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Lotus 63

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3 giugno 2013 – Colin Chapman poco dopo la sua presentazione l’aveva definita come “la Lotus più sofisticata e più complicata che si sia mai vista”. Una monoposto sicuramente molto costosa nella sua realizzazione, per i risicati budget dei team di F1 della fine degli anni 60. La 63 non è ricordata da molti se non dai più appassionati che oggi ormai contano parecchi capelli bianchi in testa, poiché i suoi risultati non furono certo esaltanti. La sua caratteristica principale era quella di possedere la trazione integrale, un passo nella ricerca dell’aderenza totale per una vettura di Formula 1 tentato anche da altri in precedenza.

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Nel 1968 lo studio dell’aerodinamica applicata alle auto da Gran Premio era agli albori, e sulle vetture cominciavano a spuntare i primi timidi accenni di alettoni. Chapman che seguì come molti altri costruttori questa strada, si trovò a montare sulle sue Lotus 49 degli altissimi piani alari che risultavano essere molto instabili e pericolosi, perché sorretti da fragili strutture metalliche. Tali intelaiature dovevano sorreggere un peso limitato a vettura ferma, di fatto il solo flap, il quale però diveniva un vero e proprio macigno qualora la monoposto era lanciata in piena velocità. Questo perché l’aria andando ad investire il piano generava un’enorme forza di gravità, meglio definita come carico aerodinamico.

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Costruendo la Lotus 63 Colin Chapman, aveva l’intenzione di riuscire a mettere in terra in termini di aderenza meccanica, tutta la potenza espressa dal motore Cosworth DFV che spingeva i suoi telai. Un compito difficile da realizzare ai quei tempi perché come detto l’aerodinamica non era ancora conosciuta e predominante quanto lo è invece oggi. Per ovviare a tale impedimento, il geniale patron della Lotus, pensò ad una monoposto a trazione integrale. In quegli anni, il regolamento della F1 consentiva alle vetture di questo tipo di gareggiare liberamente ed infatti, prima della Lotus, furono addirittura la Ferguson Research nel 1961 e la francese Matra (con la MS84 del 1968) a concepire delle monoposto che si avvalevano di un inedito sistema 4WD.

Il modello 63 era una logica evoluzione della superba 49, la prima vettura costruita appositamente attorno al motore Cosworth. Come la sua progenitrice la nuova creatura di Colin Chapman e Maurice Philippe, era caratterizzata da una linea bassa e filante. Ma al contrario di tutte le altre auto del Circus era molto corta, più simile ad una F2 piuttosto che ad una Formula 1. Questa caratteristica era stata ricavata dalla singolare dislocazione degli organi interni, tra i quali il gruppo motopropulsore girato al contrario, con il cambio Hewland a 5 marce in mezzo fra l’abitacolo e il motore DFV. Inoltre la necessità di distribuire maggior peso sull’asse anteriore per via della trazione integrale, ha fatto sì che il posto di guida risultasse molto avanzato. Una similitudine tecnica con la sfortunata Honda in magnesio del 1968.

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A differenza di tutte le altre monoposto dell’epoca, la Lotus 63 era caratterizzata da quattro ruote tutte dallo stesso diametro di 13 pollici. Il motivo di tale scelta risiedeva nella volontà espressa da parte dei progettisti, di ridurre l’impatto della sezione frontale. Nel telaio monoscocca erano incastonate le inedite sospensioni, con i bracci costruiti in lamiera scatolata e cromata, fissati da grandi perni superiori sia davanti che dietro. I bracci inferiori avevano invece la classica forma ad Y per entrambi gli assi, mentre quelli superiori erano caratterizzati da una disposizione a T davanti, e a ponte dietro. I freni erano a disco di tipo entrobordo su tutte quattro le ruote, studiati appositamente dalla Girling con le pinze sistemate in basso in posizione orizzontale. Infine le barre di torsione erano situate sempre in basso, sotto alle sospensioni, e collegate ai bracci superiori mediante delle biellette. Per quanto riguarda il sistema di trazione integrale, non possedeva giunti universali, poiché gli alberi erano abbastanza lunghi per per assorbire i carichi. L’ubicazione dei differenziali era situata contrariamene alla Matra MS84, nella parte sinistra della scocca.

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Per ovviare alle eccedenze di peso, Chapman lavorò in particolare ad un complicato sistema di passaggio del carburante. Questi incorporava otto valvole di controllo, che garantivano l’utilizzo fino all’ultima goccia di benzina nei serbatoi, contenenti fino a 182 litri. L’unico svantaggio di questo espediente consisteva nel fatto che il pilota, non si accorgeva minimamente quando la vettura rimaneva a secco, poiché quest’ultima non si metteva mai a borbottare come accade invece quando, si arriva a raschiare il fondo del serbatoio. La parte posteriore della carrozzeria di questa auto, anticipava di fatto quella della futura Lotus 72 che sarebbe nata di lì a pochi mesi sempre dalla matita di Maurice Philippe. Infatti l’ala posteriore della 63 era praticamente identica a quella del modello successivo, che grazie alla sua forma molto angolata ed integrata al retrotreno generava una maggiore quantità di effetto suolo.

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Nonostante queste premesse tecniche interessanti la Lotus 63 non fu mai una vettura vincente. Il suo sviluppo fu affidato al terzo pilota del team, il britannico John Miles, il quale avrebbe poi passato il testimone ai conduttori ufficiali Graham Hill e Jochen Rindt. Purtroppo, la 63 si dimostrò difficile da guidare e da regolare, mentre il sistema a quattro ruote motrici si rivelò particolarmente problematico nella messa a punto. Dopo una sola prova in pista Hill, si rifiutò di tornare alla guida della vettura definendola “una trappola mortale”, così come in seguito affermò anche Rindt.

L’austriaco si trovò d’accordo con Hill anche dopo aver portato la 63 al suo migliore risultato, il secondo posto nella Gold Cup, una gara non valida per il campionato di F1 che si correva ad Outlon Park. Questo comportamento fece infuriare Chapman, che vedeva la 63 come una monposto che possedeva un certo potenziale nei confronti delle auto rivali, così come era successo per molte Lotus che l’avevano preceduta. Il primo vero GP iridato a cui partecipò questa vettura fu quello di Gran Bretagna del 1969, quando venne nuovamente affidata nelle mani di John Miles. In questa gara Rindt con la vecchia 49 giunse quarto dopo aver battagliato a lungo con Stewart per la vittoria, mentre Miles poté portare la nuova 63 solo al decimo posto, confermando di fatto la sua scarsa competitività. Dopo un serie di sforzi senza risultati la Lotus 63 venne abbandonata, ma diversi componenti del suo telaio furono utilizzati sulla Lotus 72 che vinse il Mondiale 1970 con Jochen Rindt.

 

 

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possiamo aggiungere che alcuni concetti, la trazione integrale, le 4 ruote di uguale diametro e vagamente la linea generale, vennero travasate in un altro esperimento che fu la Lotus 56 a turbina.

Per turbina intendo non un turbocompressore ma un vero e proprio motore d'aereo! Questa macchina , provata a Monza da Fittipaldi nel '71 (9°) fu evoluta nella 56 B che non ottenne piazzamenti. In realtà il vero scopo era quello di testare l'auto in vista di un impego nella 500 miglia di Indianapolis. anche perché, se non erro, proprio fu proprio in quel periodo che la federazione vietò la trazione integrale.

Qui un video di questa curiosa auto nella versione grezza a cui in seguito vennero aggiunti gli alettoni molto simili a quelli della 72.

 

 

 

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