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The King of Spa

Honda

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17 maggio 2013 – La lunga storia del marchio Honda in Formula 1, ha origine quando ancora questo sport era agli albori nell’acquisizione della tecnologia. Eppure i nipponici, sono stati almeno in quegli anni, all’avanguardia per quanto riguarda l’audacia nelle scelte operate circa la costruzione delle proprie monoposto da Gran Premio. Tutto nasce nel 1964, quando non sono nemmeno quattro mesi che il colosso di Tokyo aveva avviato la produzione di veicoli a quattro ruote, da affiancare a quella già consolidata delle motociclette.

Il team per la F1 è completamente giapponese dalla testa ai piedi, tanto che, ingegneri, meccanici e logistica sono tutti provenienti dalla realtà interna alla fabbrica. Questo nelle intenzioni di Soichiro Honda, è il piano per diventare un costruttore totale al pari di Enzo Ferrari. Un’ambizione mai dichiarata, ma comprensibile visto il senso di appartenenza e dell’onore che contraddistingue da sempre la gente del Sol levante. Il primo prototipo nato nelle officine Honda nel 64, è denominato RA270 ed è una vettura alquanto insolita per via della disposizione trasversale del motore, un dodici cilindri di 1500 cc. come da regolamentazione dell’epoca.

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A colpire guardandola ancora oggi, oltre alla livrea dorata, sono gli scarichi che escono singolarmente diritti da ogni cilindro e donano al posteriore l’inquietante la forma di una batteria antiaerea. I primi collaudi sono affidati nientemeno che a Jack Brabham, che porta in pista la monoposto giapponese per i primi km di rodaggio. L’australiano già impegnato con il suo team in F1 mostra interesse per il progetto Honda, tanto che qualche anno dopo utilizzerà i motori della casa di Tokyo nel campionato di F2, vincendo tutte le gare dell’edizione 67. Intanto già nel 1964, avviene il debutto ufficiale in un GP di F1 con il pilota americano Ronnie Bucknum, il quale è ingaggiato dai vertici Honda dopo il rifiuto di Phil Hill, che in quel periodo era consulente per il marchio nipponico nella marcia di avvicinamento alla massima serie. Il 2 agosto, la RA271, prima evoluzione del prototitpo RA270, fa la sua comparsa sul terrificante tracciato del Nurburgring, in occasione del Gp di Germania. All’innovativo motore trasversale V12 da 220 Cv viene accoppiato un cambio a sei rapporti, il tutto montato su un telaio monoscocca dotato del consueto radiatore anteriore.

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In qualifica Bucknum sarà ventiduesimo, mentre in gara si ritirerà per un incidente all’undicesimo giro, rimandando gli esperimenti alla successiva partecipazione nel Gp d’Italia a Monza. Sul circuito brianzolo, l’americano partirà decimo ma si dovrà fermare anzitempo per un guasto ai freni. La Honda compare per l’ultima volta nel penultimo appuntamento stagionale, il Gp degli Stati Uniti, quello di casa di Bucknum, il quale però non avrà fortuna rimanendo a piedi al giro 50 per un problema di surriscaldamento al 12 cilindri. Problemi di gioventù a parte la strada sembra tracciata, nonostante i giapponesi facciano sorridere per la loro concezione della F1 e per via delle loro divise da lavoro bianche da operai. A prescindere dai risultati, la partecipazione al Mondiale viene rinnovata anche nel 1965. Per la stagione seguente la Honda decise di schierare due monoposto, affiancando al confermato Bucknum un altro americano, Richie Ginther. Anche la vettura subisce importanti migliore sia nel telaio che nel propulsore, il quale risulta potenziato ed attestato di un regime di rotazione intorno ai 12000 giri/minuto.

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I giapponesi si accordano anche con la Good Year per la fornitura degli pneumatici, che vanno in tal modo a sostituire quelli della Dunlop con cui si erano corse le prime gare l’anno precedente. Rispetto alla monoposto del debutto, la RA272 nonostante sia larga e pesante affascina alcuni avversari per via della sua tecnologia costruttiva. Ginther corre praticamente tutti i GP, disertando solo quello di Germania, mentre Bucknum ne salterà tre (Inghilterra, Olanda e Germania). I primi punti arrivano già alla terza gara in Belgio, sempre grazie a Richie che giunge sesto sotto la bandiera a scacchi. Fino all’ultimo appuntamento in Messico, l’annata è abbastanza mortificante con due soli punti portati a casa da entrambi i piloti. Però l’altitudine della pista sud americana, unita ad un buon adattamento alle caratteristiche del tracciato da parte della vettura, porterà la Honda a trionfare cogliendo la sua prima affermazione iridata. Ginther partito terzo vince di poco meno di tre secondi sul connazionale Gurney, mentre Bucknum giunge quinto facendo sì che il team conquisti ben undici punti nella classifica costruttori. Un risultato incredibile e da quel momento in poi anche i più scettici, cominciano a cambiare espressione mentre guardano la bianca macchina arrivata dall’oriente. Nel 1966, il cambio regolamentare che impone l’introduzione dei motori da 3000 cc in luogo dei vecchi 1500, coglie impreparati un po’ tutti e molte scuderie come ad esempio la Lotus, dovranno adattarsi a propulsori non concepiti per equipaggiare le proprie vetture. Si vive quindi una stagione di transizione e Black Jack Brabham ne approfitta, facendosi realizzare un motore su misura dalla Repco con il quale vincerà il titolo. Anche la Honda viene travolta da questo ribaltone improvviso e salterà di conseguenza gran parte del campionato.

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La monoposto RA273 dotata del nuovo motore 3000, fa la sua comparsa solo in occasione della terzultima prova del Mondiale che si disputa sul veloce tracciato di Monza. Il telaio, più stretto e simile nelle linee a quello della concorrenza, è dotato di un potente V12 progettato da Shoichiro Irimajiri. Per la prima uscita è presente una sola vettura affidata a Ginther, rimasto nei ranghi della squadra in qualità di pilota ufficiale. Lo statunitense si qualifica settimo, ma in gara deve abbandonare per un incidente occorsogli al sedicesimo giro. La Honda corre anche le ultime due gare in programma negli Usa e in Messico, schierando insieme a quella di Ginther una seconda vettura affidata al solito Bucknum. Sarà sempre in Messico che Ginther conquisterà gli unici punti, grazie ad un ottimo quarto posto nella prova conclusiva della stagione. Per il 1967 i vertici di Tokyo, decisero di far correre una sola vettura per concentrarsi maggiormente nello sviluppo del progetto, contenendo anche i costi gravati da lunghe trasferte. Il pilota designato per questo delicato ruolo fu John Surtees, il quale aveva accumulato una buona esperienza sul campo nel periodo passato alla corte di Enzo Ferrari, con cui aveva anche vinto il Mondiale Piloti nel 1964. Quasi tutti i Gp di quell’anno, vennero corsi con la RA273 e a parte un terzo posto nella gara inaugurale a Kyalami, oltre a due piazzamenti nei punti in Gran Bretagna (4) e Germania (6), Surtees collezionò diversi ritiri per guasti meccanici. In sostanza, la vettura era abbastanza veloce ma scarsamente affidabile.

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Per incrementare le prestazioni del telaio, la Honda si affidò alle capacità del progettista britannico Eric Broadley che aveva già disegnato le monoposto Lola di F2 e le barchette Can Am. La vettura contrassegnata dal nome di RA300 debuttò nel Gp d’Italia a Monza, così come accadde per quella dell’anno precedente. Il motore restava sempre il V12 RA273E che già era montato sulla RA273. Surtees, complici i guai occorsi negli ultimi giri di uno scatenato Jim Clark, capace di rimontare da ultimo a primo a bordo della spaventosa Lotus 49, vince la gara dopo una serrata lotta con Jack Brabham che concluse secondo sul traguardo a soli due decimi. Per i giapponesi ai box è il tripudio. John viene portato in trionfo e la nuova vettura che vince alla sua prima apparizione, sembra finalmente quella giusta per ambire a qualcosa in più dei soliti piazzamenti. Le aspirazioni della Honda però non trovano conferma nella successiva gara a Watkins Glen, dove Surtees solo undicesimo in griglia si ritira per l’ennesimo guasto, questa volta all’alternatore. In Messico sul circuito “amico” della casa nipponica, il figlio del vento chiude quarto l’ultimo GP stagionale, classificandosi quarto nel Mondiale con venti punti.

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Il 1968, che sarà anche l’ultimo per la Honda in F1 prima del rientro avvenuto nel 2006, rappresenta a tutti gli effetti il periodo più denso e drammatico dell’avventura dello storico marchio del Sol levante in F1. La vettura, aggiornata e denominata RA301 manteneva sempre il motore V12 da 3000 cc, ma era caratterizzata da una linea più filante della sua progenitrice. Surtees nonostante ciò verificò di persona che la macchina era molto inaffidabile, tanto da fargli concludere solo tre gare su dodici. Il migliori risultati per lui, furono un secondo posto in Francia ed un terzo negli Usa, ma senza acuti di rilievo. A dispetto dei gravi problemi di messa a punto della RA301, le ambizioni di Soichiro Honda, si mantenevano sempre elevate tanto da voler realizzare una F1 con motore raffreddato ad aria. Tale intento trovò il suo scopo quando venne alla luce la RA202, una vettura rivoluzionaria per l’epoca e non solo nei riguardi dell’unità motrice che la spingeva. La scocca era realizzata in leghe di magnesio, molto leggera, ma anche pericolosa come vedremo in seguito. Il già citato propulsore era un V8 con le bancate di 120°, il cui radiatore per raffreddare l’olio era posto sotto al cupolino onde evitare fastidiosi disturbi aerodinamici. Surtees la provò in un primo test a Silverstone, giudicandola molto instabile e difficile da guidare. Nella stessa seduta di prove, dopo pochi giri di pista, si verificò anche una grave perdita d’olio che fece desistere una volta per tutte il britannico dal salirci ancora.

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Visto il rifiuto di Surtees, Soichiro Honda trovò nel quarantenne transalpino Jo Schlesser, l’uomo adatto al quale affidare lo sviluppo in gara della nuova creatura. L’esordio sotto le insegne della Honda France avvenne proprio nel GP di casa del pilota a Rouen. Tragicamente, durante il secondo giro della competizione Schlesser ebbe un incidente alla Virage des Six Fréres, con la vettura che andò a sbattere contro un terrapieno nei pressi della pista. La vettura prese fuoco immediatamente, uccidendo il pilota che era a bordo e gettando la squadra nel dramma. In seguito sempre per volere del gran capo della Honda, venne costruita una seconda RA302, che differiva dalla prima per delle piccole modifiche. Questa vettura, doveva essere guidata nella gara successiva da Surtees, il quale però rifiutò nuovamente. Alla fine della stagione, la Honda decise di ritirarsi dalla Formula 1 e la RA302 rimase, fino alla presentazione della RA106 del 2006, l’ultima vettura di Formula 1 costruita dalla casa giapponese.

 

Le voci di un ritorno della Honda in Formula 1, si fanno più insistenti all’inizio degli anni ottanta. Nel novembre del 1982, presso il misconosciuto circuito californiano di Willow Springs, Boutsen e Johansson iniziano a testare la vettura di Formula 1 per il 1983. Si tratta di una Spirit, la monoposto realizzata da un piccolo team britannico di F2, che grazie all’esperienza del suo manager e fondatore John Wickman debuttò nel Circus con il supporto della casa nipponica in qualità di motorista. I giapponesi, volevano ovviamene sviluppare il proprio motore turbo V6 senza tanto clamore e l’accordo con la piccola Spirit era l’ideale per imbarcarsi nella nuova avventura.

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L’esordio avvenne nella Race of Champions, gara non valida per il mondiale, disputata il 10 aprile presso il Circuito di Brands Hatch. Con Johansson alla guida la vettura si qualificò dodicesima, a 1,9 secondi dalla pole. Dopo 4 giri fu costretta al ritiro causa un guasto al motore. L’esordio nel mondiale avvenne invece nel Gran Premio di Gran Bretagna, il 16 luglio dello stesso anno, sempre con al volante Stefan Johansson. Il miglior risultato dell’anno e della storia della scuderia, sarà il settimo posto nel Gran Premio d’Olanda 1983. La vettura utilizzata era la stessa di Formula 2 riadattata, tanto da chiamarsi 201 C, la medesima sigla numerica utilizzata per la monoposto impiegata nella serie cadetta. Alla fine della stagione 1983, la Honda trova un accordo con la più blasonata Williams che passò così dai sempreverdi Ford Cosworth ai motori sovralimentati della marca nipponica. Il 1984 tuttavia non fu felice, soprattutto a causa del telaio della FW09, ancora in gran parte realizzato in alluminio, mentre la concorrenza ormai si è votata al telaio in fibra di carbonio. Rosberg arrivò secondo nella gara inaugurale in Brasile dietro alla McLaren di Prost, ma nel corso della stagione non diede mai l’impressione di poter combattere per le posizioni di testa. Il finnico colse un solo successo in un rocambolesco Gran Premio di Dallas, unica edizione finora disputata della gara statunitense.

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Ma la strada era tracciata e nel 1985 si iniziarono a vedere i primi frutti di questo lavoro. Al posto di Laffite arrivò dalla Lotus Nigel Mansell e dopo un inizio di stagione incerto, la nuova FW10, costruita con un telaio in fibra di carbonio come quello della McLaren che aveva vinto il titolo l’anno prima, portò quattro successi, due con Rosberg e due con Mansell. L’inizio del campionato fu molto difficoltoso e al Gran Premio del Portogallo, Mansell raccolse i primi due punti della squadra. L’inglese terminò il campionato al sesto posto, mentre Keke fu terzo. Ad impressionare fu la facilità con cui le vetture spinte dal nuovo turbo Honda, dominarono gli ultimi tre disputati su circuiti molto diversi tra loro. Un aspetto importante da considerare in funzione della successiva stagione 1986, così come poi puntualmente avvenne. L’anno seguente la Honda continuò il rapporto con la Williams e al posto di Rosberg che venne messo sotto contratto dalla McLaren, arrivò dalla Brabham Nelson Piquet. L’obbiettivo della venuta del brasiliano era la vittoria nei mondiali piloti e costruttori. Cosa che avvenne a metà poiché alla fine della stagione venne conquistato solo l’alloro costruttori grazie all’apporto fondamentale della nuova monoposto FW11 progettata da Patrick Head. In realtà, sia Mansell che era rimasto nel team, sia Piquet furono in corsa fino all’ultima gara in Australia, ma la battaglia interna alla squadra tra i due piloti e gli errori strategici nel week end di Adelaide costarono una vittoria sulla pronosticata fin dalla vigilia. I V6 nipponici erano i migliori motori del momento ed infatti il successivo campionato fu dominato dal duo Williams quasi senza avversari.

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Ad aggiudicarsi il primo titolo piloti ed il secondo costruttori targato Honda, fu Nelson Piquet che vinse la battaglia diretta con il collega di marca Nigel Mansell sempre a bordo della fida Williams FW11, proposta dal team nella sua versione B. Le vittorie stagionali furono addirittura 9 per il team di Didcot e le pole position ben 12 su 16 gare disputate. A completare il successo della casa di Tokyo arrivarono anche i due Gran Premi conquistati da Ayrton Senna che all’epoca era il portacolori della Lotus sempre equipaggiata con il V6 Honda. Successi che non valsero però alla Williams la riconferma in qualità di partner privilegiato, perché nel 1988 i giapponesi siglarono un accordo con la McLaren di Ron Dennis. Anche il passaggio alla McLaren fu un passo indovinato dalla Honda, perché questa nuova unione costituì per certi versi un binomio imbattibile per almeno quattro stagioni. Una superiorità tecnica impreziosita dalla presenza di due piloti del calibro di Ayrton Senna, che arrivò a Woking grazie all’intervento della stessa Honda e di Alain Prost, il più valido interprete della F1 di fine anni 80. Inoltre la nuova monoposto McLaren la MP4/4 progettata da Gordon Murray costituiva un’arma letale nell’ultimo anno della F1 dotata dei propulsori sovralimentati. I numeri furono disarmanti per la concorrenza, con 15 vittorie su sedici gare e altrettante pole position. Il mondiale andò proprio a Senna che batté sul filo di lana Prost nella gara di casa della Honda a Suzuka, nella penultima prova del campionato.

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Nel 1989 con l’avvento dei motori atmosferici, la Honda si impose ancora sempre collaborando con la McLaren e vinse nuovamente entrambe le graduatorie iridate. Contrariamente alla tradizione della Honda che aveva proposto in passato dei V12 di piccola cubatura negli anni 60, i giapponesi puntarono su un V10 da 3500 cc proprio come fece la Renault anch’essa rientrata nel Circus in funzione dei nuovi regolamenti. Prost vinse il titolo dopo una discussa collisione con Senna a Suzuka, quando le due McLaren MP4/5 si scontrarono nella stretta chicane che precede il rettilineo dei box. La monoposto era un affinamento di quella della stagione precedente, ma risultò egualmente la più veloce. Nel 1990 Prost emigrò alla Ferrari, mentre Senna con l’arrivo di Berger da Maranello, divenne il leader indiscusso della squadra. Nel 90 Senna vinse il suo secondo mondiale battendo sempre Prost, come detto ora alla Ferrari, dopo una battaglia molto serrata tra i due campioni che culminò con l’ennesimo scontro a Suzuka. La MP4/5B altro non era che l’ennesima evoluzione della monoposto dell’89 e perciò meno predominante delle precedenti. Il propulsore restò sempre un V10 ed era denominato RA109E. Nel 1991 Honda e McLaren rinnovarono ancora la loro collaborazione, ma introdusse un nuovo e più potente V12 in luogo del V10 fin qui utilizzato. Una scelta votata all’incremento delle prestazioni senza compromettere i pesi ed il baricentro della vettura. Tuttavia dopo un inizio di stagione positivo con le vittorie di Senna giunte per la maggior parte nella prima parte del mondiale, il team britannico dovette subire il prepotente ritorno della Williams motorizzata Renault.

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Il titolo andò ancora a Senna per la terza volta in carriera e fu il sesto consecutivo nei costruttori vinto dal costruttore nipponico in qualità di fornitore di propulsori. La MP4/6 non era certo la migliore vettura del lotto, ma il talento di Ayrton e il vantaggio accumulato ad inizio stagione consentirono al brasiliano e alla McLaren di contenere gli assalti di Mansell e della Williams. Il 1992, rappresentò l’ultima stagione della Honda in F1 in qualità di partner tecnico della McLaren e non fu paragonabile alle precedenti. Senna non riuscì a rivincere il campionato e le due corone iridate andarono alla Williams con Nigel Mansell, alla guida della FW14B dotata di sospensioni attive e sempre spinta dal V10 Renault. Il brasiliano della McLaren vinse comunque tre gare al volante della MP4/7: a Monaco, Ungheria e Italia che coincise anche con l’ultima affermazione di un motor Honda in F1 fino al 2006.

A fine 1992 il colosso di Tokyo si ritirò dalla F1 per tornarci solo nel 2000, quando di mise a fornire i propri motori alla neonata scuderia BAR sorta dalle ceneri della Tyrrell. Fu un rientrò a metà, perché i propulsori Honda in realtà corsero anche tra la metà e la fine degli anni 90 con la denominazione Mugen, venendo montati su diverse monoposto tra le quali la Lotus ormai prossima alla chiusura, la Jordan e la Ligier. Nel 1999 il motore giapponese marchiato Mugen, fu protagonista di un’ottima annata con le monoposto di Eddie Jordan. Il tedesco Heinz Harald Frentzen arrivò terzo in campionato dietro ad Hakkinen e Schumacher, dimostrando le ottime doti di potenza del V10 nipponico seppure non in veste ufficiale. L’anno seguente come detto ci fu il rientro in veste ufficiale ma l’avventura fu caratterizzata da molti alti e bassi nei risultati.

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La Honda ha via via aumentato il proprio ruolo nelle operazioni della BAR sino ad acquisire una partecipazione azionaria all’inizio del 2005, attraverso la creazione della società di controllo BARH Limited, di proprietà per il 55% British American Tobacco e per il 45% della Honda. Il 4 ottobre 2005 è stata poi diffusa la notizia dell’acquisizione del resto della società, in seguito all’imposizione di nuove regole internazionali che impedivano la sponsorizzazione da parte di marchi del tabacco. Così la scuderia è rimasta sotto il controllo esclusivo del costruttore giapponese, che l’ha ribattezzata per la stagione 2006 con il proprio nome. La Honda siglò poi un ultimo accordo con la British American Tobacco all’inizio del 2006, il quale prevedeva che la scuderia avrebbe mantenuto la stessa livrea estetica dell’anno precedente per sponsorizzare il marchio di sigarette Lucky Strike, di proprietà della BAT, sino al Gran Premio del Brasile 2006. Infatti, la Honda corse per tutta la stagione con il nome di Lucky Strike Honda Racing F1 Team. Se anche gran parte della struttura e del personale è stato ereditato dalla BAR, la Honda ha ricollegato immediatamente la storia della squadra alla prima esperienza degli anni ’60 riprendendo la numerazione tradizionale delle vetture. Il nuovo motore V8 da 2,4 litri è stato sviluppato dalla Honda in prima persona e per la stagione 2006 venne fornito anche al team esordiente Super Aguri F1 da più parti visto come uno Junior team della casa di Tokyo.

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L’impegno della Honda sembra essere quello di vincere il primo gran premio di Formula 1 sotto la nuova gestione (obiettivo mai riuscito alla BAR), ma nonostante l’impegno economico la stagione 2006 è stata estremamente avara di risultati per i piloti Jenson Button e Rubens Barrichello. La mancanza di competitività ha portato a metà stagione alla sostituzione del responsabile tecnico Geoff Willis, presente nel team dal 2002 con il giapponese Shuhei Nakamoto proveniente dalla Honda Racing Development. Nonostante ciò il primo successo arriva proprio durante l’anno, grazie a Button che vince un caotico Gran Premio d’Ungheria. La scuderia termina la stagione 2006 al 4º posto con 86 punti, un bottino piuttosto amaro dati gli enormi investimenti durante tutto l’anno. La stagione 2007 fu invece disastrosa per la scuderia anglo nipponica, che venne spesso battuta dalla piccola Super Aguri (la quale utilizzava le monoposto Honda del 2006) e concluse il campionato con un deludente ottavo posto, marcando solo sei punti. Nel 2008 la Honda ha continuò a faticare, pur con un piccolo miglioramento rispetto alla stagione precedente. Button chiuse 6° in Spagna, mentre Barrichello giunse 6° a Monaco, 7° in Canada e riuscì a ottenere l’unico podio della stagione a Silverstone giungendo 3°. A fine campionato la squadra conquistò 14 punti ma rimase comunque in fondo alla classifica costruttori.

Il 4 dicembre 2008, l’amministratore delegato della Honda Racing F1 Team Takeo Fukui ha annunciato il ritiro di Honda dal mondo della Formula 1. La casa madre mise in vendita il 100% della proprietà della BARH Limited, la vecchia holding che dapprima controllava la BAR e durante tutto il mese di dicembre parecchi acquirenti si fecero avanti per acquistare le quote del team. In molti si proposero di rilevare il team e tante indiscrezioni si rincorsero nei successivi due mesi, ma alla fine fu il Team Principal Ross Brawn ad acquistare per una simbolica sterlina le quote della squadra che venne ribattezzata Brawn GP. Paradossalmente la monoposto che venne denominata BGP001 si dimostrò una vettura molto valida. Dotata di un propulsore Mercedes in luogo dell’Honda, riuscì a vincere sia il Mondiale Piloti che quello Costruttori, grazie all’invenzione del doppio diffusore studiata da un misconosciuto tecnico nipponico prima di abbandonare il team. Ora con il ritorno della Honda nel 2015 e la riunione con la McLaren, si apre l’ennesimo capitolo della storia di questo grande marchio nella massima categoria dell’automobilismo.

 

F1Passion

Modificato da The King of Spa

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Ricordo che il primo podio "Honda" ufficiale dopo gli anni McLaren ,fu realizzato al Gp di Spagna 2001 con la BAR Honda 003 di Jacques Villeneuve,che replicò il medesimo risultato in Germania.

Comunque mi fa piacere che la Honda abbia deciso di ritornare in veste di motorista e non come team (gli ultimi anni furono disastrosi),i propulsori nipponici fanno parte della storia della F1 e sono sempre stati di buon livello , è importante che anche il Giappone venga rappresentato.

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Certo sono curioso di vedere con che faccia si ripresenteranno dopo aver regalato a Brawn il titolo 2009 su un piatto d'argento :asd:

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Vediamo.....

Io comunque sono contento del loro ritorno, ci vuole un costruttore come la Honda in F1!

 

ps. un grazie a King x l'articolo, l'ho letto ed ed è davvero molto bello!

 

 

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;)

 

Stefan Johansson (Germany 1983)

 

Stefan Nils Edwin Johansson (SWE) (Spirit Racing), Spirit 201C - Honda RA163-E 1.5 V6 (t/c) (RET)

1983 German Grand Prix, Hockenheimring

stefan_johansson__germany_1983__by_f1_hi

Via F1-history

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