasi faccio una scappata al Louvre.

Frenata brusca di macchina italiana in zona ingressi sede Fia.

Da una botola collocata accanto ad una portiera dell’auto sbuca il Pinguino.

Jean Todt.

Nero come la pece.

Poi si materializzano Ross Brawn e Nigel Stepney. Portano una sacca.

Pare che dentro ci sia il deflettore.

Infine.

Infine ed è incredibile perché sono si’ e no le nove della mattina, ecco Irvine.

Montezemolo ha deciso che Eddie doveva assistere alle fasi iniziali del dibattimento. Giusto per ricordare ai signori giudici che alla fine della fiera qui poi parliamo di uomini, cioè va bene ‘sta min**ia di deflettore, ma la Formula Uno è una storia di uomini.

Saluto Eddie da lontano. Fa un cenno svagato con la mano.

Non ha dormito da solo, sono pronto a scommettere.

Parigi in autunno è bellissima. E poiché di sicuro per ore e ore non ci diranno niente, prendo una decisione.

Camminerò a piedi fino al Tunnel dell’Alma. È lontano, ma ho tempo. È il luogo in cui, nel 1997, ha perso la vita Lady Diana.

Sono strani gli intrecci della vita!

Nel 1993, avevo scritto un articolo raccontando la storia di una relazione tra la Principessa e un tecnico della Lotus. La vicenda aveva fatto scalpore ed essendoci di mezzo un team di Formula Uno mi avevano chiesto di occuparmene.

È il mio mestiere, talvolta sgradevole. Non sempre sono riuscito a rispettare la privacy altrui, anche se ho sempre cercato di starci attento. Ma ho sbagliato. Non solo con la Principessa.

Cammino e cammino e cammino. Sono di rientro a Place de la Concorde a metà pomeriggio.

La Fia doveva avere inventato il distanziamento sociale già ventuno anni fa.

Manco ci offrono un caffè.

Ma si sa qualcosa? Filtra qualcosa?

No. Zero.

Pare che alla fine delle audizioni il Pinguino si sia dileguato passando da un tombino.

Todt era molto accigliato.

Circolano voci clamorose, tra i cronisti.

Sembra che Ross Brawn abbia mulinato il deflettore a mo’ di clava sulle teste dei cinque giudici.

Si mormora che Irvine, in uno scatto d’ira, abbia detto a un membro della corte: si ricordi che io mi sono trombato pure sua figlia.

Pare che Ron Dennis abbia comprato una fotocopiatrice ma la userà solo nel 2007.

Sera.

Alle 18 un messo federale prova pena per noi e annuncia: ite missa est, la sentenza verrà resa nota domattina, i giudici si sono ritirati per deliberare.

E me li immagino i giudici in stile Forum di Canale 5, eccoli lì che pasteggiano a champagne e fra una aragosta e un po’ di pate’ d’oca esclamano: ah, però quel deflettore forse rientra nel margine di tolleranza, passami il foie gras, ecco, ma sarà vero che tua figlia se la spassava con quel matto di irlandese? Cameriere, un’altra bottiglia di champagne, sì, grazie.

Molto più modestamente, io stavo cenando in un bistrot su Rue de Rivoli.

Fu l’Armagnac finale ad esplodermi come un bengala tra le cellule neuronali residue.

Margine di tolleranza!

Come avevo fatto a non pensarci prima?!?

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/ultima-fermata-suzuka-1999-5.6259

Spero tutti bene.

Con la ricostruzione del mondiale 1999 di Formula Uno, sono arrivato al processo di Parigi per il misterioso caso del deflettore.

Imputato, alzatevi.

È sabato mattina e quello che si deve alzare sono io.

Nelle stesse ore, per cose infinitamente e tragicamente più serie, è attesa a Palermo la sentenza sul caso Andreotti.

Dal giornale mi informano che i telegiornali faranno una doppia diretta.

Il verdetto di Parigi.

Il verdetto di Palermo.

Provo istintivamente un poco di vergogna.

Io sono della generazione che aveva vent’anni quando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino incarnarono il senso di una speranza enorme.

Ho fatto il tifo per loro, mi sono indignato quando chi doveva aiutarli li ostacolava (eufemismo) e mi sono vergognato di essere italiano quando, insieme a uomini e donne delle scorte, sono stati ferocemente assassinati.

Ma mi sbagliavo, nel senso che Falcone e Borsellino mi avevano reso orgoglioso di essere italiano.

Va bene, mi dico. Il mio mondo, quello della informazione, segue le sue logiche.

E io sono qui a Parigi per una storia sghemba, un brandello di romanzo, una somma di rocambolesche circostanze. La Formula Uno è bella proprio perché non si riduce ad una mera esposizione di potenza tecnologica.

C’è l’uomo. L’uomo è passione. La passione talvolta genera intrighi.

Sto camminando lungo Rue de Rivoli. Marcio su Place de la Concorde.

Mi viene in mente Maccari e il suo slogan.

O Roma o Orte.

Cioè.

O ci hanno dato ragione e quindi con la Ferrari invaderemo Suzuka, la Roma imperiale dei Gran Premi, sventolando i nostri vessilli.

O ci hanno dato torto e allora ci fermeremo ad Orte a meditare su vent’anni di digiuno.

Ma bomba o non bomba siamo arrivati a Roma!

La sentenza riabilita la Ferrari.

Il risultato di Sepang viene ripristinato.

Primo Irvine.

Secondo Schumi.

Eddie torna in testa al mondiale piloti.

La Ferrari torna in testa al mondiale costruttori.

Lo scarno dispositivo della sentenza spiega che è stata accettata la teoria del Marchese del Grillo, nato a Maranello e ivi domiciliato in via Abetone Inferiore eccetera.

La misurazione del deflettore non è avvenuta in maniera conforme ai regolamenti e inoltre in un pertugio dei codici, in un anfratto delle norme, in un angolo degli statuti, ecco, sì, lì è stato scovato il Sacro Graal.

Il mitico concetto del margine di tolleranza per pezzi di monoposto particolarmente piccoli.

Non so perché ma l’esposizione del mitico concetto mi riporta alla memoria le case di tolleranza, di cui per ragioni anagrafiche ho solo sentito parlare.

E in effetti questa Formula Uno è un bel bordello.

In sei giorni, dalla domenica malese al sabato parigino, è cambiato tutto.

Tra la platea di noi giornalisti scoppia il caos. I colleghi inglesi sono furibondi.

E che palle! Ancora con questa storia di Italia uguale mafia! Come fai a spiegare a questi babbei abituati a mangiare il porridge (no, dico: il porridge!) che Falcone e Borsellino erano italiani?

Infatti, non ci provo neanche.

Si moltiplicano le reazioni al verdetto. Allora il web non aveva ancora la potenza di fuoco di oggi (e non so cosa sia meglio, eh), ma già si erano accorciate le distanze, il mondo si stava rimpicciolendo.

Da Londra arriva una dichiarazione di Ron Dennis.

Io a Parigi il capo della McLaren non l’ho visto ma notoriamente sono un tipo distratto. Mica per niente sono il Dottor Divago del giornalismo italiano.

Tu dammi la parola e io ti affabulero’ con una narrazione che mette insieme la fava e la rava.

Et voila, l’artiste!

Ma dicevo di Dennis.

D’oltre Manica, esterna la sua amarezza. Parla di sconfitta dello sport e di umiliazione per chi crede nei valori della lealtà.

Ma bravo.

Ma vieni un po’ qua, bello.

Forse che nel 1998 nel diluvio di Spa Coulthard era stato un modello di sportività quando doveva farsi doppiare (doppiare, già, non superare a parità di giri) dalla Rossa di Schumi?

Forse che nel 1997 a Jerez fu una testimonianza di lealtà la riunione del sabato sera pre Gran Premio tra gli ingegneri McLaren e gli ingegneri Williams, in modo da coordinare i pit stop della domenica a favore di Jacques Villeneuve e a danno di Michael Schumacher?

Sarà anche vero che la storia dipende da chi la scrive ma mica è detto che perderanno sempre gli stessi. E inoltre esistono ancora spiriti liberi che rivendicano il diritto di dire quello che pensano, dopo aver pensato a quello che dicono.

Siamo in pochi, soprattutto in era web. Ma esistiamo. E resistiamo.

Quindi ci vorrebbe un minimo di stile, invece di impancarsi a Catone il Censore, va mo la’.

Per quanto riguarda il Marchese del Grillo, io so io e voi nun siete e bla bla bla.

Grande soddisfazione, trionfo legale su tutta la linea.

Il Pinguino Todt festeggia nel sottosuolo di Gotham City.

Montezemolo delira a reti unificate.

Irvine è già a Tokyo. So dove passerà la serata ma qui siamo in fascia protetta e mi taccio.

Intanto Max Mosley, il numero uno della Fia, illustra il perché e il percome della sentenza e precisa che giovedì prossimo a Suzuka le verifiche pre Gp saranno rigorosissime.

In nessun caso, tuona, il mondiale sarà deciso a tavolino.

Impegno solenne del Conte Max.

C’è un altro aereo da prendere. Anzi, due.

Uno per l’Italia.

Uno per il Giappone.

Ultima fermata, Suzuka.

Cioè, come un glorioso team up a fumetti di Dylan Dog e Martin Mystere.

Ultima fermata, l’incubo.

Ps. Ah, dimenticavo. A Palermo, in primo grado, Giulio Andreotti venne assolto.

(continua)

 

 

Suzuka

  Mostra Spoiler

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/come-senna-e-prost-5.6261

Spero tutti bene.

Nella ricostruzione del pittoresco mondiale di Formula Uno datato 1999 sono arrivato allo sprint conclusivo.

Suzuka.

Avevo conosciuto quel posto magico dieci anni prima.

Millenoventottantanove.

Stava per venire giù il Muro di Berlino ma mica lo sapevamo.

La nostra Guerra Fredda, ai box, aveva i volti di Alain Prost e di Ayrton Senna.

Guerra che diventò caldissima proprio a Suzuka, con la collisione numero uno.

Alain e Ayrton erano arrivati a detestarsi, paradossalmente, perché si stimavano enormemente. Ma il trono era uno solo.

La Storia è piena di dualismi feroci dettati dalla consapevolezza che non esiste possibilità di convivenza al potere.

E non solo nello sport.

È stato detto e io sono d’accordo che l’Amore per il nemico è la cosa più nobile. In questa frase c’è tutto quello che ci serve. Ma siamo umani, siamo fragili, siamo deboli. E di guance da porgere ne abbiamo solo due (cit.).

Comunque è stato un grande onore poter raccontare di Senna e di Prost in presa diretta. Io non sono Omero, anche se mi stimo molto (prego cogliere il senso ironico della frase). Ma ho visto Ettore e Achille da vicino. E tanto mi basta.

Ora, Hakkinen e Irvine non erano Achille ed Ettore. E nemmeno Senna e Prost. Eppure, intorno a loro si era creata una situazione emotivamente pazzesca. Creando uno stato di tensione indicibile.

Dopo la sentenza di Parigi, Eddie aveva 4 punti di vantaggio sul finlandese. Ovviamente chiudere il Gran Premio del Giappone davanti a Mika gli avrebbe garantito il titolo. Così come un contemporaneo ritiro.

Al tempo stesso, al pilota della McLaren bastava vincere la corsa. Se Irvine si fosse piazzato secondo, con finale di classifica a pari punti, comunque il campione del mondo sarebbe diventato per maggior numero di successi, cinque contro quattro.

Nemmeno era il caso di perdersi in troppi calcoli. Come dicono gli americani?

Do it or die.

Arrivai a Suzuka il mercoledì precedente la gara. Un treno super veloce mi portò da Tokyo alla cittadina che avrebbe ospitato lo show down.

Il Giappone è un paese meraviglioso. Ha una sua cultura non paragonabile alla nostra, una cultura che meriterebbe di essere approfondita.

Io un po’ ci avevo provato l’anno precedente, nel 1998. Per ragioni di lavoro, in periodi diversi avevo trascorso più di un mese in quella terra. Le Olimpiadi invernali di Nagano. Il Gran Premio di Formula Uno, quello in cui Hakkinen si era laureato iridato per la prima volta. E infine il mondiale di volley, conquistato per la terza volta di seguito dalla fantastica nazionale azzurra di Giani e di Bracci.

I giapponesi sono gentilissimi per modi e nei tratti. Considerano però gli occidentali una razza inferiore. Non te lo diranno mai, ma per loro lo straniero è quasi un alieno.

In compenso, i giapponesi hanno una venerazione per le corse. Per i motori. Ne capiscono, ne sanno. E dunque non uno tra loro era disposto a paragonare il duello Hakkinen-Irvine alla disfida da samurai tra Senna e Prost.

Il giovedì mattina andai al circuito. La luce dell’Estremo Oriente, pallida e quasi filtrata da Dio, non è come la nostra. È meno intensa, ecco. O almeno a me così sembrava.

L’atmosfera nel paddock era elettrica. Gli strascichi della sentenza parigina si avvertivano ancora. Tra un party ed un festino, Max Mosley, il presidente della Fia, aveva impartito una severissima istruzione ai suoi ispettori.

Le verifiche del giovedì dovevano essere estremamente accurate. Non poteva ripetersi un deflettore-gate.

Credo sia stato Franco Battiato a scrivere un verso che più o meno fa: vagavo per i campi del Tennessee, come ci ero arrivato chissà.

E io vagavo tra pile di gomme e mi chiedevo chissà come sarebbe finita quella estenuante partita. Da mesi e mesi eravamo protagonisti di un sabba infernale.

Se a marzo, a Melbourne, mi avessero detto cosa ci aspettava, insomma, avrei riso in faccia al profeta.

Invece, eccoci qua.

Eccomi qua.

Incontro Irvine in borghese. È sempre molto gentile, ma capisco che è divorato dall’ansia.

Si rende conto che una occasione del genere non gli si ripresenterà. Una top model la trovi, se sei Irvine, tutte le sere.

Un titolo da campione del mondo di Formula Uno, eh, beh, no.

Eddie ha la faccia di chi ha appena ascoltato la canzone di Gianni Morandi.

Uno su mille ce la fa.

Invece Hakkinen è insolitamente rilassato. Mi dicono che Ron Dennis lo ha tranquillizzato. Coulthard non farà brutti scherzi, stavolta. E ci mancherebbe.

Sulla pista di Suzuka sta calando la sera. La Fia comunica che tutte le monoposto hanno superato le verifiche.

Per uscire dalla sala stampa e arrivare al parcheggio delle navette stampa, c’è un percorso obbligato.

Devi camminare in un tunnel che passa sotto il rettilineo di arrivo. Se ci passi mentre le macchine stanno girando, avverti una sensazione incredibile.

Ti sembri che quel rumore ti penetri nelle ossa.

È bellissimo.

Marcio nel tunnel. Mi rimbalzano nella memoria i versi di Omero.

Ettore.

Achille.

E all’improvviso un flash.

Accidenti, ma chi determinò l’esito della guerra di t***a?

Ulisse! L’astuto Ulisse. Il callido Ulisse.

E se Ulisse fosse nato a Kerpen?

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/schumi-alberto-sordi-e-il-cronista-manzoni-5.6264

Spero tutti bene.

Proseguo con la narrazione del fantasmagorico mondiale di Formula Uno datato 1999.

Alla fine delle prove libere del venerdì, inevitabilmente dominate da una tensione che quasi si toccava con la mano, ero stato raggiunto da una reminiscenza cinematografica.

Una scena tratta dal film “Tutti a casa”, un capolavoro del Novecento italiano in celluloide.

All’indomani dell’8 settembre 1943, una pattuglia di nazisti attacca una caserma di soldati italiani.

Uno sbigottito Alberto Sordi, militare lasciato senza ordini ne’ informazioni da superiori codardi e fedifraghi, si attacca disperato al telefono e grida: “Colonnello, è successa una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani!”.

Perché mi era venuto in mente Albertone?

I tedeschi che si alleano con gli americani?

Ah, semplice.

Dopo Sepang, dove era stato semplicemente fantastico per abnegazione e dedizione alla causa, beh, dopo Sepang si poteva chiedere a Schumi di concedere il bis?

Cioè di tornare ad indossare la livrea del maggiordomo?

Di sicuro gli aziendalisti in servizio permanente effettivo non avevano dubbi. Il loro ragionamento andava così: lo pagano, anzi, lo strapagano, per quanto di lusso è un dipendente, ergo ubbidisca e basta.

Ma anche no, supponevo io.

Un pilota è sì tecnicamente un dipendente e lo diceva sempre anche Enzo Ferrari. Ma poi il pilota nell’abitacolo ci sta da solo, non è un robot telecomandato.

Correre in Formula Uno significa, anche, rischiare la pelle.

Michael era andato vicino a giocarsela, la pelle, a Silverstone.

Si poteva pretendere che alzasse la soglia per fare un favore a Eddie Irvine?

E che favore!

Probabilmente i tedeschi non si sarebbero alleati con gli americani ma nemmeno avrebbero combattuto la battaglia della vita.

Tutto questo, Mika Hakkinen lo sapeva. Lo aveva capito. E io immaginavo, nel week end di Suzuka, che il finlandese si rendesse conto di essere padrone del destino suo.

Gli bastava vincere la gara. Cosa non impossibile per uno come lui. Hakkinen era un fierissimo competitor di Schumi. Non di rado lo aveva battuto.

Venne il sabato.

Le qualifiche.

Irvine era nervosissimo.

Comprensibilmente.

Manzoni, che non era un cronistello di Formula Uno, scrisse che il Principe di Conde’ dormi’ magnificamente alla vigilia della battaglia di Rocroi.

E beato lui.

Ma Eddie non era un Principe e non eravamo a Rocroi, ma a Suzuka. Dunque, Eddie non dormiva più e non c’entravano le femmine.

Che cosa prova un essere umano quando si accorge che il sogno di una vita gli si sta sgretolando sotto il naso, si sta dissolvendo inesorabilmente, si sta trasformando in una infinita fonte di rimpianto?

Me lo sono chiesto spesso, è una sensazione che chiunque di noi ha provato, almeno una volta.

Ecco, il sabato del Gran Premio del Giappone del 1999 Irvine era messo così.

Tiro’ anche una gran botta in pista, mentre Schumi andava a prendersi un’altra pole, la seconda consecutiva, con irrisoria facilità.

Secondo Hakkinen.

Dopo la conferenza ufficiale dei primi tre in griglia, ci fu l’incontro con la stampa dei drivers Ferrari.

Michael sprizzava gioia da tutti i pori.

Al tavolo della conferenza, io ero seduto accanto a Irvine.

Non riusciva a controllare il movimento della gamba destra sotto il tavolo.

La gamba era scossa da un fremito continuo.

Forse era una conseguenza dell’incidente di poco prima.

Forse era l’effetto cumulato di una stagione spaventosamente stressante.

Stava ancora parlando Schumi.

Eddie si avvicinò e mi disse sotto voce, indicando il tedesco: questo mondiale me lo può vincere solo lui, ma non lo farà, vedrai. E nemmeno avrà tutti i torti, eh.

Ci sono momenti, nella vita, in cui ti accorgi della tua fragilità e oggi, 2020, il destino ha voluto ce ne accorgessimo tragicamente tutti.

Come rimpiango il tempo in cui la mia preoccupazione riguardava un mondiale di F1!

(Continua)

 

https://www.quotidiano.net/blog/turrini/end-game-lepilogo-del-mondiale-1999-5.6266

Spero tutti bene.

Come cantava Riccardo Cocciante, era già tutto previsto.

Sarebbe bastato leggere tra le righe del sotto testo. Oppure decifrare i fondi del caffè, che pure in Giappone mica sanno fare troppo bene.

Domenica mattina, Suzuka. Era già tutto previsto, sì.

Un carissimo amico, molto importante nella storia della Ferrari, all’ora della colazione nel paddock mi prese in disparte.

Michael non correrà per vincere questo Gran Premio, mi spiega. Lo ha detto chiaramente a chi voleva ascoltarlo. Al massimo è pronto a cedere la posizione a Irvine se ciò fosse sufficiente a Eddie per conquistare il titolo. Ma non si dannera’ l’anima per battere Hakkinen. E se non mi credi tieni d’occhio quanto accadrà in partenza.

Appunto. Il video è lì da vedere, da oltre vent’anni.

Fu tradimento?

No. Anche perché non sta scritto da nessuna parte che la McLaren di Hakkinen, quella domenica, fosse inferiore alla Ferrari.

Fu giusto così?

Anche, se parliamo di sport. Nel senso che io ho sempre voluto bene ad Eddie e mi sarebbe piaciuto celebrarne la rocambolesca impresa.

Ma ammetto, al netto di tutto, che non era all’altezza di Mika.

Tant’è vero che quella domenica, pur finendo sul podio, l’irlandese venne quasi doppiato dal suo rivale nella corsa al titolo.

E un giro di differenza, in uno spareggio iridato, è un po’ troppo.

Fu una delusione, l’epilogo?

Fortissima, per me. Non sempre i sogni muoiono all’alba. Questo si era dissolto in extremis.

Rimpianti in salsa Rossa?

Beh, la ruota misteriosamente scomparsa al Ring, sicuro. Una brutta figura, ma io non ho mai creduto al dolo, al complotto.

Anche perché, come ho tentato di spiegare durante questo mio viaggio nella memoria, se ci fu cospirazione i congiurati sarebbero stati decisamente schizofrenici.

Non vuoi far vincere il mondiale al tuo pilota numero due e poi gli regali la Malesia e la Germania, otto punti in più secondo i criteri di assegnazione del tempo?!?

Non sta in piedi.

Infatti Irvine non si lamentò mai di oscure trame. Disse invece che in Francia era stato costretto a dare strada a Michael, che misteriosamente andava più piano. E continuò a lamentarsi per il mancato rallentamento di Salo a Monza.

Ma sono briciole.

Con il senno di poi, per quanto assurdo possa sembrare, dopo un caos tanto grande, il campionato si decise in Malesia. Quando nel finale un disperato Hakkinen riuscì a passare la Stewart di Herbert, complice un errore di quest’ultimo. Così Mika chiuse al terzo posto, a Sepang.

Fosse arrivato quarto, Eddie a Suzuka sarebbe partito da più cinque. E gli sarebbe bastato il secondo posto.

Ogni tanto mi chiedo se, in quel caso, Schumi avrebbe lasciato la piazza d’onore a Irvine, laureandolo campione.

È un gioco della mente. Un what if da fumetto dei super eroi. Un universo parallelo.

End game.

Ma non voglio sottrarmi alla domanda delle cento pistole.

Quanto furono dispiaciuti in Ferrari, per quel finale?

Onestamente, quasi zero.

È la verità storica e anche qui non c’è scandalo.

La squadra conquistò, proprio quella domenica, il mondiale costruttori.

Dopo 16 anni di digiuno.

Non voglio scomodare il Vecchio, che considerava il titolo per i team più importante di quello riservato ai piloti. Non sono mai stato d’accordo, ma la filosofia aziendale quella era e resta. Poi, certo, prendete il 2008: la Ferrari ha vinto il Costruttori, ma ci ricordiamo la beffa di Massa, giusto?

Il fatto era ed è che Irvine, non per sua colpa e nemmeno per suo demerito, fu l’uomo giusto nel posto sbagliato. O l’uomo sbagliato nel posto giusto, come volete.

Il resto venne di conseguenza e ognuno ha diritto alla opinione che vuole.

Fermo rimanendo che io c’ero. E so.

Infine.

Infine, la partecipazione di Schumi alla festa McLaren fu certo un pugno allo stomaco dei puristi.

Ma anche qui, bisogna chiarire.

Quando si chiude un mondiale, è tradizione organizzare grandi party, aperti a tutti.

È come la festa per la fine dell’anno scolastico.

Chi vuole va. E magari si sbronza.

In F1, almeno allora, le rivalità di pista non sfociavano necessariamente in astio permanente.

E Schumi un mondiale con la Ferrari, il primo di una lunga serie, lo aveva finalmente ottenuto.

Possiamo condannarlo per la sua euforia?

Eh, lo so.

Era dispiaciuto Michael per la sconfitta di Eddie?

Per niente.

Corse alla baionetta contro Hakkinen?

No.

Qualcuno avrebbe potuto imporglielo?

No.

Questa è la mia versione dei fatti. Ringrazio chi si è adattato alla lettura di questo lungo sproloquio.

Siete un bel gruppo, babbei e dementi a parte.

Stay safe.

(Fine)

 

 

Mi sono concentrato solo sulla Malesia.

Una delle più belle gare di Schumacher della sua carriera.

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

ferrari che sbaglia pure la pista dove correre domenica... fanno Australia perché Vietnam non esiste su f1 2019 ma loro forse non lo sanno 😂😂

Il tweet lo avrà scritto il cola...

 

Modificato da NeoN

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

Quanto furono dispiaciuti in Ferrari, per quel finale?

Onestamente, quasi zero.

Quasi zero perché uno c’era: Irvine.

1999, da non tifoso Ferrari, mi stava talmente sulle palle il crucco che avrei goduto come un cinghiale se il mondiale lo avesse vinto Eddie. 
Peccato che Salo mandò in confusione i meccanici di Irvine nel caotico gp d’Europa.

 

 

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
13 ore fa, NeoN ha scritto:
 

 

Il tweet lo avrà scritto il cola...

 

 

"Trovo insopportabile la tua mancanza di fede" (cit.). 

11 ore fa, Prostexi ha scritto:

Quanto furono dispiaciuti in Ferrari, per quel finale?

Onestamente, quasi zero.

 

 

 

L´uomo che di fatto ha girato le sorti della finale del PB 2019 in favore di @effe.

 

"Impossibile dimenticare" (cit.).:amore:

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
Il 4/4/2020 Alle 09:43, Asturias ha scritto:

 

"Trovo insopportabile la tua mancanza di fede" (cit.). 

 

L´uomo che di fatto ha girato le sorti della finale del PB 2019 in favore di @effe.

 

"Impossibile dimenticare" (cit.).:amore:

Forse la prima volta che la finale è stata decisa grazie ad un utente vero :asd:

  • Like 1

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
Il 3/4/2020 Alle 22:19, Prostexi ha scritto:

Quanto furono dispiaciuti in Ferrari, per quel finale?

Onestamente, quasi zero.

Quasi zero perché uno c’era: Irvine.

1999, da non tifoso Ferrari, mi stava talmente sulle palle il crucco che avrei goduto come un cinghiale se il mondiale lo avesse vinto Eddie. 
Peccato che Salo mandò in confusione i meccanici di Irvine nel caotico gp d’Europa.

 

Onestamente non ero tra quelli.

E' vero che Schumacher mi aveva scaldato il cuore di vecchio ferrarista e che quindi non fossi (non sono) obiettivo, ma col senno di poi, avere il nome Eddie Irvine nell'albo d'oro dei CdM F1 lo troverei davvero uno dei titoli meno meritati della storia. un insulto a quei campioni e fuoriclasse veri che non hanno potuto fregiarsi di questo titolo.

C'è ancora chi si indigna per il mondiale di Rosberg (padre o figlio è uguale) e stiamo qui a parlare di Irvine? 

Modificato da andycott
  • Like 1

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
4 ore fa, andycott ha scritto:

Onestamente non ero tra quelli.

E' vero che Schumacher mi aveva scaldato il cuore di vecchio ferrarista e che quindi non fossi (non sono) obiettivo, ma col senno di poi, avere il nome Eddie Irvine nell'albo d'oro dei CdM F1 lo troverei davvero uno dei titoli meno meritati della storia. un insulto a quei campioni e fuoriclasse veri che non hanno potuto fregiarsi di questo titolo.

C'è ancora chi si indigna per il mondiale di Rosberg (padre o figlio è uguale) e stiamo qui a parlare di Irvine? 

Esatto! Soprattutto trovo scandaloso che alcune gare fosse più lento di Salo..

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
5 minuti fa, Inferno ha scritto:

Esatto! Soprattutto trovo scandaloso che alcune gare fosse più lento di Salo..

 

Colpa anche che di un telaio difettoso. 

Anche il crucco alle volte era più lento di Barrichello.

Scandalo in Austria...e quella volta che Ruben restò stranamente senza benzina, con il crucco a muro, quando era in testa al gp di casa. Si sarebbe ritrovato davanti al compagno in classifica e, secondo la politica Ferrari, sarebbe dovuto essere sostenuto per il testo del campionato dal team e dal compagno.

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

Immagino anche che Rubens ci sarebbe rimasto a lungo davanti al compagno senza aiuti... :zizi:

  • Like 1

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
20 ore fa, Prostexi ha scritto:

 

Colpa anche che di un telaio difettoso. 

Anche il crucco alle volte era più lento di Barrichello.

Scandalo in Austria...e quella volta che Ruben restò stranamente senza benzina, con il crucco a muro, quando era in testa al gp di casa. Si sarebbe ritrovato davanti al compagno in classifica e, secondo la politica Ferrari, sarebbe dovuto essere sostenuto per il testo del campionato dal team e dal compagno.

il crucco era notoriamente più lento di barrichello :rotfl:

dai basta vedere quando al rientro dall'infortunio nell 99 alla prima qualifica schumi rifilò 1 sec ad irvine prima di regarargli la vittoria..

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

EU7RYbZX0AAN1ia?format=jpg&name=large

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
40 minuti fa, KimiSanton ha scritto:

EU7RYbZX0AAN1ia?format=jpg&name=large

:rotfl:

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
3 ore fa, andycott ha scritto:

Immagino anche che Rubens ci sarebbe rimasto a lungo davanti al compagno senza aiuti... :zizi:


E chi lo sa?

Nel gp successivo Rubens finì terzo a 2 secondi dal primo (Schumacher) con un problema ad un dado durante un pit stop...
Al sesto gp in Austria finì terzo a quasi 4 secondi dal primo (Schumacher) con un problema di rifornimento durante un pit stop che gli fece perdere una decina di secondi...

Nonostante queste sfighe se avesse vinto in Brasile sarebbe rimasto davanti al compagno almeno fino al quinto gp. 

Poi notoriamente quando le cose iniziano ad andare male continueranno ad andare male, iniziare a vincere ed andare bene da una forza extra e appunto chi lo sa come sarebbe continuato quel campionato.

 

@inferno, infatti ho detto alle volte. Perccato che in quelle poche volte gli capitava spesso qualche “inconveniente”.

 

 

 

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
4 ore fa, Prostexi ha scritto:


E chi lo sa?

 Nel gp successivo Rubens finì terzo a 2 secondi dal primo (Schumacher) con un problema ad un dado durante un pit stop...
Al sesto gp in Austria finì terzo a quasi 4 secondi dal primo (Schumacher) con un problema di rifornimento durante un pit stop che gli fece perdere una decina di secondi...

 Nonostante queste sfighe se avesse vinto in Brasile sarebbe rimasto davanti al compagno almeno fino al quinto gp. 

Poi notoriamente quando le cose iniziano ad andare male continueranno ad andare male, iniziare a vincere ed andare bene da una forza extra e appunto chi lo sa come sarebbe continuato quel campionato.

  

@inferno, infatti ho detto alle volte. Perccato che in quelle poche volte gli capitava spesso qualche “inconveniente”.

 

 

 

 

ma stai parlando di quel barrichello che non è riuscito a vincere neanche un mondiale a 2 macchine? :mmm:

  • Like 1

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti
11 minuti fa, ema00 ha scritto:

 

ma stai parlando di quel barrichello che non è riuscito a vincere neanche un mondiale a 2 macchine? :mmm:


Proprio lui.

Secondo il tuo ragionamento nemmeno Prost nel 88 è riuscito a vincere il mondiale a 2 auto.

Gp Austria, Rubens spostati che deve vincere il crucco...te li vedi i vari Senna, Mansell, Piquet, Prost a regalare una vittoria al compagno?

Il compagno dovrebbe essere il tuo primo rivale...

In USA dicono che regalare una vittoria al compagno è come scop@rsi la sorella.

 

Chiudo l’ot scusate.

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

Mi riferisco al mondiale 2009 in particolare dove nessuno gli ha detto di scansarsi.

Condividi questo messaggio


Link al post
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra comunità. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi Subito

Sei già registrato? Accedi da qui.

Accedi Adesso

  • Navigazione Recente   0 utenti

    Nessun utente registrato visualizza questa pagina.

×