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The King of Spa

Porsche

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2 maggio 2013 – Quello tra la Porsche e la Formula 1, è sempre stato un rapporto abbastanza controverso. Il glorioso costruttore di Stoccarda, la sua fortuna nelle corse la deve infatti alle categorie a ruote coperte. Eppure, quando la casa tedesca ha deciso di cimentarsi nella massima formula, lo ha fatto quasi sempre con successo. Il recente rifiuto di rientrare nel Circus da parte dei vertici Porsche, è sintomo di quanto la F1 non sia in effetti mai stata una priorità, rappresentando un panorama meno gradito dal punto di vista sportivo. Da sempre l’intento dei tedeschi è stato quello di utilizzare le corse come fonte per lo sviluppo dei modelli di serie, ma i costi e gli scarsi successi ne decretarono inizialmente l’abbandono in qualità di costruttore totale. Tornò negli anni 80 con la McLaren vincendo tutto e poi sparì ancora dopo il disastro Arrows nel 1991.

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In passato però ci furono anche momenti di gloria, caratterizzati più da vittorie in qualità di costruttore totale piuttosto che da motorista. Risultati arrivati per via della straordinaria capacità di mettere a frutto la propria tecnologia costruttiva di precisione ed un innato spirito competitivo. Sul finire degli anni 50, la Porsche era ancora una casa relativamente giovane che si stava affermando nel panorama motoristico mondiale. Famosa per produrre auto sportive solide e relativamente contenute nei costi di gestione, dava la possibilità ai piloti “della domenica” di mettersi al volante e scendere in pista. Indirettamente, l’inizio della sua fortuna fu legata ad un fatto tragico: la morte dell’attore James Dean, il quale perse la vita a bordo di una 550 Spyder su una strada provinciale americana, mentre si recava ad una corsa. Dean era un ribelle, un simbolo per i giovani ed il suo modello di vita veniva seguito sempre di più dai giovani di allora. La Porsche, il mezzo che indirettamente fu macabro protagonista insieme all’attore di quell’evento infausto, venne idealizzata come un simbolo e diventò celebre quanto il suo defunto pilota. Ovvio che i meriti della 550 non si fermassero qui, in quanto la piccola tedesca era già molto apprezzata da parecchi gentlemen drivers nel vecchio continente. Facile da riparare e da mettere a punto, era sicuramente destinata a raccogliere successi importanti.

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E così fu, tanto che dalla 550 nacquero poi diverse evoluzioni più spinte e sempre più potenti, fino ad arrivare alla creazione di una monoposto di Formula 2, partendo da quella base meccanica. Dopo aver vinto la Carrera Panamericana e la Targa Florio, la Porsche mise in campo profondi aggiornamenti e nacque appunto nel 1957 il modello 718. Come detto, la vettura fu evoluta in diverse versioni e venne approntata anche una macchina a ruote scoperte, derivata direttamente dal modello RSK, che prese parte al campionato di F2. Forte di un motore da 1500 cm a 4 cilindri, installato come sulla 718 a ruote coperte, nella sezione centrale e con la trasmissione a sbalzo, la monoposto tedesca conseguì dei buoni risultati già nel 1958. A bordo delle piccole Porsche corsero campioni del calibro di Stirling Moss, Graham Hill, Wolfgang Von Trips, Phil Hill, Dan Gurney e Jo Bonnier, che fino al 1961 garantirono per il modello 718 e 787 delle vittorie nella serie cadetta. Il salto in F1 fu breve, tanto che la stessa monoposto fu convertita anche alla massima formula. La 718 F1, fece il suo debutto nel Mondiale del 1961 con l’americano Gurney e lo svedese Bonnier alla guida. Una stagione molto positiva, perché lo statunitense raggiunse per ben tre volte il secondo gradino del podio, al quale aggiunse altri piazzamenti nei punti che gli valsero il quarto posto nel Mondiale Piloti.

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Nel 1962, la Porsche decise di costruire una nuova vettura di Formula 1: la 804 che disponeva di un telaio aggiornato, sospensioni riviste ed un motore ad 8 cilindri, sempre raffreddato ad aria che sviluppava 184 cv a 9300 giri. La distribuzione era a due alberi a camme in testa (2 valvole per cilindro), con una ventola di raffreddamento, simile a quella delle future 917, situata al di sopra ed in mezzo alle bancate. L’alimentazione era affidata ai 4 carburatori Weber doppio corpo, che faticavano nell’erogazione di potenza a bassi regimi. Purtroppo, la Porsche rispetto ai costruttori inglesi pagava dazio in quanto a tecnologia applicata, poiché Lotus ed altri team, erano già passati alle ruote in lega e non in acciaio, all’iniezione e non ai carburatori, riducendo di molto i pesi e le masse sospese. Nonostante ciò, la 804 vinse con Dan Gurney il Gran Premio di Francia 1962, dopo che il pilota americano era incappato in due ritiri consecutivi nelle prime gare. Lo statunitense si affermò in maniera abbastanza netta staccando il secondo classificato, il sud africano Tony Maggs su Cooper Climax, di un giro. Una vittoria tuttavia facilitata dal ritiro di due avversari di valore, quali Jim Clark (Lotus) e Graham Hill (Brm).

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Gurney vinse anche la settimana successiva il GP di Solitude, non valido per il Mondiale, battendo proprio lo scozzese e la sua Lotus. All’affermazione di Rouen fece seguito solo un terzo posto, conquistato sempre dall’americano nel GP di casa della Porsche al Nurburgring ed un quinto a Watkins Glen. Per l’altro pilota della scuderia, lo svedese Bonnier, solo due piazzamenti a punti, che corrispondono al quinto posto nel GP di Monaco ed un sesto in quello di Monza in Italia. I discreti riscontri in pista della squadra corse, non convinsero completamente i vertici della casa di Stoccarda, la quale decise di abbandonare la F1 alla fine della stagione. In ogni caso, fino al 1964 alcuni privati utilizzarono le 718 nei GP iridati, non raccogliendo pù risultati di rilievo. Anche se Gurney era giunto quinto nel Mondiale, la Porsche ritenne che il suo scopo di correre in F1 per accumulare esperienza da trasferire sulle vetture di serie non era sufficiente. In più i costi sempre più elevati, imposti dalla massima categoria dell’automobilismo, indussero i tedeschi a dire definitivamente basta.

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Passarono più di venti anni prima di rivedere la scuderia di Weissach in Formula 1. E questo avvenne al termine del 1983, quando la Porsche si accordò con la TAG, la società di proprietà del franco saudita Mansur Ojjeh e socio al 15% di Ron Dennis nella McLaren International. Dapprima la casa tedesca, visti gli scarsi risultati e i costi sostenuti in passato in F1 non voleva cimentarsi nella sfida, ma poi la sostanziosa offerta economica di Ojjeh gli fece cambiare idea. In breve tempo, la Porsche mise in piedi un team di specialisti, a cui era affidato il progetto Formula 1. La direzione tecnica, venne presa in mano dall’ingegnere tedesco Hans Mezger, i quale impostò il progetto, secondo le linee guida della maggior parte delle case. Questo prevedeva un’architettura a V, al pari di Alfa Romeo, Ferrari, Hart, Honda e Renault. In tale maniera si scartava l’idea, dell’altra casa tedesca, la BMW, che utilizzava un quattro cilindri in linea. Anche sotto il profilo del frazionamento, si pensò ad un’idea canonica, ossia i sei cilindri, differentemente dagli otto impiegati dall’Alfa Romeo.

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Così facendo, si sarebbe potuto beneficiare, di un motore che fosse un buon compromesso tra potenza e maneggevolezza. Al pari degli altri infatti, essendo della stessa cilindrata, il propulsore sarebbe risultato abbastanza corto, tanto da poter utilizzare un passo della macchina ridotto e dunque renderla agile. Inoltre sulla carta, il Porsche V6 risultava potente quanto i concorrenti. Per la sovralimentazione si adottò la tecnica biturbo, quindi con due turbocompressori, uno per bancata, realizzati dalla azienda tedesca KKK, che si distinse per essere molto affidabile, differentemente dalla concorrente americana Garrett. Simili parametri vennero sotto certi aspetti imposti, infatti Mezger aveva cercato di interpretarli al meglio, ma in realtà l’impostazione di base, venne definita da John Barnard all’epoca progettista della McLaren. Uno dei punti cardine, imposti da Barnard era l’ampiezza delle bancate. Egli infatti, voleva che l’angolo tra le due, fosse inferiore a 90°, in modo tale da ridurre l’ingombro trasversale, per poter offrire meno superficie all’aria, anche se il baricentro del mezzo, sarebbe stato più in alto. A quel punto Mezger, optò per una V di 80 gradi.

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L’ingegnere tedesco, cercò inoltre di posizionare tutti i collettori, e organi atti a far funzionare il motore, il più avanti possibile. Questo permise a Barnard, di disegnare un profilo estrattore molto lungo ed ampio, che dunque garantiva alla macchina una grande stabilità al retrotreno nonché una notevole aderenza al suolo. Una caratterista molto importante con questo genere di propulsori, poiché capaci di potenze e coppie molto elevate. Fu dedicata anche molta importanza al peso del motore, il quale era abbastanza contenuto, poiché vennero utilizzare leghe leggere, ossia d’alluminio e soprattutto ultraleggere, cioè di magnesio. Quest’ultima, costituì una grossa innovazione nel campo della tecnologia e dei materiali. Il suo peso, con tanto di turbine e compressori, era appena di 150 kg. Inizialmente, i primi motori disponevano di un sistema di iniezione meccanica, successivamente però, fu introdotto il medesimo sistema di iniezione elettronica utilizzato sulla Porsche 956 e fornito dalla Bosch. L’impianto prevedeva l’apparato Motronic MS3, concepito per i prototipi e le prime versioni ufficiali, mentre la Motronic MP1.4, nelle serie successive. Prima di montare il motore sulla McLaren, l’unità venne utilizzata in alcuni test privati, su una versione speciale di Porsche 935.

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Tuttavia, la progettazione risultò essere abbastanza travagliata, in quanto le pretese di Barnard, non erano molto gradite ai motoristi, che denunciavano di non poter organizzare liberamente il loro lavoro. S’innescò un circolo vizioso, dove i telaisti pretendevano che il propulsore venisse concepito in funzione della scocca, mentre i motoristi pretendevano il contrario. A tal proposito non va dimenticato, che la McLaren era una committente, dunque pagava per vedere realizzato il progetto. Così la Porsche decise di sottostare alle richieste del suo cliente inglese. I primi test, effettuati nel 1983 da Niki Lauda, fecero trasparire una potenza di 550 CV a 10.500 giri/min, una differenza non così esagerata rispetto al vecchio Cosworth, mentre la coppia era decisamente superiore. Tuttavia, il propulsore tedesco soffriva di turbo-lag, ossia un ritardo di risposta tra il momento in cui il pilota accelerava e l’istante in cui il motore incrementava il proprio regime di rotazione. Tutti problemi vennero risolti in tempo record. Infatti nel 1984, la McLaren MP4/2 dominò decisamente il campionato, vincendo quello piloti con Lauda, seguito a mezzo punto dal compagno Prost. Ovviamente la scuderia di Woking, vinse anche l’alloro costruttori.

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Nonostante ciò, il motore, non era il più potente del gruppo, per quanto erogasse 715 CV in gara e 800 CV in qualifica (al regime di 11.200 giri/min). Il suo punto di forza, stava nel fatto che si integrava perfettamente con il telaio, rendendo semplice sia la guida che la messa a punto della monoposto. Nel 1985 Prost vinse il campionato piloti e la McLaren quello costruttori, sempre con lo stesso motore, ma con un doppio turbocompressore in grado di funzionare anche singolarmente ed ora capace in gara di 850 CV a 11.000 giri/min. Già nel 1986, il V6 Honda della Williams, si dimostrò superiore in termini di potenza massima del motore V6 TAG Porsche che equipaggiava la McLaren, ma solo per una serie di situazioni a favore e alla bravura di Prost vinse di nuovo il titolo. Nel mondiale costruttori invece, la Williams si classificò prima con una certa facilità. Quell’anno, il motore TAG erogava 960 CV in gara, mentre in qualifica a detta del progettista Hans Mezger disponeva di 1.060 CV, mentre secondo altri addetti ai lavori toccava 1.100 CV ad un regime di 11.500 giri/min. Nel 1987, nonostante un buon inizio di stagione, la McLaren dovette irrimediabilmente arrendersi alla supremazia della Williams. Il motore TAG tuttavia, le permise di imporsi in alcune gare, ottenendo il quarto posto con Prost nella classifica piloti e il secondo in quella costruttori.

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Per la stagione 87 il regolamento tecnico limitò a 4 bar la pressione massima di sovralimentazione, la potenza di conseguenza venne contenuta in 900 CV in condizioni di gara a 13.000 giri/min. L’anno 1987 è stato anche l’ultimo per la Porsche in Formula 1 prima del secondo ritiro. Con l’arrivo di Senna infatti, la scuderia di Woking ottenne la fornitura dei motori Honda, all’epoca i più performanti del Circus. Ma il propulsore V6 TAG non venne mandato in pensione e fu trasformato, con le dovute modifiche, come motore per elicotteri. I tedeschi comunque non abbandonarono l’idea di restare nel Circus, anche dopo l’avvento dei motori atmosferici con il regolamento del 1989. Infatti, l’equipe di Mezger mise appunto un’unità aspirata a 12 cilindri da 3500 cc, che però non trovò nessun finanziatore disposto a portare in gara il progetto. Il propulsore denominato 3512 e caratterizzato da una strana presa di forza a metà del blocco cilindri, venne ripreso nel 1991 dalla Footwork – Arrows che lo montò sulla sua FA12. Purtroppo essendo molto ingombrante, il team dovette impiegare la vecchia vettura del 1990 (la A11C) per le prime gare di campionato, poiché la scocca della FA12 doveva essere riprogettata per poter accogliere il voluminoso V12 tedesco.

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Una volta messo in campo, il binomio Arrows Porsche non produsse che deludenti risultati per diversi motivi. Anche se alla guida c’erano piloti d’esperienza come Michele Alboreto e Stefan Johansson, entrambi con un passato agonistico in top team come Ferrari e McLaren, non si riuscì a sviluppare il pacchetto. Innanzitutto, le risorse della squadra non erano ingenti e poi il motore Porsche era veramente troppo vetusto, in quanto l’idea di base risaliva ormai al 1987. Il peso era il suo principale nemico, in quanto, rispetto al Ferrari che era allora il più leggero, pesava ben 50 Kg in più! (189 contro 139). Inoltre il rivoluzionario metodo pensato da Metzger per fornire energia al centro del motore, portò anche a numerosi e continui problemi di pressione dell’olio. Poco affidabile e pesantissimo, il V12 teutonico venne scartato a metà stagione, quando il team britannico, si presentò al GP di Francia a Magny Cours con il più leggero ed affidabile Cosworth DFR V8. La Porsche comunque non mollò e pensò per l’anno successivo ad un V10 più facile nella gestione degli ingombri e ovviamente meno pesante. Purtroppo i vertici di Stoccarda dopo l’ennesimo fallimento, decisero il tempestivo ritiro dalla F1 ed il nuovo motore venne convertito per l’uso nell’Endurance. Un altro progetto che però fallì prima di partire e così, il dieci cilindri inizialmente pensato per il Circus, diventò un prodotto di serie venendo montato sulla Supercar Carrera GT.

 

F1Passion

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Bel articolo ma ci sono delle imprecisioni: il motore Hart turbo era un 4L come il BMW. Inoltre i piloti della Footwork per il 1991 erano Alboreto e Alessandro Caffi. Nota da aggiungere: il 3.5 litri V12 del 1991 aveva un basamento nato dalla fusione di due V6 turbo di 1.5 litri maggiorato. Infatti il motore era una porcheria.

 

Io completerei questo articolo con l'avventura della Porsche in formula Indy, dove fecero un disastro con la Porsche tutta fatta in casa nel 1987, poi con la March fatta su misura per il loro V6 fino al 1990. Prima ancora, 1980 credo, fecero una macchina che non corse mai a Indy.

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Ho trovato questo.....

 

 

http://www.porschesport.com/jan%202007%20feature.html

 

Porsche returned to Open Wheel racing with the Indy Car seene in the late 1970's. Unfortunately again for Porsche the timing was wrong, ultimately dooming the project. The man behind Porsche's aborted Indy program was Josef Hoppen, who had migrated to the United States in 1958 to work at a local dealership in Daytona Beach. He began his American racing by campaigning a series of Porsche Spyders in the SCCA events.

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Prsche's first Indy car was a Vels-Parneli chassis, which had its Cosworth V-8 replaced by the water-cooled Porsche 935 turbocharged flat-six.
The car proved to be very sucssefull and would have dominated the Indy series if not for the changes set in 1979 by the USAC, the plans that soon started the CART-USAC war, a conflict that would soon engulf Porsche's Indy plans.

The USAC put out a technical bulletin after months of debate saying that the boost limit for Porsche would be no more than that given to the Cosworths-48 inches "48psi pressure limit". With less than a month remaing before the start of practice for the Indianapolis 500, Porsche's responce was quick. In its own, terse one-page press release, the company announced it was canceling its Indy Program and porsche left the Indy series.

 

.................

 

 

At the end of the year the program ended. McLaren switched to Honda and Porsche left Fomula One and turned its attention once again to Indycar racing. Porsche unveiled the 2708 chassis, designed by Porsche engineers and built by Messerschmitt Bolkow Blohm in Munich. Al Unser Sr. was named as the lead driver. The car not a success and in 1988 Porsche acquired March chassis and hired Teo Fabi to drive. The Italian won at Mid-Ohio in 1989 but at the end of 1990 Porsche stopped the program and announced that it was going back to Formula One with a new V12 engine for the Footwork team. Porsche's first time out in Fomula One was not good and the second time would prove to be a complete disaster. The Porsche-powered Footwork cars failed to score a single point, and failed to even qualify for over half the races that year and the team gave up on the engines in mid-season.

 

 

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Infatti dopo la prima gara a Laguna Seca, Al Unser si incavolò di brutto e abbandonò tutto dicendo "questi non vinceranno mai niente". Al GP successivo a Miami, il volante lo prese il capo della squadra Al Hobert e non si qualificò. Per il 1988, Hobert morì in un incidente stradale, credo, e tutto si complicò.

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